salve,
il settimanale "D la repubblica delle donne" ha
pubblicato un articolo di testimonianze delle vittime
degli abusi sessuali compiuti dai sacerdoti cristiani.
Le testimonianze che il periodico riporta sono una
parte di un libro intitolato: " Crosses - Victims of
Clergy Abuse" (Trolley Books), in uscita (in Italia) a
fine giugno, non conosco ancora il nome della casa
editrice che farù uscire il libro.
I racconti delle vittime sono di una drammaticità
incredibile, penso che sia doveroso far conoscere
queste storie.
Oggi durante la trasmissione "magia, stregoneria,
paganesimo" abbiamo parlato anche di queste
testimonianze. Questi racconti sono serviti anche per
rispondere ad una delle più cretine affermazioni che
mai abbiamo sentito. Una persona ha affermato, in un
recente passato: "ma perchè vi occupate tanto dei
bambini violati dai sacerdoti? in fondo questi sono
bambini cristiani, a voi che interessa?".
Il fatto che questi bambini siano stati violati anche
con il batteismo è una ulteriore violenza. Noi NON
consideriamo le persone in base alle religione. Per
noi il signor Ratzinger non è il "santo padre", ma il
cittadino Ratzinger. Quello che conta è la persona.
Ogni cittadino ha diritto a giustizia al di là della
sua visione religiosa.
Se i cittadini del presente e del futuro subiranno le
violenze, che sotto vi riporto, come potrà essere il
futuro del nostro stato?
Francesco Scanagatta
-------- da "d la repubblica delle donne":
STATI UNITI Da bambini sono stati vittime di violenze
sessuali da parte di preti e suore. Da adulti hanno
deciso di raccontarsi. Cinque anni dopo lo scandalo di
Boston, ecco le testimonianze di chi non può né vuole
dimenticare
Robert Hoatson. Ho 53 anni, sono stato un prete
cattolico. Cresciuto a Rockaway Beach, New York, ho
sempre frequentato scuole cattoliche. Al liceo c'era
la congregazione dei Christian Brothers. Uno di loro
mi volle nel suo corso d'inglese. Fu l'inizio di una
preparazione che mi portò a subire abusi da parte di
due "fratelli cristiani". Con il primo dividevo la
stanza al seminario. Una sera cominciò a strusciarmisi
addosso. Da anni i superiori dicevano che avevo
bisogno di essere "riscaldato". Sapevo di molti
studenti che stavano insieme tra loro, oppure con i
professori. Quella prima volta, mentre il mio compagno
mi toccava, pensai: "Dev'essere questa la vita
religiosa, per affrontarla devi essere gay". Gli abusi
continuarono per oltre quattro anni. Soffrivo di ansia
e continui attacchi di panico. I miei genitori
volevano ricoverarmi. Poi decisi di parlare con un
superiore. Lui mi rassicurò: non ero gay, ero stato
abusato. Fu un gran sollievo. Quella sera venne con me
a casa dei miei. Si fece tardi. Lo invitarono a
restare per la notte. Lui arrivò nel mio letto, a fare
le stesse cose che gli avevo raccontato. I suoi abusi
durarono per due anni. Stavo male e alla fine andai da
uno psichiatra. Smisi di vederlo. Era il 1982. Sono
stato in terapia, a fasi alterne, per oltre 25 anni.
Non riuscivo a capire, psicologicamente, cosa mi fosse
successo. Nel 2002, quando esplose lo scandalo di
Boston, tra quelli che parlarono di ciò che avevano
subito dai religiosi cattolici c'erano miei ex
studenti. Li chiamai offrendo il mio aiuto. Capii che
lo facevo perché era successo anche a me. Il 20 maggio
2003 ho testimoniato davanti al tribunale dello Stato
di New York. Tre giorni dopo sono stato licenziato
dall'arcidiocesi. Ho fondato un'organizzazione per
l'aiuto delle vittime sessuali di religiosi.
