Corriere della Sera 11.11.10
Poeti, condottieri, prostitute Ognuno aveva la sua Venere
Non solo dea dell’amore, anche genitrice e portatrice di pace
di Eva Cantarella
I festeggiamenti in onore di Venere, a Roma, avevano inizio il primo aprile. Quel giorno, raccontano Plutarco e Ovidio, le matrone usavano inghirlandarsi di mirto, per ricordare un episodio legato alla nascita della dea, nata — si raccontava — dalla schiuma del mare. Identificata a partire dal II secolo a. C. con la greca Afrodite, infatti, Venere aveva preso la personalità e le leggende di questa: tra le quali, appunto, quella della nascita, legata alla lotta tra il dio Crono e suo figlio Urano. Temendo che il figlio lo detronizzasse, Crono lo aveva castrato, gettando i suoi organi genitali nel mare, dalle cui acque un ben giorno era nata la bellissima Afrodite. Ovviamente nuda, e quindi costretta, appena emersa dai flutti, a nascondersi dietro il mirto per sottrarsi allo sguardo di una turba di satiri. Ma torniamo alla festa in suo onore: coronate di mirto, le matrone libavano alla dea con un liquore fatto di succo di papaveri, latte e miele, che Venere — si diceva — aveva gustato il giorno in cui era andata sposa. Dopo di che — è Ovidio a dircelo — spogliavano il simulacro della dea da collane e ornamenti, la lavavano, la asciugavano e, dopo averla di nuovo agghindata, le offrivano fiori e rose fresche.
Ma i culti in onore di Venere non si limitavano a quei riti, né a quel giorno. Le feste in suo onore erano tante, perché i romani non onoravano una sola Venere. Ne onoravano tante, diverse, ciascuna delle quali aveva una sua personalità e, per così dire, una sua competenza.
Prima di essere identificata con la dea dell’amore, infatti, la Venere latina veniva già celebrata il 1° aprile come Fortuna ed era, per i romani, la personificazione del momento generativo. Era la dea alla quale si doveva la vita, Venere genitrice: «Alma Venus, genitrix, hominum divomque voluptas», scrive Lucrezio: «Alma Venere, genitrice degli Eneidi (secondo una delle leggende sulle origini della città, i romani discendevano da Enea, figlio di Venere) delizia degli uomini e degli dei, tu che sotto gli astri erranti nel cielo fecondi il mare che porta le navi e la terra carica di messi, per te tutti gli esseri viventi sono concepiti e, nascendo, vedono la luce del sole; quando tu appari, o dea, fuggono i venti, fuggono le nubi del cielo, sotto i tuoi piedi la terra fertile produce fiori soavi, a te sorride la distesa del mare e il cielo, placato, versa un torrente di luce…» ( De rerum natura, incipit).
Ma Venere non dava solo la vita, dava anche pace e gioia: quando Marte, il dio della guerra, si abbandonava fra le sue braccia «vinto da eterna ferita d’amore», il mondo poteva godere, finalmente, di un periodo di pace. Attenzione, però: Marte, non era il marito di Venere, era il suo amante. Non a caso, dunque, Venere non proteggeva solo l’amore coniugale. Scrive Agostino ( De civitate dei, 4, 10) che a Roma c’erano due Veneri, quella onesta e quella disonesta: la prima, quella onesta, onorata da vergini e donne sposate, era onorata il 1° aprile; la seconda, quella disonesta, veniva celebrata dalle prostitute il 23 aprile, in un tempio che doveva essere eretto al di fuori delle mura cittadine. Ecco perché a Roma esisteva un tempio dedicato a Venere Obsequens, vale a dire obbediente, rispettosa, costruito nel 295 a. C. con le multe inflitte ad alcune matrone condannate per comportamento licenzioso. Venere era la protettrice di tutti gli amori. Era la madre di tutti, Venere Genitrice. Ma di qualcuno era genitrice in modo del tutto speciale. A un certo punto della storia di Roma, Venere si trovò a essere oggetto di una contesa politica. Al ritorno dalla guerra contro Mitridate, Pompeo aveva fatto costruire un teatro (il primo teatro romano in marmo), e in mezzo della cavea, alla sommità dei gradini, aveva fatto erigere un tempio dedicato a Venere Victrix (vincitrice), alla quale riconosceva così il merito della sua vittoria. In questo modo, aveva dichiarato Venere sua speciale protettrice. Ma non era il solo ad aspirare a un simile privilegio. Cesare, per non essere da meno, la celebrava come progenitrice della gens Iulia, alla quale apparteneva: lui non era solo protetto da Venere, discendeva da lei. E a lei promise un nuovo tempio, quello a Venere Genitrix, che fu poi eretto nel Foro al quale Cesare diede il nome, affidato a un collegio di sacerdoti incaricato di continuare i giochi e le feste indette per la consacrazione. E quando, dopo essere state interrotte alla morte di Cesare, le celebrazioni vennero riprese per iniziativa di Augusto, nel cielo apparve una grande cometa: l’anima di Cesare, dissero i romani.