La Repubblica 20.12.10
Natale nel Kashmir ecco le origini pagane di Gesù Bambino
di Marino Niola
La festa del solstizio d´inverno della tribù dei Kalasha ha molte somiglianze con quella della natività di Cristo L´antropologo Augusto Cacopardo ha studiato il significato dell´antico rituale, che dura dodici giorni
La popolazione, che vive tra Pakistan e Afghanistan, custodisce le sue radici indoeuropee
L´attesa del dio Indr è associata ad abbuffate di lenticchie e doni per i più piccoli
Per ritrovare l´origine del Natale bisogna andare sugli altipiani dell´Hindu Kush, tra Afghanistan e Kashmir. Dove vivono gli ultimi pagani. Sono i fieri Kalasha, gelosi custodi delle loro remotissime tradizioni indoeuropee. Questi uomini che sapevano d´antico già nel 330 avanti Cristo, quando Alessandro Magno li incontrò durante la sua marcia verso Jelalabad, ci rivelano le radici della nostra storia e della nostra religione. Il loro grandioso rito solstiziale d´inverno, dodici giorni che iniziano con la discesa del dio tra gli uomini e si concludono con l´inizio del nuovo anno, è infatti l´archeologia vivente della natività. A dirlo è l´antropologo Augusto Cacopardo in un libro appena uscito per l´editore Sellerio. Il titolo, più che eloquente, è Natale pagano (Sellerio, pp. 476, euro 20). Argomento è la millenaria gestazione di una festa che non sarebbe stata inventata dal cristianesimo ma comincia molto prima.
In realtà sono stati in molti a sostenere che la madre di tutte le festività dell´Occidente nasce da antichi riti agrari e astronomici precristiani. Come quelli dell´Atene di Pericle, culla della democrazia occidentale, dove nell´ultima decade di dicembre si addobbava un albero sempreverde con coppe e otri in onore di Dioniso, il dio del vino che offre in pasto il suo corpo e il suo sangue. Mentre a Roma, sempre in dicembre, durante i Saturnali si ornavano le case con abeti e altri alberi perenni, simboli della vita che continua. Il tutto culminava nella festa di Mitra, il dio solare nato in una grotta e rappresentato come un bambino risplendente di luce. La sua nascita coincideva con il solstizio d´inverno, quando le giornate cominciano ad allungarsi e il sole ha il sopravvento sulle tenebre. Stessa cosa facevano i Celti dell´Europa del Nord che nello stesso periodo offrivano alle divinità della luce composizioni di vischio e rami di abete.
Il libro di Cacopardo aggiunge a queste ipotesi storiche una prova vivente. I Kalasha, che hanno resistito a ogni tentativo di cristianizzazione e di islamizzazione, continuano infatti a professare una religione sorprendentemente simile a quella dell´antichità. Questi montanari variopinti che Fosco Maraini trovava più antichi che esotici, appaiono come l´eco presente di un tempo lontanissimo, il riverbero di un passato remoto miracolosamente conservato in una bolla della storia. Sospesa a duemila metri sulle alture rarefatte di Birir, a due passi dai teatri di guerra dell´Afghanistan. Questi portatori sani di un´origine altrove scomparsa ci fanno toccare con mano lo spirito della religione prima dell´arrivo dei monoteismi. E soprattutto ritrovare il politeismo degli antichi popoli indoeuropei, spesso ancora presente sotto traccia nel nostro folklore. E perfino nelle nostre grandi solennità religiose.
La grandiosa festa del solstizio d´inverno, che i Kalasha chiamano Chaumos, è a tutti gli effetti un natale prima del Natale. È la matrice ideale della nostra notte incantata. Con il dio luminoso Indr - parente stretto di Indro, nome locale dell´arcobaleno, nonché di Indra, signore della folgore nel pantheon induista - che discende a visitare gli uomini nel periodo più buio dell´anno e dispensa loro la sua energia come un dono benefico. Se si aggiungono i rami di vischio, le abbuffate rituali di lenticchie di montagna, la notte di vigilia in attesa dell´avvento del dio, i doni ai bambini e i fuochi che rischiarano la notte innevata, gli ingredienti del nostro Natale ci sono tutti. A parte "Jingle Bells". Ma non è poi così grave.
Non sarebbe Gesù bambino a fare il Natale, dunque, ma il natale a fare Gesù bambino. Sembra questo il messaggio degli ultimi pagani. Che pare fatto apposta per dar ragione a Sant´Agostino il quale diffidava i cristiani dal celebrare il sole a dicembre perché era roba da idolatri. O a quei sacerdoti francesi che, alla fine degli anni Cinquanta, bruciarono il fantoccio di Babbo Natale sul sagrato della cattedrale di Digione considerandolo un simbolo perverso di paganesimo e al tempo stesso di consumismo. Che sono, a pensarci bene, il prima e il dopo della modernità. Due estremi della storia mescolati insieme. A conclusione di un cammino millenario di cui gli ultimi pagani continuano ancora oggi a celebrare l´inizio.