Betty e Joe Robrecht. Siamo i genitori di Mary. Io,
Betty, parlo per lei che non c'è più. Queste che ho in
mano sono le sue ceneri. Viveva a Ithaca, Stato di New
York. La nostra è una famiglia cattolica. Preti e
suore erano nostri amici. Abbiamo avuto sette figli.
Mary era bella, la più bella della città. Ecco perché
la suora le mise gli occhi addosso. Fin da subito.
Insegnava catechismo ai maschi, ma trattava nostra
figlia come fosse sua. Mary aveva 11 anni quando
quella donna arrivò nella nostra chiesa. Poche
settimane dopo l'inizio di ciò che credevamo
un'amicizia, nostra figlia cominciò a cambiare. Ma
questi sono fatti che riesco a vedere con chiarezza
soltanto adesso che è passato tanto tempo. Pochi anni
fa, mi sono ricordata di un episodio. La suora bussò
una mattina a casa nostra. Quel weekend andava a
trovare una sorella che aveva dei figli dell'età di
Mary. Mi chiese se poteva portarla con sé. Dissi di
sì. Lei fece la borsa e partirono. Il giorno dopo,
mentre tornavamo dalla messa, vicino casa apparve
Mary. Disse solo una frase: "Siamo dovute tornare
prima". Pochi giorni dopo la suora lasciò la nostra
città. E Mary iniziò a ricevere lettere. Anche più di
una al giorno. Le chiesi perché la suora le scriveva
così tanto. Il giorno dopo, Mary ne lasciò una sul
letto, aperta. La lessi. Non avevo mai sentito la
parola "lesbica" prima di allora. Io e Joe ne parlammo
con un nostro amico prete. Ci consigliò di tacere.
Passarono gli anni. Mary si diplomò. Beveva. Entrava e
usciva dalle cliniche per disintossicarsi. Restava
lucida per qualche tempo. E allora dipingeva. Poi
ricominciava a bere. Poi si è suicidata. Ha preso
pillole e alcol insieme. Ha lasciato tutto in ordine.
C'era perfino una lettera di scuse indirizzata a chi
avesse trovato il suo corpo.
Charlie Perez. Sono nato 43 anni fa nel Bronx, New
York. Figlio di immigrati cubani. A nove anni, andai a
fare il chierichetto. Un giorno ero in sacrestia con
altri due ragazzi quando dal rettorato entrò un uomo
con barba e capelli lunghi. Sembrava uno zombie, era
molto grosso e teneva lo sguardo fisso su di me. In un
attimo cambiò espressione e cominciò a
parlarmi:chiese il mio nome, voleva sapere dove
vivevo, qual era il mio numero di telefono. Non ebbi
esitazioni a rispondergli. Perché lui era un prete. La
nostra amicizia cominciò così. Mi portava a fare dei
giri in macchina. Continuò a lavorare su di me fino al
dicembre 1975. Avevo 13 anni. Mi invitò a un party
natalizio, in Pennsylvania. Era la prima volta che
vivevo un Natale in una casa vera, con l'albero e
tutto il resto. Ero affascinato. Insieme a lui mi
sentivo al sicuro. Era una figura paterna e il mio
migliore amico. Pensavo di essere in presenza di Dio
stesso. Rientrammo a New York che era già notte. Non
mi portò a casa, ma nel suo appartamento, in chiesa.
Non parlava. Fece una doccia e arrivò da me. Nudo. Mi
mandò a fare la doccia. Poi iniziò ad asciugarmi
sfregando forte sul pene. Faceva male, ma non urlai.
Non riusciva a farmi avere un'erezione. Smise. Mi
diede un pigiama e dormì nudo accanto a me. Non provò
a penetrarmi. Ancora oggi non so perché. Dopo quella
notte, smisi di andare in chiesa. Ho taciuto,
cominciando però a stare male. E a reprimere ogni
ricordo. Per dodici anni. Ho tentato il suicidio due
volte. Oggi sono considerato un malato schizoide con
disordini affettivi e stress post-traumatico. Non
riesco a lavorare. La mia fede nella Chiesa cattolica
romana è distrutta. Dopo le rivelazioni di Boston,
prego Dio che la giustizia faccia il suo corso.
