Saturday, October 24, 2009

Se a scuola ci fosse l'ora pagana

Se a scuola ci fosse l'ora pagana

La stampa del 23 ottobre 2009

di Guido Ceronetti

A leggerne sulle cronache, non pare che l’ora di islamismo depurato sia prossima sul quadrante della scuola italiana.
La lentezza dell’Italia ufficiale è Oriente, il suo tempo non conosce orario, tra la frenesia informatico-telematica s’intravvede il beduino che guarda le capre, la mula di mastro Don Gesualdo, la guerra di Troia... Basta pensare ai processi civili: passano generazioni... Però neppure l’Islam ha fretta. L’idea di convertire l’Europa cristiana in dissolvimento religioso, dopo le mura di Vienna e le lance di Poitiers, e il lungo sonno prima di Lawrence e l’apparizione come dal nulla di Israele, è sogno islamico, certamente.

Ma forse nella diaspora delle moschee vecchie e nuove si pensa di arrivarci (Ramadan puntualmente osservato da almeno metà delle famiglie italiane oggi tiepidamente cattoliche) non prima del 2101.
Quel che sarà - sarà.
La prospettiva più vicina impone due verità: a) l’Islam non è assimilabile né modificabile. Quel che è avvenuto nel tremendo dogmatismo cristiano medievale rotto dalla Riforma e inoltre dopo tre secoli di miracolosa filologia critica biblica incessante non ha neppure sfiorato la grande Muraglia coranica, e adesso abbiamo anche il confronto radicale con una guerra santa senza frontiere. b) il moltiplicarsi delle moschee non è segno di integrazione né di estensione della libertà di coscienza (che subordina tutti i dogmi alla legge di ogni vera Repubblica) ma di occupazione, che per noi è politica e data per concessione, per loro si tratta invece di spazi e spazietti urbani assunti dalla fede coranica e sottratti legalmente, in senso religioso illimitato, alla sovranità della maggioranza non mussulmana.
Islam non è buddismo né chiesa evangelica o altro. Islam è Islam. E’ sciocchino chiedergli di essere diverso. All’Opus Dei puoi chiedergli di essere liberale? Bene. A ciascuno il suo.
L’ora scolastica cattolica brucia un tempo dello Stato uguale per tutte le religioni (che in Italia sono, grandi e piccole, circa settecento); l’ora scolastica islamica azzererebbe (o renderebbe relativa) la sovranità statale assoluta su tanti frammentini di territorio pubblico quante sono le aule destinate a ospitarla. Nell’idea coranica di comunità religiosa - se non erro -, la umma, il popolo dei credenti, come ogni asfalto o tappeto di preghiera, a maggior ragione ogni aula dove s’impartiscano a un pezzetto di umma lezioni di Libro Sacro (il Kitàb) diventerebbe dar-al-islam, Casa di Islam (tradotto solitamente terra d’Islam, ma nel fondo rimane sempre il senso primario di casa propria, porzione, porziuncola del popolo credente).
Esaminandola in base al diritto religioso islamico la faccenda potrà, credo, essere chiarita meglio, e suggerisco di consultarlo prima di compiere passi incauti per incantamento dell’inafferrabile fantasma dell’integrazione per tutti e concessa a tutti.
Se l’ora fosse, utopisticamente, catto-mussulmana e addirittura maschile-femminile, la lezione di tolleranza sarebbe esemplare; ma dubito che la Chiesa e gli imam, giubilanti, la riceverebbero dal nostro Stato come una grazia.
La bio-diversità religiosa è una realtà umana come tutto ciò che è vivente, e ne va tenuto conto. L’esistenza delle balene (non esclusa Moby Dick) importa ai condominii della Bovisa o di Mirafiori, dei Parioli o di Firenze, ma per applicare alle religioni questa grande e povera verità non si può dare filosoficamente il mondo alle concezioni monoteiste: ci vuole una filosofia naturale, un pensiero dai monoteismi rigettato e perseguitato.
Un’ora scolastica e extrascolare diversa, allora? Di paganesimo puro e rigoroso? Di pitagorismo? Di stoicismo? Con letture virgiliane? Il sesto dell’Eneide come iniziazione ai regni per dove passerà Dante il cristiano? Dante frater templarius, amico di ebrei e di mussulmani, e grande condor in volo al di sopra di tutti?
Sarebbe una bella finestra, da cui potrebbero apparirci, forse, le luci remote dell’Amore infinito.

