Topi che ridono e maiali che provano nostalgia
Liberazione del 11 settembre 2008, pag. 17
di Annamaria Manzoni
Chiunque abbia un animale sa perfettamente a cosa ci si riferisce quando si parla dei loro sentimenti e delle loro emozioni; conosce l'imbarazzante capacità del proprio cane di immensamente gioire per ogni ritorno quotidiano del suo compagno umano rimasto lontano solo per poche ore come quella di farsi invadere dall'angoscia con crisi di inappetenza al solo vedere ricomparire valigie che risvegliano il ricordo di separazioni inaccettabilmente prolungate; distingue il miagolio di protesta da quello di pigra soddisfazione del micio di famiglia; addirittura si accorge quando gli scatti del suo pesce nell'acquario testimoniano inquietudine e nervosismo o invece, sinuosi e lenti, lo rivelano appagato e tranquillo.
Insomma, la conoscenza e la familiarità, mediati dall'affetto, consentono di prendere atto dell'esistenza articolata di un mondo interiore degli altri animali, fatto per altro già evidenziato alla metà del 1800 da Darwin, che aveva riconosciuto che essi provano emozioni di tutti i tipi: sono gelosi e nostalgici, sentono simpatie ed antipatie, sanno divertirsi e desiderano giocare.
Altri studiosi più recentemente hanno evidenziato che tali caratteristiche non sono tipiche solo dei nostri animali di affezione, ai quali siamo orgogliosi di riconoscerle, ma appartengono anche a specie insospettate. E' stato dimostrato, per esempio, che giovani porcellini d'India subiscono una forma di stress collegabile ad un vissuto di tristezza se vengono separati dalla madre; che gli orango manifestano gioia di vivere quando per esempio giocosamente agitano le mani nell'acqua, che i bufali talvolta si lasciano scivolare sul ghiaccio con muggiti di piacere e i macachi che si divertono a tirarsi palle di neve.
Non tutti sanno poi, e forse preferiscono ignorare, che persino i topi, sì proprio loro, sono in grado di provare solidarietà di specie e addirittura di ridere, quando per gioco si azzuffano con i loro simili, o quando qualche "ricercatore" si prende la briga di accarezzarli sulla nuca.
Insomma, a ben guardare e a metterli tutti insieme, sembra di essere all'interno di uno di quei cartoon destinati ai bambini, in cui ogni animale mette in circolo l'intera gamma dei comportamenti umani davanti ai piccoli spettatori che approvano e assentono senza stupore. E forse non è un caso: perché gli adulti, se non si sono mai posti prima il problema, arrivano ad accettare l'idea della vita emotiva degli animali superando lo scetticismo iniziale attraverso un percorso di conoscenza. I bambini, invece, nella loro naturalezza e con il loro spontaneo sentire, capiscono istintivamente il mondo degli animali, perché, come dice Jeffrey Moussaief ( Nel regno dell'armonia ), «sembrano percepire qualcosa di fondamentale riguardo agli animali e alla loro vita emotiva che gli adulti tendono a dimenticare; avvertono la loro somiglianza al proprio giovane essere».
Quindi, è accertato, gli animali non umani condividono con quelli umani un mondo interno animato da affetti, desideri, nostalgie, emozioni.
Ma purtroppo una gigantesca opera di negazione collettiva ci ha indotto a divulgare ed accettare di molti di loro solo caratteristiche negative e repellenti: non è un caso, perché solo svalutando la loro natura e svilendoli con rappresentazioni sfavorevoli riteniamo di legittimare l'orrendo uso che siamo soliti fare delle loro vite, quando li riduciamo a puri oggetti d'uso segregati nei raccapriccianti allevamenti intensivi, quando li sottoponiamo a dolorosissime amputazioni funzionali al nostro esclusivo benessere, e quando li obblighiamo ad una morte precoce e spaventevole.
Ancora prima degli studiosi, sono stati poeti e scrittori a guardare oltre l'immagine reificata che abbiamo appiccicato addosso a tante specie e a vedere in esse potenzialità che travalicano quelle umane: la compassione di scimmie capaci di lasciarsi morire di fame pur di non nuocere ad un loro simile, la sensibilità degli elefanti che piangono i loro morti con lacrime che solo la limitatezza umana scambia per pura secrezione organica, la giocosità dei maiali che sognano guardando la luna, la paura del vitello condotto al macello che inutilmente muggisce all'uomo il suo strazio.
Credo sia davvero venuto il momento di prendere atto di tutto questo e di vedere il grande errore che è alla base dell'organizzazione che abbiamo dato al mondo, a questo mondo che il premio Nobel per la letteratura Josè Saramago senza eufemismi, definisce sbagliato, non imperfetto: sbagliato. E si augura che «ne venga un altro» che percorra le strade del rispetto e della compassione per ogni essere vivente.