Bill Gately. Ho 44 anni e vivo a Plymouth,
Massachusetts. I miei genitori sono cattolici
osservanti. A mio padre, trent'anni fa, non sembrava
vero di poter ospitare un prete: veniva a sostenere la
parrocchia e aveva bisogno di una stanza ché in
canonica non c'era posto. La prima volta rimase due
mesi. La sera prima di partire entrò nella mia stanza.
Senza dire una parola. Nel buio, capii che era lui,
per il forte odore di acqua di colonia. Avevo 14 anni.
Si sedette sul letto, iniziò ad accarezzarmi prima il
braccio e poi la gamba. Allungò le mani sul mio pene,
mi mise la lingua in bocca. Mentre mi violentò, tenevo
le mani stese sul materasso. Avrei voluto sprofondarci
dentro. La mattina successiva chiese a mio padre il
permesso di accompagnarmi a scuola. Domandò: "Non
sarai rimasto turbato da quello che abbiamo fatto?".
Non gli risposi, non dissi nulla. Ma pensai che "noi"
non avevamo fatto niente: era lui che si era preso
quello che voleva. Tornò a stare dai miei ogni sei
mesi, per due anni e mezzo. E succedeva sempre. Capivo
che entrava nella mia stanza dall'odore di quel
maledetto profumo. Negli anni seguenti non riuscivo a
ricordare i dettagli di quei momenti. Il mio terapista
mi suggerì di trovare quell'acqua di colonia: mi
avrebbe aiutato a ricostruire il passato. Così fu. Ma
non mi aiutò a provare meno vergogna. Ho speso
migliaia di dollari per rintracciare quell'uomo. Lo
trovai in Arizona, nel 1993. Si era sposato, aveva dei
figli. Mi riconobbe subito. Chiese se avevo intenzione
di denunciarlo. Risposi che non l'avrei fatto se mi
avesse detto a quanti altri aveva fatto la stessa
cosa. Scoprii che eravamo in molti. Gli feci tutte le
domande possibili, poi lo lasciai perdere. Solo dopo
ho iniziato a perdonare. Ma sono consapevole che le
cicatrici della mia anima sono inguaribili.
Landa Mauriello-Vernon. Ho 31 anni. Quando ne avevo 17
frequentavo una scuola privata femminile nel
Connecticut. Fui aggredita sessualmente da una suora,
che era mia maestra di religione e morale. Mi aveva
convinta che la cosa più adatta per me fosse il
convento. Avevo appena chiuso con il mio fidanzato.
Quando hai 17 anni e il cuore in pezzi, è facile farti
credere che una vita di nubilato possa rappresentare
la soluzione. Sembrava una prospettiva sicura e
protetta. Mi chiese di non dirlo ai miei, ma io li
chiamai ugualmente. Mia madre rispose: "Devi passare
sul mio cadavere". Ai miei occhi aveva torto. E così
la suora diventò la mia migliore amica. Mi dava tanti
libri da leggere per migliorare me stessa, perché,
diceva, io ero debole. Non so quando iniziò la parte
sessuale degli abusi. Per parlare di libri, andavamo
in un'aula dove non c'era mai nessuno. Un giorno, mi
si buttò addosso. Mi ritrovai sul pavimento, con lei
sopra. Rimase su di me finché non riuscì ad avere un
orgasmo. Non avevo idea di cosa stesse accadendo. Ero
solo certa che non doveva saperlo nessuno. E non ne ho
mai parlato con nessuno. Ogni volta che succedeva,
quando finiva si rialzava e riprendeva la
conversazione. Cominciai a bucarmi la pelle con le
unghie. I miei genitori chiesero di allontanarmi da
lei, erano convinti che mi facesse male. Non firmarono
le carte necessarie e così non entrai in convento. Mi
mandarono all'università. Ma avevo continui attacchi
di panico. Lasciai la scuola e andai a fare la
cameriera. Poi ho ripreso a vedere dei ragazzi. E sono
andata in terapia. Ma non ho mai affrontato quel che
era accaduto. Mi sono sposata e ho avuto una figlia,
nel 2000. Due anni dopo, è esploso lo scandalo di
Boston. E ho capito finalmente cosa mi era successo.
