Saturday, April 11, 2009

Le ultime scoperte della neuro-economia: il denaro è come una droga psicoattiva

Corriere della Sera 11.4.09
Le ultime scoperte della neuro-economia: il denaro è come una droga psicoattiva
La mente ai tempi della crisi
di Massimo Piattelli Palmarini

Effetti anche sul cervello: attivate le aree del disgusto
Le perdite monetarie innescano le stesse reazioni dei cibi guasti. I guadagni quelle legate ai piaceri sessuali

In senso stretto, non ave­va torto l’imperatore Vespa­siano, quando se ne uscì con il famoso motto «pecu­nia non olet» (il denaro non ha odore), espressione oggi tradotta e corrente in molte lingue. Eppure Freud aveva ipotizzato un’origine infanti­le fecale dell’attaccamento al denaro, assimilando gli spendaccioni ai diarroici e gli avari agli stitici. Adesso la nuova scienza chiamata neuro-economia ha confer­mato che le perdite moneta­rie attivano alcune zone ce­rebrali normalmente attiva­te da stimoli letteralmente, corposamente penosi o di­sgustosi (cibi guasti, feci, cattivi odori, shock elettrici e simili).
All’opposto, un guadagno monetario e perfino la pro­spettiva certa di un premio monetario attivano centri nervosi normalmente depu­tati a registrare piacevoli stimo­li corporei, per esempio la sa­zietà nel cibo o il piacere ses­suale. Gli psico­logi inglesi Ste­p hen Lea e Paul Webley (Università di Exeter), in un recente artico­lo pubblicato in Behavioral and Brain Sciences non esitano a consi­derare il dena­ro, letteralmen­te, come una droga psicoat­tiva, al pari dell’alcol la nico­tina, la cocaina e, loro ag­giungono, la pornografia. Le reazioni al contatto con il danaro vanno ben oltre, lo­ro affermano, il suo valore di scambio e la sua utilità pratica. E’ un contatto che vellica i più bassi istinti e, per esempio, annebbia an­che la vista, come vecchi stu­di di Jerome Bruner sulla psicologia del denaro aveva­no già rivelato. Secondo Bruner, i ragazzini di fami­glie povere ricordano e per­cepiscono le dimensioni del­le monete di uso corrente come più grandi di quanto non facciano i loro coetanei di famiglie ricche.
Una lunga serie di studi psicologici hanno poi mes­so in evidenza la cosiddetta «money illusion», cioè l’im­pressione sog­gettiva, fortissi­ma, di possede­re, guadagnare e spendere in termini di nu­meri tondi, espliciti, istan­tanei, non in termini del rea­le potere di ac­quisto della moneta.
Il divario tra valore nomina­le, il solo che conta psicologi­camente, e va­lore effettivo, il solo che do­vrebbe contare realmente, diventa drammatico soprat­tutto in caso di inflazione galoppante. Molti, infatti, preferirebbero un aumento di stipendio del 15 per cen­to in un’economia che ha il 10 per cento di inflazione a un aumento del 5 per cento in un’economia senza infla­zione. Inoltre, per la gente comune è arduo stimare il valore monetario di quanto non trova una verifica nu­merica immediata, pubblica ed obbiettiva, per esempio è arduo stimare il costo di un figlio, di una malattia prolungata e perfino del­l’uso di un’automobile.
Lo studioso Richard Tha­ler, dell’Università di Chica­go, un pioniere della psi­co- economia, adesso assai celebrato anche sulla gran­de stampa negli Stati Uniti, e Eldar Shafir di Princeton, in uno studio pubblicato al­cuni anni or sono, scopriro­no che siamo incapaci di da­re un valore monetario a svariati oggetti da noi posse­duti, per esempio una botti­glia di ottimo vino acquista­ta anni addietro.
Supponiamo di averla comprata, allora, per 20 Eu­ro, e che oggi ne valga 100. Quanto vale per noi moneta­riamente il consumo di quel­la bottiglia, questa sera, tra amici? Ciascuno ha un’opi­nione solidissima, ma, su cento soggetti, si equivalgo­no i numeri di coloro che sti­mano il suo valore 100, colo­ro che lo stimano 20, coloro che lo stimano quanto vale­vano 20 Euro anni addietro, coloro che dicono che non ha valore monetario, per­ché già la possiedono, colo­ro che pensano rappresenti un «guadagno» (proprio co­sì) di 80 Euro e coloro che si rifiutano di fare il calcolo, ri­tenuto volgare. Però, strana­mente, se inve­ce pensiamo di farne omaggio a un collega, non a un ami­co, allora tutti siamo d’accor­do per stimare il suo valore 100 Euro, quel­lo del mercato corrente. La psi­cologia del de­naro non cessa di stupirci. Negli Stati Uniti, in questi tempi di crollo dei valori immobiliari, i prezzi di case e appartamen­ti non calano veramente, manifestamente. Se appena appena possono permetter­selo, dopo qualche mese, i proprietari preferiscono riti­rarle dal mercato, piuttosto che accettare un prezzo più basso. L’idea di vendere la propria casa a un prezzo in­feriore a quello pagato è psi­cologicamente intollerabile. Si cancella la vendita, si aspettano tempi migliori, e avvenga che può. Svariati recenti esperi­menti, alcuni anche piutto­sto ingegnosi, sondano fin dentro le latebre del cervel­lo le radici primarie dei no­stri comportamenti econo­mici, delle scelte monetarie, delle preferenze tra ricever­ne pochi maledetti e subito (centri cerebrali emotivi), o piuttosto molti probabil­mente in futuro (centri «ese­cutivi » della corteccia ante­riore).
Numerosi protocolli speri­mentali e tabelle di dati si accompagnano a immagini colorate dei centri cerebrali attivati. Però, passati i primi entusiasmi per le tecniche e le immagini, vie­ne ormai vo­glia di contro­battere: diteci qualcosa che non sapevamo già!
Il filosofo e cognitivista americano Jer­ry Fodor ha emesso pro­prio questo gri­do di insoddi­sfazione, affine al recentissimo libro «Neuromania» degli psicologi italiani Carlo Umil­tà e Paolo Legrenzi, i quali ci mettono in guardia con­tro gli abusi scientifici, so­ciali e culturali della mistica delle cosiddette verifiche neuro-scientifiche (Il Muli­no 2009).
Restiamo attenti ai nuovi sviluppi, ma consentiamoci di albergare il recondito pen­siero che la psicologia del de­naro è forse cosa troppo im­portante e complessa per af­fidarla ai neurobiologi.