Thursday, January 31, 2008

SOGNARE FORSE BARARE

la Repubblica - Sabato, 1 novembre 1986 - pagina 26
Guido Almansi

SOGNARE FORSE BARARE

Trovo in una raccolta di aforismi la seguente definizione del sogno di un certo Charles Fisher: "I sogni permettono a ognuno di noi di impazzire in maniera quieta e sicura ogni notte della nostra vita". In altre parole, il sogno è uno strumento di libertà che ci concede evasioni temporanee dalle costrizioni di una vita "ragionevole" D'altra parte il sogno è un argomento pericoloso, e forse dovrebbe essere proibito parlarne. Noi sappiamo tutto sul sogno raccontato, scritto o riferito da un personaggio sveglio, perché appartiene a quello che Eraclito chiama "il mondo comune dei desti"; ma non sappiamo niente sul sogno sognato, che appartiene al mondo privato del sognatore, se si eccettua la nostra personale esperienza onirica. E forse nemmeno quella, perché quando raccontiamo a noi stessi i nostri sogni, siamo costretti a modellare, modificare, adattare le nostre esperienze oniriche secondo i parametri narrativi a noi consueti, che non coincidono necessariamente con i parametri narrativi del sogno. Argomento affascinante Il sogno è un rovesciamento dell'esperienza. Inverte le prospettive consuete, capovolge i termini abituali di attrazione e ripulsa, confonde sensi e sentimenti e sensazioni e pensieri, gioca su una realtà sfuggente ed extra-umana che travalica l'universo sensoriale. Se l'onirico è un sesto senso, esso rende "controvertibile" l'esperienza degli altri cinque. Quando ricordiamo un sogno, noi lo consideriamo come una storia di cui stiamo facendo il riassunto a memoria. Questo è l'errore fondamentale eppure inevitabile, in quanto non esiste soluzione alternativa. "Per ottenere la sintesi di un sogno", diceva Paul Valéry, "bisognerebbe esprimerlo nelle sue componenti atomiche. Perché la storia - così come uno la ricorda - è solo una fabbricazione secondaria, la quale segue una fase iniziale che è non cronologica, non riassumibile non integrabile". Quelli che parlano arrogantemente del significato e dell'interpretazione del sogno sono come dei critici d'arte che volessero giudicare la bellezza di uno dei Quadri di una esposizione a partire dal commento musicale di Mussorgskij. Visto sotto questa luce, il sogno non esiste: perché il solo testimone - il sognatore nella privacy del suo sogno - non parla. Il sognatore è imbavagliato dal suo sogno. Eppure come si fa a resistere alla tentazione di scrivere su un argomento così affascinante? Il libro di Serena Foglia, Il sogno e le sue voci. 4.000 anni di interpretazioni (Rizzoli, pagg. 320, lire 22.000) offre un panorama della storia del sogno e di tutte le follie che la follia del sogno ha generato, dagli antichi Egizi ai nostri tempi. L'autrice è abbastanza abile nel suddividere i temi suscitati da questo misterioso visitatore che bussa alla nostra porta ogni notte (o da questa strana creatura che noi partoriamo nel buio): "il sogno come visione", "il sogno come inganno", "il sogno come viaggio", "il sogno come dubbio", e così via. Quando si tratta di interpretare il sogno, comunque, la Foglia, pur senza ammetterlo, si imbatte nel problema che ha imbarazzato soprattutto i filosofi e i pensatori che se ne sono occupati: da un punto di vista logico o razionalistico o scientistico, infatti, tutte le spiegazioni e le interpretazioni del sogno si equivalgono. In questo campo c'è una libertà assoluta di dire tutto quello che si vuole, permettendo alla vanvera una piena espansione, in quanto non esiste nessuna possibilità di controllo. Riguardo ai sogni, "le più gloriose posizioni ontologiche hanno i piedi di argilla", scrive James Hillman, perché le filosofie sul sogno non possono liberarsi dalle fantasie archetipe che sono alla base di queste convinzioni. Noi siamo portati dalla nostra appartenenza e fedeltà al monto civilizzato a scartare, per nostra incapacità immaginativa e condizionamento culturale più che per sfiducia, le forme più primitive di credenza nel sogno; ma, per il resto, tutte le teorie che sono state avanzate dalle scienze sociali e dalle scienze occulte, dalla letteratura e dalla fantasia, sembrano possedere un uguale grado di