LA MALA EDUCACIÓN di Concita De Gregorio La stanza in
cui qui vi si chiede, se ne avete il coraggio, di
entrare è un luogo buio. Opaco e scivoloso. Ha il
pavimento morbido, le pareti viscide, il tetto di
cemento armato e non ci sono finestre. Non è un bel
posto, perciò è normale che la maggior parte delle
persone molto occupate e per bene non abbiano voglia
di entrare: hanno altro da fare, non hanno tempo, in
fondo poi chissà se è vero, si sa che queste storie di
abusi sono sempre esagerate, magari sono tutte
invenzioni. E se anche non lo fossero, se qualcosa di
reale ci fosse sul serio vai a sapere com'è andata, a
noi certe cose non succedono, se ti succedono un po'
te le cerchi. Ecco, è così. Le storie di abusi
suscitano in prima battuta il desiderio di non
ascoltarle, in seconda diffidenza. Quando sono molte,
univoche e concordanti - come in queste pagine -
anziché funzionare da conferma suscitano l'effetto
opposto: amplificano il fastidio e l'incredulità di
chi legge. Bisogna vincere però la naturale resistenza
che sempre opponiamo a quel che non sappiamo spiegare
e che non vogliamo dunque vedere. Bisogna combattere
la legittima istintiva difesa che ci fa dire: non mi
riguarda. Ci riguarda, invece. Proviamo a entrare
nella stanza, una volta dentro abituiamoci al buio e
cerchiamo di vedere. Non sono storie di pazzi, di
emarginati, di fanatici. Sono storie qualunque,
succedono e non si dice. Quando poi c'è di mezzo la
Chiesa - non le maestre d'asilo e i bambini, non lo
zio e i nipoti, non l'amico di famiglia e
l'adolescente ma un prete, una suora - il silenzio
diventa solido, la rete di protezione dei colpevoli
taglia fuori le vittime che sotto il peso di una colpa
presunta svaniscono. A Firenze ci sono voluti
trent'anni perché si parlasse di don Lelio Cantini,
oggi più che ottantenne. Ne ha scritto su Repubblica
Maria Cristina Carratù. Per anni, a partire dal 1973,
don Cantini ha violentato ragazze che frequentavano la
sua parrocchia dicendo loro che in questo modo
"aderivano completamente a Dio". Le vittime avevano
tra i 12 e i 17 anni. "Ci diceva di pensare alla
Madonna, che aveva avuto Gesù a 12 anni".
Trentaquattro anni dopo il cardinale Ennio Antonelli
ammette che effettivamente "don Cantini è responsabile
di delittuosi abusi sessuali", "ha approfittato di
giovani donne per 14 anni". È stato allontanato da
Firenze, per cinque anni non potrà confessare,
celebrare messa in pubblico. Dovrà versare un obolo a
un'istituzione di carità e recitare ogni giorno per un
anno intero il salmo 51, "Pietà di me, o Dio, secondo
la tua misericordia". Fine della sua pena. "Ne La mala
educación", disse Pedro Almódovar presentando il film
al pubblico, "ho raccontato la mia esperienza diretta
e quella di decine di ragazzi di paese cresciuti come
me nelle istituzioni cattoliche: ciascuno sa che
questa è la verità, un'esperienza talmente diffusa che
si è trasformata nel tempo in una specie di sottofondo
della coscienza. Tuttavia non se ne parla, come dei
dolori più grandi e delle colpe. Io l'ho fatto,
finalmente, è stato difficile ma mi sento meglio.
