Saturday, August 06, 2005

misteri e persefone

salve,
il corriere della sera ha pubblicato un articolo
sulla mostra romana denominata "il rito segreto".
l'articolo e' incentrato sulla "curiosa" assenza
di una divintà che compare nel mito di demetra e
persefone. condivio la tesi dell'autore quanto
sostiene che questa "dimenticanza" e' forse
retaggio del condizionamento cristiano.
il mito, per noi pagani, e' sempre fonte
si suggestione.
il mito non e' dogma, non e' modello impositivo.
il mito permette, a chi lo ascolta, di connettersi
alla molteplicita' del mondo.
vi invio l'articolo apparso sul corriere della sera.
ciao
francesco scanagatta

"Povera Baubò. Se ne dimenticano sempre tutti. Se ne
sono
dimenticati anche i curatori della bella mostra (Il
Rito Segreto)
sugli antichi culti misterici che si può visitare in
questi giorni a
Roma, al Colosseo. Dove non appare nemmeno nella
sezione dedicata ai
misteri eleusini. Inesplicabilmente viene
completamente ignorata
persino nel diligente testo informativo redatto su
quei misteri per
il catalogo della mostra da una stimatissima esperta
del ramo,
Giulia Sfameni Gasparro, dell'università di Messina,
che dei culti
mistici di Demetra e di Persefone si occupa da molti
anni. Perché
questa omissione? Non si tratterà di un tardo effetto
della condanna
che si abbattè anche su di lei quando i primi teologi
cristiani
decisero che gli antichi dei erano una combriccola di
diavoli e
diavolesse? Certo è che mai come in questa grande
mostra la ragazza
avrebbe meritato un trattamento di grande riguardo. E
l'omaggio più
opportuno sarebbe stato, forse, l'esposizione delle
tre incantevoli
statuine di terracotta - emerse tanti anni fa dalle
rovine
dell'antica città greca di Priene - che la raffigurano
nell'atto di
prodursi nel suo numero preferito. Con questo suo
numero Baubò, pur
essendo soltanto una dea minore della costellazione
eleusina, recitò
a lungo, in quei misteri, una parte fondamentale. Uno
show
abbastanza simile alla «famosa» mossa delle sciantose
napoletane.
Simile ma molto più sfrontato. Infatti lei non si
limitò a scuotere
e protendere il bacino, ma si alzò di botto la veste e
mostrò felice
il pettignone. Una prodezza che le permise di
conquistare una
posizione di spicco in quella fiaba meravigliosa che è
la storia di
Demetra (la dea della terra e delle messi), di sua
figlia Persefone
(la signora dei morti) e del tenebroso Ade (il dio
dell'oltretomba).
Tutto, si sa, incominciò con un ratto. Persefone, con
le sue amiche,
stava cogliendo fiori su un prato quando
all'improvviso Ade, che era
fra l'altro suo zio, balzando dalle viscere della
terra, l'acciuffò,
se la portò giù negli inferi e la fece sedere al suo
fianco, facendo
di lei la Signora del Regno dei Morti. A lungo allora
Demetra,
disperata, cercò invano la figlia scomparsa vagando
per tutta la
terra. Finché un giorno venne accolta in una casa
regale, la reggia
di Celeo e di Metanira, dove fra l'altro accadde che
una servetta
faceta e scurrile di nome Giambe riuscisse con qualche
facezia a
strapparle una risata. Cosa che tuttavia non le impedì
di sfogare la
sua collera ordinando alla terra di non dare più alcun
frutto. Così
costringendo il grande Zeus, che era insieme il padre
di Persefone e
il fratello del suo rapitore, a placarla imponendo ad
Ade un
compromesso: la fanciulla sarebbe rimasta con lui
nell'Erebo
soltanto durante l'inverno, ma gli altri mesi
dell'anno li avrebbe
trascorsi sulla terra, accanto alla sua mamma. Questo
il nocciolo
della storia. Che simboleggia le fasi del ciclo
agricolo, dalla
semina alla mietitura (Persefone è infatti il seme che
per poter
germogliare deve sparire e restare per tutto l'inverno
sottoterra).
Ma che soprattutto rimanda a quell'insondabile arcano
che è il
rapporto fra vita, morte ed eternità. Giacché i tre
principali
movimenti del racconto (ratto e discesa di Persefone
agli inferì;
vendetta di Demetra che ordina alla natura di
interrompere il suo
ciclo; happy end col conclusivo verdetto pacificatore
di Zeus) fanno
della stessa morte il necessario momento di un ciclo
che
perpetuamente si rinnova. La principale versione di
questo racconto
è naturalmente il famoso Inno a Demetra: il più bello
degli Inni
pseudo-omerici. Dove al posto di Baubò compare però
quella Giambe
che è soltanto un suo debole doppio. Per incontrare la
vera,
sfrontata Baubò bisogna passare dall'inno omerico a un
misterioso
inno orfico andato purtroppo perduto. O meglio, ai
pochi versi di
quell'inno che descrivono appunto lo show di Baubò. E
che ci sono
arrivati soltanto perché un dotto padre della Chiesa,
Clemente
Alessandrino, verso la fine del II secolo, a riprova
dell'indecenza
dei riti pagani, li ricopiò fedelmente,
presumibilmente fremendo di
sdegno, in un suo castissimo libro. Eccoli: «Sollevò
il peplo e
mostrò per intero / un luogo del corpo per nulla
decente. / Ma
Iacchos, un fanciullo, era lì / e si precipitò con la
mano,
ridendo, / sotto il grembo di Baubò. / Di ciò sorrise
la dea / e si
rallegrò nel suo animo / e accettò la variopinta
brocca / dove era
il ciceone». La dea che si rallegra è naturalmente
Demetra. Iacchos
è Dioniso bambino (altra figura simboleggiante la vita
che spunta
dalla morte). E il «ciceone» è la bibita (acqua, orzo
e menta) che
gli iniziati bevevano durante i loro riti, in ricordo
del momento in
cui Demetra, nella reggia di Celeo, dove quel drink le
era stato
offerto da Baubò, "dopo averlo in un primo momento,
depressa e
arrabbiata com'era, sdegnosamente respinto, si era
decisa a berlo
solo dopo che Baubò, col suo gesto, era finalmente
riuscita a
strapparle un sorrisetto. Facendo ridere, insieme a
lei, anche il
piccolo Iacchos. Contentissimo, anche lui, di vedere e
toccare la
gnocca della serva. Ma perché tanta allegria? Perché
quel gesto, che
i Greci chiamavano anasyrma (da ana, sopra, e syrma,
veste), posto
al centro di un mysterium che ricordava a tutti gli
iniziati che
copula, nascita, morte e resurrezione sono fasi di un
unico ciclo,
suscitava in essi un giubilo in cui si estingueva, fra
folli risate,
lo stesso terrore della morte evocato dai momenti
precedenti di quel
magico rituale."
(Ruggero Guarini, Corriere della Sera Magazine del
4/8/05)


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