Viaggio con Detienne nelle terre del mito. "Campi Flegrei, effervescenza di acque e rocce, dove Poseidone incontra Dioniso"
STELLA CERVASIO
DOMENICA, 23 AGOSTO 2009 la Repubblica, Napoli
«In realtà volevo parlare del politeismo. Apollo lo troviamo adorato nel tempio di Delfi, nel centro sociale e politico della Grecia: lui parla per mezzo dell´oracolo, ma c´è anche quello che potremmo dire è suo fratello, Dioniso, che non parla e si limita a dormire. Ho cercato di spiegare perché questi due vengono associati, e per farlo bisognava andare al cuore del politeismo. Da Plutarco a Nietzsche e Heidegger la visione del mondo è tutta improntata all´esistenza dei due poli, quello apollineo e quello dionisiaco. Assolutamente falso. Quei due poli non credo esistessero per i greci». Qui interviene il metodo di Detienne, il comparativismo unito all´antropologia di matrice strutturalista di Lèvi-Strauss. «In Anatolia Apollo non sembra più lui, ma Dioniso: beve vino, vive nei boschi e se ne sta buono e tranquillo come fa Dioniso a Delfi. Questo dimostra che il politeismo da più o meno dodici secoli, si fa e si rifà tutti i giorni. Un dio si può "impastare" con tanti ingredienti, si ritrovano aspetti diversi del divino nel sapere, nell´attività intellettuale, nel lavoro. Il politeismo è intriso della vita sociale della gente e questo non vale solo per i greci, ma anche per le altre culture politeiste, come l´africana, la giapponese, la oceanica. Il monoteismo è l´idea che c´è un dio solo che non ne ama altri e una chiesa che definisce la religione come verità. Nel politeismo la verità è aperta, è dappertutto. In Giappone, com´era in Grecia, un grano di riso o un amico che arriva è un dio».
Qual è la sopravvivenza più forte del mondo greco da noi?
«C´è una lunga tradizione che attribuisce alla Grecia l´invenzione della filosofia. In realtà l´hanno deciso alcuni professori universitari. Meglio guardare dalla giusta distanza i greci e metterli in comunicazione con altre culture. Nel mondo ce ne sono almeno 6000. Prendiamo la democrazia: sembra un´invenzione della Grecia. Ma che cos´è lì la democrazia se non quelle 1500 città che hanno fatto vari esperimenti, ottenendone diverse configurazioni, proprio come nel politeismo?».
Nel suo libro dell´89 "La scrittura di Orfeo" ci guidava in un viaggio mitico nei Campi Flegrei.
«Li visitai negli anni Ottanta, durante un convegno organizzato dall´archeologo Georges Vallet. In quelle terre ci sono le tracce di Poseidone e di Dioniso, accomunati dallo "sprizzare", delle acque del mare per il primo, e del vino ribollente, che fermenta ed eccita, per il secondo, così come ci appare raffigurato in una pittura della Casa del Centenario di Pompei. Quegli dei in alcuni luoghi della Grecia sono collegati, e nei Campi Flegrei si capisce perché. Sono varie le sfaccettature: un dio è sempre plurale. La terra dei Campi Flegrei è fatta di particolari concrezioni: lì ho trovato il riscontro delle mie teorie, che le invenzioni sul mito vengono concepite a partire dal paesaggio, fatto di animali, alberi, pietre. Sono appena tornato da Villa Fersen: si capisce subito che qui abita la bellezza. Conservarla ci dà la possibilità di raccontare nuove storie».
STELLA CERVASIO
DOMENICA, 23 AGOSTO 2009 la Repubblica, Napoli
«In realtà volevo parlare del politeismo. Apollo lo troviamo adorato nel tempio di Delfi, nel centro sociale e politico della Grecia: lui parla per mezzo dell´oracolo, ma c´è anche quello che potremmo dire è suo fratello, Dioniso, che non parla e si limita a dormire. Ho cercato di spiegare perché questi due vengono associati, e per farlo bisognava andare al cuore del politeismo. Da Plutarco a Nietzsche e Heidegger la visione del mondo è tutta improntata all´esistenza dei due poli, quello apollineo e quello dionisiaco. Assolutamente falso. Quei due poli non credo esistessero per i greci». Qui interviene il metodo di Detienne, il comparativismo unito all´antropologia di matrice strutturalista di Lèvi-Strauss. «In Anatolia Apollo non sembra più lui, ma Dioniso: beve vino, vive nei boschi e se ne sta buono e tranquillo come fa Dioniso a Delfi. Questo dimostra che il politeismo da più o meno dodici secoli, si fa e si rifà tutti i giorni. Un dio si può "impastare" con tanti ingredienti, si ritrovano aspetti diversi del divino nel sapere, nell´attività intellettuale, nel lavoro. Il politeismo è intriso della vita sociale della gente e questo non vale solo per i greci, ma anche per le altre culture politeiste, come l´africana, la giapponese, la oceanica. Il monoteismo è l´idea che c´è un dio solo che non ne ama altri e una chiesa che definisce la religione come verità. Nel politeismo la verità è aperta, è dappertutto. In Giappone, com´era in Grecia, un grano di riso o un amico che arriva è un dio».
Qual è la sopravvivenza più forte del mondo greco da noi?
«C´è una lunga tradizione che attribuisce alla Grecia l´invenzione della filosofia. In realtà l´hanno deciso alcuni professori universitari. Meglio guardare dalla giusta distanza i greci e metterli in comunicazione con altre culture. Nel mondo ce ne sono almeno 6000. Prendiamo la democrazia: sembra un´invenzione della Grecia. Ma che cos´è lì la democrazia se non quelle 1500 città che hanno fatto vari esperimenti, ottenendone diverse configurazioni, proprio come nel politeismo?».
Nel suo libro dell´89 "La scrittura di Orfeo" ci guidava in un viaggio mitico nei Campi Flegrei.
«Li visitai negli anni Ottanta, durante un convegno organizzato dall´archeologo Georges Vallet. In quelle terre ci sono le tracce di Poseidone e di Dioniso, accomunati dallo "sprizzare", delle acque del mare per il primo, e del vino ribollente, che fermenta ed eccita, per il secondo, così come ci appare raffigurato in una pittura della Casa del Centenario di Pompei. Quegli dei in alcuni luoghi della Grecia sono collegati, e nei Campi Flegrei si capisce perché. Sono varie le sfaccettature: un dio è sempre plurale. La terra dei Campi Flegrei è fatta di particolari concrezioni: lì ho trovato il riscontro delle mie teorie, che le invenzioni sul mito vengono concepite a partire dal paesaggio, fatto di animali, alberi, pietre. Sono appena tornato da Villa Fersen: si capisce subito che qui abita la bellezza. Conservarla ci dà la possibilità di raccontare nuove storie».