Adesso spero che si sentano meglio anche altri". Il
film racconta della "cattiva educazione" data dai
preti ai ragazzi di un collegio cattolico, della
morbosità e degli abusi. È uno straordinario film e
tuttavia in Spagna come in Italia è stato accolto da
un certo scetticismo: è un'esagerazione, non è vero,
sarà successo a lui ma non è mica la norma, è una
storia personale enfatizzata. Non ha neppure avuto lo
stesso successo di pubblico degli altri suoi film e
non perché fosse girato peggio o la recitazione meno
felice: per l'argomento. "Perché", ha detto Almódovar,
"molta gente certe cose non le vuole nemmeno sentire,
figuriamoci se le vuole vedere". Le immagini e le
testimonianze di queste pagine raccontano storie di
vittime di abusi da parte del clero cattolico negli
Stati Uniti. Le persone ritratte hanno accettato di
farsi fotografare e raccontare quel che hanno subito
durante l'infanzia o l'adolescenza da parte dei preti,
delle suore e dei frati ai quali erano affidati a
scuola e in parrocchia, o che frequentavano le loro
famiglie. Un giornalista e uno psicoterapeuta hanno
verificato le storie con grande cura, le hanno passate
al doppio setaccio della verifica dei dati di cronaca
e dell'attendibilità del racconto. Si deve supporre
che siano tutte storie vere. Sono crude e terribili.
Perché è così che succede: quasi sempre prevale la
vergogna e spesso all'origine del silenzio ci sono
violenze che si ripetono di generazione in
generazione. Veronica De Laurentiis, figlia di Dino e
di Silvana Mangano, sulla sua storia di giovane
violentata da un amico di famiglia e di madre
inconsapevole delle violenze subite dalle figlie ha
scritto un'autobiografia terapeutica, Rivoglio la mia
vita. "Sono convinta di non essermi accorta che i miei
figli erano vittime di violenza per il fatto di averla
subita io stessa alla loro età. È qualcosa di molto
difficile da spiegare ma più o meno funziona così: non
vedi quello che non vuoi vedere e che non sai più
vedere perché hai imparato per una parte a ignorarlo,
per un'altra a considerarlo normale e per l'ultima
proprio non puoi sopportare di tornare attraverso
l'esperienza degli altri nella parte più buia della
tua vita". Veronica De Laurentiis si spinge a
immaginare che anche sua madre, "fredda e assente
negli anni della mia infanzia, avesse subito da
ragazza qualche forma di violenza. Anche lei non
voleva vedere, come trent'anni dopo è successo a me".
Le violenze in famiglia, dicono le poche statistiche
disponibili, sono le più frequenti e le più subdole.
Seguono - per frequenza - le violenze nelle scuole. Di
quelle nelle parrocchie si sa quasi sempre pochissimo,
di fatto i dati non esistono. Anche per questo ha
fatto un enorme rumore lo scandalo di Boston: un
sacerdote accusato di atti di libidine su 130 bambini
condannato a nove anni di prigione. Di seguito: 450
persone nella stessa area metropolitana che raccontano
di abusi subiti nel corso degli anni. 62 sacerdoti in
17 diocesi degli Stati Uniti sospesi per sospetti atti
di pedofilia. Il New York Times che indaga: scrive che
al 31 dicembre 2002 sono 4.268 le persone che hanno
pubblicamente dichiarato o denunciato di avere subito
violenze da parte di un prete cattolico negli ultimi
60 anni. Un rapporto presentato dalla Conferenza
episcopale degli Stati Uniti ha fissato nel 4% il
numero dei religiosi accusati di pedofilia a partire
dagli anni Trenta. Si tratta di 4.392 religiosi su
109.694. Due settimane fa Vauro, che di mestiere fa
satira, ha disegnato per il Manifesto una vignetta
pubblicata in occasione del Family day: manifestazione
di piazza fortemente voluta dalla chiesa per
contrastare i Dico, le unioni civili (anche) fra
omosessuali e ogni altro tipo di relazione dal clero
considerata immorale e "contro natura". Nella vignetta
la donna, figli per mano, dice all'uomo: "Sembra che
in piazza ci saranno molti preti". Lui le risponde:
"Dici che dobbiamo lasciare a casa i bambini?".
