Sunday, January 13, 2008

Figure, idoli, maschere. Il racconto mitico, da simbolo religioso a immagine artistica

dal sito: http://www.studioantropologico.it/public/new/recensioni.asp?id=9
Figure, idoli, maschere. Il racconto mitico, da simbolo religioso a immagine artistica
di Jean-Pierre Vernant

Con questo originale (come sempre) libro Jean-Pierre Vernant riflette sulla mitologia e sulle forme di figurazione formatesi nell’immaginario greco, arrivando fino a riflettere sull’arte in senso moderno.
Nei paragrafi incipitari J.P. Vernant critica la tendenza a porre il problema del simbolismo nei termini del linguaggio e ad affrontarlo secondo i modelli linguistici. Nell’ambito dell’applicazione di rigidi schematismi sintattici, una volta entrata in crisi la validità degli schemi della linguistica strutturale nello spiegare i processi e gli effetti simbolici, si è tentato di indagare ciò che la sintassi e la semantica non sembrava potessero fornire quali strumenti interpretativi. Il problema, sottolinea Vernant, consiste nella specificità dei diversi linguaggi, in particolare del linguaggio plastico e “dell’eterogeneità dei molteplici tipi di simbolismo”. Anche una volta definito, per così dire, una sorta di glossario simbolico interpretativo, non esistono forse, si chiede Vernant, “piani del simbolismo che sfuggono a quella che potremmo definire la «logica proposizionale»? Sotteso a questa domanda retorica sembra aleggiare l’insegnamento del maestro di Vernant, Louis Gernet, il quale metteva in guardia di fronte agli eventuali elementi “fuori serie” nell’utilizzo del materiale mitico (la leggenda greca) come documento di protostoria sociale della Grecia antica.
Vernant individua nella figura di Frédéric Creuzer, uno dei fondatori della scuola simbolista in ambito di religioni dell’antichità, un approccio al simbolismo meno “artificiale” rispetto al metodo struttural-linguista. Per Creuzer l’unica forma autentica del simbolo religioso o “divino” è la rappresentazione figurata del dio, la sua immagine plastica. Soltanto un’immagine unica, sensibile permette uno intuito (“con un solo sguardo”) di afferrare la presenza di ciò che, in quanto divino, sfugge alle limitazioni del concreto, del sensibile, del finito. Il simbolo è l’Idea, forma mediata sensibile attraverso cui la divinità si rivela. Questa concezione della preminenza simbolica dell’immagine figurata rispetto al linguaggio trova sostegno anche in Ernst Cassirer, il quale osserva che “la rappresentazione di un dio contiene due sentimenti distinti; essa non vuole assolutamente essere presa per una volgare copia,intende invece cogliere il dio nella sua presenza vivente immediata”. Tuttavia questa presenza sensibile del divino appare essere inevitabilmente una limitazione, una forma oggettivata hinc et nunc, pertanto vincolata a coordinate storicamente definite.
Vernant sottolinea in Cassirer come in Creuzer il comune principio secondo cui il simbolismo religioso ha fra le sue priorità la volontà di “porre” piuttosto che di “rappresentare” nel mondo sensibile, visibile.
Al di là di ogni prospettiva evolutiva rispetto ai metodi di figurazione simbolica (basata ad esempio sulla linea che va dalla pietra grezza alla rappresentazione teriomorfa e mostruosa fino alla figurazione umana del dio), Vernant si discosta dalla concezione creuzeriana e conferma la volontà di seguire un metodo storico e diacronico nel passaggio da una forma di espressione simbolica del divino ad un’altra, investigando il legame fra forma simbolica e metodo di figurazione.
Nell’individuazione dell’esempio greco come modello privilegiato, Vernant fa notare come, in seno alla cultura greca, si possa intuire “qualcosa come la genesi di una simbolica figurativa”. All’interno di questo processo Vernant riconosce due distinti momenti: creazione di un repertorio di immagini sotto l’influenza orientale; elaborazione di un linguaggio plastico da una situazione di tabula rasa a partire dall’VIII secolo (i Greci, come nota E. Benveniste, non avevano alcun nome per parlare della statua).
Attraverso l’esame del primo stàsimon dell’Agamennone di Eschilo, Vernant indaga la nozione di kolossòs, la cui funzione si capisce in un gioco di assenza nella presenza sensibile: pòthos, desiderio verso colui che è altrove, assente, e hímeros, sentimento proiettato verso un oggetto presente. Il kolossòs, nella finalità delle pratiche funerarie, assurge ad una materialità che è esattamente l’opposto di una vaga immagine verso cui protendere. La pietra fredda, compatta, materiale è la sostituzione di un’ineffabile immagine, la psychÄ“, che è già un doppio, un eídÅ?lon, che si rivela nel momento estremo. L’approccio di Vernant a questa complessa categoria figurativa istituisce un rapporto di prossimità, in origine, con lo mnêma e la stele funeraria e tende a definire questa categoria del doppio come evocazione di ciò che è assente, allo stesso modo di un sostituto, tramite la forma sensibile della pietra. Questa evocazione tuttavia non avviene per somiglianza identitaria, ogni processo imitativo è escluso; per evocare la non-presenza la pietra deve mostrare gli scarti, “la distanza rispetto alla forma della persona vivente” rimarcando così un cambio di statuto.
Il saggio testimonia di una continuità diacronica esplicita quanto voluta passando attraverso l’indagine sistematica del campo semantico dell’eídÅ?lon da Omero a Platone, analizzando poi (sempre in chiave semantica) i vari sentimenti che legano il gruppo alla figura del morto, le forme di evocazione e di elaborazione del lutto nel delicato procedimento di “sostituzione” del morto che vedrà l’istituzione, in tre distinti momenti, di un doppio, un sostituto, un equivalente.
Infine, dopo aver trattato la figura dei morti e le loro diverse forme simboliche di rappresentazione, Vernant passa alla trattazione degli dèi. Nell’indagine sulla figurazione delle Potenze divine egli isola la maschera come espressione simbolica privilegiata di alcuni aspetti del soprannaturale, al punto da considerarla come uno dei problemi generali del pensiero religioso dei Greci. Nella seconda parte del saggio, secondo un criterio d’ordine, l’indagine si snoda su tre diversi piani che identificano, nella loro connotazione, altrettante figurazioni: la Potenza che opera attraverso la maschera e non possiede altra forma che la maschera, Gorgo; la divinità che, pur non stabilendo un legame identitario con la maschera, conferisce, negli aspetti particolari del suo culto,un ruolo privilegiato alla maschera e ai portatori di questa, Artemide; infine la Potenza sacra, la cui particolarità è appunto quella di essere definito, nel pantheon greco, il «dio della maschera», Dioniso.
L’originalità e il rigore filologico di questo saggio, che consiste in una raccolta di lezioni seminariali al Collège de France, fanno sì che questo costituisca un apporto prezioso e originale nel difficile processo di comprensione della vita degli antichi Greci e delle loro forme di pensiero.


Joel De Petris