Tuesday, December 21, 2010

Natale nel Kashmir ecco le origini pagane di Gesù Bambino

La Repubblica 20.12.10
Natale nel Kashmir ecco le origini pagane di Gesù Bambino
di Marino Niola

La festa del solstizio d´inverno della tribù dei Kalasha ha molte somiglianze con quella della natività di Cristo L´antropologo Augusto Cacopardo ha studiato il significato dell´antico rituale, che dura dodici giorni
La popolazione, che vive tra Pakistan e Afghanistan, custodisce le sue radici indoeuropee
L´attesa del dio Indr è associata ad abbuffate di lenticchie e doni per i più piccoli

Per ritrovare l´origine del Natale bisogna andare sugli altipiani dell´Hindu Kush, tra Afghanistan e Kashmir. Dove vivono gli ultimi pagani. Sono i fieri Kalasha, gelosi custodi delle loro remotissime tradizioni indoeuropee. Questi uomini che sapevano d´antico già nel 330 avanti Cristo, quando Alessandro Magno li incontrò durante la sua marcia verso Jelalabad, ci rivelano le radici della nostra storia e della nostra religione. Il loro grandioso rito solstiziale d´inverno, dodici giorni che iniziano con la discesa del dio tra gli uomini e si concludono con l´inizio del nuovo anno, è infatti l´archeologia vivente della natività. A dirlo è l´antropologo Augusto Cacopardo in un libro appena uscito per l´editore Sellerio. Il titolo, più che eloquente, è Natale pagano (Sellerio, pp. 476, euro 20). Argomento è la millenaria gestazione di una festa che non sarebbe stata inventata dal cristianesimo ma comincia molto prima.
In realtà sono stati in molti a sostenere che la madre di tutte le festività dell´Occidente nasce da antichi riti agrari e astronomici precristiani. Come quelli dell´Atene di Pericle, culla della democrazia occidentale, dove nell´ultima decade di dicembre si addobbava un albero sempreverde con coppe e otri in onore di Dioniso, il dio del vino che offre in pasto il suo corpo e il suo sangue. Mentre a Roma, sempre in dicembre, durante i Saturnali si ornavano le case con abeti e altri alberi perenni, simboli della vita che continua. Il tutto culminava nella festa di Mitra, il dio solare nato in una grotta e rappresentato come un bambino risplendente di luce. La sua nascita coincideva con il solstizio d´inverno, quando le giornate cominciano ad allungarsi e il sole ha il sopravvento sulle tenebre. Stessa cosa facevano i Celti dell´Europa del Nord che nello stesso periodo offrivano alle divinità della luce composizioni di vischio e rami di abete.
Il libro di Cacopardo aggiunge a queste ipotesi storiche una prova vivente. I Kalasha, che hanno resistito a ogni tentativo di cristianizzazione e di islamizzazione, continuano infatti a professare una religione sorprendentemente simile a quella dell´antichità. Questi montanari variopinti che Fosco Maraini trovava più antichi che esotici, appaiono come l´eco presente di un tempo lontanissimo, il riverbero di un passato remoto miracolosamente conservato in una bolla della storia. Sospesa a duemila metri sulle alture rarefatte di Birir, a due passi dai teatri di guerra dell´Afghanistan. Questi portatori sani di un´origine altrove scomparsa ci fanno toccare con mano lo spirito della religione prima dell´arrivo dei monoteismi. E soprattutto ritrovare il politeismo degli antichi popoli indoeuropei, spesso ancora presente sotto traccia nel nostro folklore. E perfino nelle nostre grandi solennità religiose.
La grandiosa festa del solstizio d´inverno, che i Kalasha chiamano Chaumos, è a tutti gli effetti un natale prima del Natale. È la matrice ideale della nostra notte incantata. Con il dio luminoso Indr - parente stretto di Indro, nome locale dell´arcobaleno, nonché di Indra, signore della folgore nel pantheon induista - che discende a visitare gli uomini nel periodo più buio dell´anno e dispensa loro la sua energia come un dono benefico. Se si aggiungono i rami di vischio, le abbuffate rituali di lenticchie di montagna, la notte di vigilia in attesa dell´avvento del dio, i doni ai bambini e i fuochi che rischiarano la notte innevata, gli ingredienti del nostro Natale ci sono tutti. A parte "Jingle Bells". Ma non è poi così grave.
Non sarebbe Gesù bambino a fare il Natale, dunque, ma il natale a fare Gesù bambino. Sembra questo il messaggio degli ultimi pagani. Che pare fatto apposta per dar ragione a Sant´Agostino il quale diffidava i cristiani dal celebrare il sole a dicembre perché era roba da idolatri. O a quei sacerdoti francesi che, alla fine degli anni Cinquanta, bruciarono il fantoccio di Babbo Natale sul sagrato della cattedrale di Digione considerandolo un simbolo perverso di paganesimo e al tempo stesso di consumismo. Che sono, a pensarci bene, il prima e il dopo della modernità. Due estremi della storia mescolati insieme. A conclusione di un cammino millenario di cui gli ultimi pagani continuano ancora oggi a celebrare l´inizio.