Brandendo copia del giornale Silvio Berlusconi si è
presentato in piazza. "Non potevo sopportare un simile
attacco alla Chiesa. Una vignetta come questa è
indegna di un Paese civile". Cosa sia indegno, cosa
civile, cosa lecito e cosa immorale. Ecco a cosa serve
entrare nelle stanze sgradevoli e buie, quelle che
vorremmo tenere chiuse. Ci si può fare un'idea più
completa, certo non definitiva. Si può frequentare il
dubbio, che è sempre un ottimo esercizio. Le
conclusioni semmai vengono dopo, non prima.
Rita Milla (nella foto, con la figlia Jackie, ndr). Ho
43 anni, vengo da Carson, California. Alle elementari
l'idea dell'inferno mi ossessionava. Volevo andare in
paradiso. La messa non mi sembrava sufficiente. Ogni
giorno chiedevo a mia madre di recarmi in parrocchia.
Sono stata abusata da un vicino di casa quando avevo
tre anni. Da lì venivano le mie ossessioni, ma ancora
non lo sapevo. Ero già un'adolescente quando iniziai a
fare piccoli lavori in chiesa. Un giorno padre T. mi
spinse contro il muro e cominciò a toccarmi. Lo fece
anche durante la confessione. Ne parlai con una
catechista. Lei lo chiamò. Lui negò tutto. Per un po',
padre T. mi ignorò. Ma un giorno mi portò in
sacrestia. Padre C. stava nella stanza accanto, mentre
padre T. mi violentava. Io non fiatai. Lui uscì dalla
stanza e pochi minuti dopo entrò l'altro. Mi chiese
come mai non ero rimasta nuda. Tutti e sette i preti
della chiesa approfittarono di me. Lo fecero tutti con
il preservativo, soltanto uno senza. Fu quello che mi
mise incinta. Allora padre T. mi fece andare via. Nel
quartiere si sapeva che non avevo un fidanzato,
avrebbero capito tutti che era stato un prete. Lui mi
mandò nelle Filippine, da un suo fratello dottore. Ma
ero ormai in gravidanza avanzata. Mi ammalai quasi
subito. Scrissi a mia madre. Lei arrivò e mi portò in
ospedale. Salvarono per un soffio me e mia figlia,
Jackie. Tornata a casa, decisi di parlare. Andai dal
vescovo della diocesi, che mi intimò di tacere. Andai
dal vescovo di Los Angeles. Raccontai tutto di nuovo,
davanti a decine di membri del clero. Mi dissero che
avrebbero indagato. Ero felice. Dopo molti mesi e
altrettante insistenze, il vescovo mi disse che avevo
ragione, ma che non avrebbe fatto nulla. È stato più
devastante delle violenze. Così ho perso la fede e
l'identità. Ma mia figlia e io stiamo cercando la
forza di continuare a vivere.
David Carney. Ho 38 anni e sono cresciuto a Dedham,
Massachusetts. Frequentavo il liceo cattolico. Mia
madre, a volte, non veniva a prendermi all'uscita da
scuola. Un giorno, padre R. mi offrì un passaggio.
Capitò una seconda volta e padre R. mi propose di
andare a cena con lui a Boston. A tavola ordinò vino
anche per me. Avevo 14 anni. Pensai: "Perché no? In
fondo è lui a permettermi di bere". Dopo, mi propose
di andare a vedere la sua "memorabilia". Ricordo bene
la porta del garage aperta e dentro foto di ragazzi
ovunque. A centinaia. Mi offrì una birra. Chiese se
poteva farmi una foto. Mi mise in posa. Intanto,
infilò una mano nei miei pantaloni. Io saltai via, lui
si scusò e finì lì. Un'altra volta, propose di
offrirmi un tatuaggio. Per me era il massimo. Portò me
e un mio amico a Rhode Island. Dopo che ci eravamo
tatuati, comprò birre, vino, patatine e ci portò nella
stanza di un albergo, lì vicino. Bevemmo molto. Con la
scusa di vedere il tatuaggio, provò a fare sesso orale
con me. In bagno. Lo respinsi. Più tardi, avevo bevuto
così tanto che andai a fare una doccia. Il mio amico
dormiva. Lui arrivò in bagno e mi masturbò. Poi andò a
dormire. Io restai in bagno a piangere. Tornai in
camera. Lo volevo uccidere. Iniziai a maledirlo.