Tuesday, October 13, 2009

A lezione dagli sciamani d´Africa

La Repubblica 6.10.09
A lezione dagli sciamani d´Africa
di Filippo Tosatto

Corpo e psiche. Demoni e ombre Da Senegal e Mali guaritori in tour Per confrontarsi su un nemico comune: il male
"La malattia spezza l´armonia non solo dell´organismo ma dell´intera comunità"

PADOVA. Entrano nell´aula magna dell´università sfoggiando lunghe vesti colorate: nove uomini e una donna, tutti guaritori africani arrivati dal Mali e dal Senegal. Nessun intento folcloristico, però, da parte dell´ateneo di Padova che li ha invitati: «Un´occasione di incontro e dialogo tra medicina tradizionale africana e medicina convenzionale occidentale», la definisce la psicologa Silvia Failli coordinatrice del progetto ImmaginAfrica, e un riconoscimento istituzionale a operatori collaudati che lavorano, con successo, nell´ambito della fitoterapia e della psichiatria.
Rivolto un corale «aga poo» (bentrovati) agli ospiti veneti, gli sciamani d´Africa hanno illustrato metodi, limiti e obiettivi del loro sapere antico. Che coltiva un approccio "olistico" al paziente e alla malattia, mirato più che a curare il sintomo a prendersi cura dell´individuo sia nel suo male fisico o psichico che nell´equilibrio - o nella disarmonia - all´interno del villaggio, della comunità tribale e della famiglia. Insomma, la presa in carico del malato in quanto «membro del corpo sociale esteso».
Se le definizioni della patologia sono immaginifiche - dall´epilessia attribuita ai «demoni seduti sul cuore», alla crisi psicotica dovuta «all´ombra che si avvinghia alla persona» -, i rimedi attingono alla conoscenza sperimentata di erbe e piante terapeutiche, somministrate spesso d´intesa con il medico curante "ortodosso". I campi d´applicazione? L´ambito materno-infantile (gravidanza, parto e puerperio) per cominciare; e poi il diabete, le malattie tropicali, i problemi oculistici e i disturbi della psiche.
A colpire la platea - composta da medici, psicologi, infermieri e studenti - è stata la meticolosità del "protocollo" adottato dai guaritori: la manipolazione del corpo, la capacità di calibrare i dosaggi delle erbe, la ricerca e l´individuazione di nuove sostanze naturali benefiche. Un esempio? «Gli estratti vegetali impiegati nella prevenzione della malaria», osserva Ogobra Kodio, il medico maliano a capo della delegazione, «provengono da piante officinali autoctone».
In Africa, spiega un anziano guaritore, alla malattia viene sempre attribuito un significato e il suo insorgere spezza sia l´equilibrio interno all´organismo che quello esistente tra l´uomo e il sistema sociale. La cura e la guarigione, perciò, assumono anche il significato di un legame sociale ritrovato. Ma come distinguere i portatori di sapere dai ciarlatani? A denunciare questi ultimi sono in primo luogo i guaritori riconosciuti. Che - qualora la patologia lo consenta - operano in parallelo, e in collaborazione, con il medico e con l´ospedale. Non stupiscono, allora, le consultazioni miste già avviate tra un gruppo di medici della facoltà di Padova e la delegazione africana, né la tappa successiva che li ha visti relatori all´università romana La Sapienza.