ragionevolezza e sono tutte inverificabili. Freud ci dice che il sogno rappresenta un desiderio represso, un modo di far riaffiorare l'immaginario inconscio in gran parte velato dalla coscienza. Jung ci dice che il sogno è l'espressione di una subcoscienza collettiva dell'umanità, un incontro con gli archetipi culturali, con i modelli primordiali della società. Lacan ci dice che il sogno è "simile a quel gioco di società in cui si deve dare da indovinare agli spettatori un enunciato conosciuto, o una sua variante, solo per mezzo di una scena muta". Charles Rycroft (L'innocenza dei sogni) ci dice che il sogno è una sorta involontaria di attività poetica. Roger Caillois (L'incertezza dei sogni) ci dice che i sogni sono un disordine di simulacri senza segreti. Hillman (Il sogno e il mondo infero) ci dice che il sogno "appartiene al mondo sotterraneo e alle sue divinità". Francis Crick ci dice che i sogni durante i periodi Rem (quando le palpebre battono con maggiore frequenza nel sonno) sono necessari per liberare il cervello da modi di comportamento superflui o parassitici. E ancora: lo psicologo sperimentale ci dice che il sogno è una "percezione simulata multimodale"; lo scrittore di fantascienza ci dice che il sogno è un messaggio trasmessoci da un distante pianeta extragalattico, per esempio Trafalmadore, che ha voluto l'evoluzione della razza umana per motivi a noi ignoti e che ci comunica le sue istruzioni attraverso queste visioni notturne; Liam Hudson (in un libro dal titolo Nightlife) ci dice che nei sogni noi cerchiamo di risolvere le complessità della vita diurna; un teologo ci dice che il sogno è ispirato da Dio; un altro teologo ci dice che il sogno è un messaggio dettato dal diavolo, signore della notte, il quale ci controlla attraverso la nostra facoltà onirica... Tutte le versioni sono ugualmente accettabili e si potrebbe, ironicamente, concludere: non sappiamo che cosa sia il sogno, da dove venga, dove vada, quale sia la sua funzione, quale la sua causa, quale il suo scopo; quali rapporti mantenga con la veglia e con la vita del corpo e dell'anima, dei sentimenti e degli istinti della ragione e del cuore. Chi potrebbe dimostrare che non è così? La Foglia cerca di sfuggire alla vanvera onirologica con un approccio basato sul senso comune e sulla sua esperienza personale (il libro inizia con un ricordo infantile dell'autrice: la Chiave dei sogni era la Bibbia della sua balia e aveva fatto scattare l'interesse della bambina per l'interpretazione dei sogni). Ma forse le sfuggono le conseguenze estreme di alcuni episodi che cita en passant senza valutarne la gravità. Si prenda il caso del sogno di Daniele nella Bibbia, a cui la Foglia fa un accenno. Come dicevo, noi possiamo parlare della nostra esperienza di vita diurna perché essa appartiene al mondo pubblico, al territorio del sociale; non possiamo parlare della nostra esperienza di sogno perché essa riguarda solo il sognatore. L'intrusione del profeta Ebbene l'episodio di Daniele è una sfida contro questa incomunicabilità. Il profeta viene chiamato da Nabucodonosor non già a interpretare un sogno, ma a ricostruire un sogno dimenticato, e poi a interpretarlo. E' un episodio di una violenza psicologica terrificante, che prefigura la violenza psicologica di certi esploratori del profondo di questo secolo: il mondo privato del sognatore - il quale vuole e rifiuta il suo sogno, cerca di ricordarlo e di dimenticarlo allo stesso tempo - viene violato, "stuprato" dall'intrusione del profeta. Noi possiamo difenderci dalla prevaricazione psicoanalitica rifiutando la nostra collaborazione con l'analista; se qualcuno inventasse un apparecchio di nome Daniele per leggere i sogni altrui, abbatterebbe questa nostra ultima linea di difesa. Sorge a questo punto la domanda cruciale: l'uomo si potrà ancora chiamare uomo quando avrà perso il diritto di dimenticare, di modificare, distorcere, capovolgere i propri sogni? Questa è una zona che a noi sembra sacra: il diritto di mentire agli altri (io sogno un cavallo, e dico di aver sognato un asino) e a se stessi (io sogno un cavallo, e non ricordo più se ho sognato un asino o una zebra). Il mistero del sogno ci salva dall'orrore della conoscenza totale.