Finché il mio amico si svegliò. Non fece domande.
Discutemmo dell'idea di uccidere padre R., ma non
avremmo saputo come liberarci del suo corpo. Così
decidemmo che non si poteva fare. Ma da quel giorno
sono diventato la persona più furiosa al mondo. Ho
continuato a chiudermi in bagno a piangere. Per anni.
Ho iniziato a lavorare come operaio. Potevo fare tante
altre cose nella vita. Ma non credo fosse previsto che
io facessi l'ubriacone per 23 anni. Sono finito anche
in prigione per abusi di alcol e risse. Quell'uomo mi
ha messo dentro il diavolo. Secondo i medici, io ho
ancora quattordici, sedici anni. Sto crescendo
soltanto adesso. Ma in fondo so di essere una buona
persona.
Johnny Vega. Ho 41 anni. Sono nato e cresciuto a
Paterson, New Jersey. A otto anni facevo il
chierichetto e incontrai quel prete. Iniziò a
molestarmi quando ne avevo dieci. Non sapevo niente di
sesso, ma immaginavo che si facesse con una ragazza,
con una donna. Insomma, con una femmina. Lui iniziò
mettendomi le mani addosso nelle aule in cui si faceva
lezione di religione. Andò avanti per mesi. Poi la
Chiesa istituì il "raduno di preghiera del weekend".
Si andava fuori città e si restava lì a dormire. Lui
era il nostro accompagnatore. Noi piccoli stavamo
tutti in una stanza. Accanto c'era la sua. Ogni fine
settimana lui sceglieva uno di noi e se lo portava in
camera. Capii di che cosa si trattava soltanto quando
venne il mio turno. Pensavo ci fosse un sacco a pelo
per me, invece dovevo mettermi a letto con lui. Era
enorme, grasso, altissimo. Mi usò violenza, in senso
letterale. Iniziai a sanguinare, ma non sembrò
curarsene. Mi mise una mano sulla bocca. Disse: "Stai
zitto". Continuò a farlo per sei anni. Io stavo
diventando adulto, ma cedevo ugualmente alle sue
minacce. Se avessi parlato, ripeteva, avrebbe ucciso i
miei genitori. Con il passare degli anni mi staccai
dalla Chiesa. Rimossi tutto, ma cominciai ad avere
tendenze di autodistruzione. Aggressività esagerata.
Attacchi di panico. Mi sposai, ma non raccontai mai a
mia moglie ciò che avevo passato. Nacque mio figlio.
Ogni volta che lo abbracciavo, piangevo. Mia moglie
non capiva, finimmo sull'orlo del divorzio. Lo
scandalo di Boston mi ha infine costretto a
confrontarmi con il passato. Ascoltando i testimoni al
processo, ho realizzato che "abuso sessuale" non è la
stessa cosa di "sesso". Prima non ci avevo mai
pensato.
Il libro degli abusi Le immagini (e le testimonianze)
pubblicate in questo servizio rappresentano
un'anticipazione di Crosses - Victims of Clergy Abuse
(Trolley Books), in uscita (in Italia) a fine giugno.
Il volume raccoglie i ritratti delle vittime di abusi
da parte del clero cattolico negli Stati Uniti. Uomini
e donne che, dopo lo scandalo dei casi di pedofilia e
di violenza sessuale verificatisi nella diocesi di
Boston, hanno accettato di essere fotografati da
Carmine Galasso. A lui hanno affidato i ricordi delle
violenze subite durante l'infanzia e l'adolescenza da
preti e suore. Al libro hanno collaborato anche il
giornalista Michael Kelly e lo psicoterapeuta A.W.
Richard Sipe, ex monaco benedettino.
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