E' un progetto realizzabile? Siamo ancora in tempo per cambiare direzione e risalire dall'abisso di indifferenza e crudeltà in cui siamo precipitati? Ognuno darà la propria risposta e deciderà se ancora ergersi arrogante sopra le altre specie o umilmente mettersi in terra in mezzo agli animali, come diceva Kafka, e solo da lì poter vedere il cielo con le stelle.
Liberazione del 11 settembre 2008, pag. 17
di Annamaria Manzoni
Chiunque abbia un animale sa perfettamente a cosa ci si riferisce quando si parla dei loro sentimenti e delle loro emozioni; conosce l'imbarazzante capacità del proprio cane di immensamente gioire per ogni ritorno quotidiano del suo compagno umano rimasto lontano solo per poche ore come quella di farsi invadere dall'angoscia con crisi di inappetenza al solo vedere ricomparire valigie che risvegliano il ricordo di separazioni inaccettabilmente prolungate; distingue il miagolio di protesta da quello di pigra soddisfazione del micio di famiglia; addirittura si accorge quando gli scatti del suo pesce nell'acquario testimoniano inquietudine e nervosismo o invece, sinuosi e lenti, lo rivelano appagato e tranquillo.
Insomma, la conoscenza e la familiarità, mediati dall'affetto, consentono di prendere atto dell'esistenza articolata di un mondo interiore degli altri animali, fatto per altro già evidenziato alla metà del 1800 da Darwin, che aveva riconosciuto che essi provano emozioni di tutti i tipi: sono gelosi e nostalgici, sentono simpatie ed antipatie, sanno divertirsi e desiderano giocare.
Altri studiosi più recentemente hanno evidenziato che tali caratteristiche non sono tipiche solo dei nostri animali di affezione, ai quali siamo orgogliosi di riconoscerle, ma appartengono anche a specie insospettate. E' stato dimostrato, per esempio, che giovani porcellini d'India subiscono una forma di stress collegabile ad un vissuto di tristezza se vengono separati dalla madre; che gli orango manifestano gioia di vivere quando per esempio giocosamente agitano le mani nell'acqua, che i bufali talvolta si lasciano scivolare sul ghiaccio con muggiti di piacere e i macachi che si divertono a tirarsi palle di neve.
Non tutti sanno poi, e forse preferiscono ignorare, che persino i topi, sì proprio loro, sono in grado di provare solidarietà di specie e addirittura di ridere, quando per gioco si azzuffano con i loro simili, o quando qualche "ricercatore" si prende la briga di accarezzarli sulla nuca.
Insomma, a ben guardare e a metterli tutti insieme, sembra di essere all'interno di uno di quei cartoon destinati ai bambini, in cui ogni animale mette in circolo l'intera gamma dei comportamenti umani davanti ai piccoli spettatori che approvano e assentono senza stupore. E forse non è un caso: perché gli adulti, se non si sono mai posti prima il problema, arrivano ad accettare l'idea della vita emotiva degli animali superando lo scetticismo iniziale attraverso un percorso di conoscenza. I bambini, invece, nella loro naturalezza e con il loro spontaneo sentire, capiscono istintivamente il mondo degli animali, perché, come dice Jeffrey Moussaief ( Nel regno dell'armonia ), «sembrano percepire qualcosa di fondamentale riguardo agli animali e alla loro vita emotiva che gli adulti tendono a dimenticare; avvertono la loro somiglianza al proprio giovane essere».
Quindi, è accertato, gli animali non umani condividono con quelli umani un mondo interno animato da affetti, desideri, nostalgie, emozioni.
Ma purtroppo una gigantesca opera di negazione collettiva ci ha indotto a divulgare ed accettare di molti di loro solo caratteristiche negative e repellenti: non è un caso, perché solo svalutando la loro natura e svilendoli con rappresentazioni sfavorevoli riteniamo di legittimare l'orrendo uso che siamo soliti fare delle loro vite, quando li riduciamo a puri oggetti d'uso segregati nei raccapriccianti allevamenti intensivi, quando li sottoponiamo a dolorosissime amputazioni funzionali al nostro esclusivo benessere, e quando li obblighiamo ad una morte precoce e spaventevole.
Ancora prima degli studiosi, sono stati poeti e scrittori a guardare oltre l'immagine reificata che abbiamo appiccicato addosso a tante specie e a vedere in esse potenzialità che travalicano quelle umane: la compassione di scimmie capaci di lasciarsi morire di fame pur di non nuocere ad un loro simile, la sensibilità degli elefanti che piangono i loro morti con lacrime che solo la limitatezza umana scambia per pura secrezione organica, la giocosità dei maiali che sognano guardando la luna, la paura del vitello condotto al macello che inutilmente muggisce all'uomo il suo strazio.
Credo sia davvero venuto il momento di prendere atto di tutto questo e di vedere il grande errore che è alla base dell'organizzazione che abbiamo dato al mondo, a questo mondo che il premio Nobel per la letteratura Josè Saramago senza eufemismi, definisce sbagliato, non imperfetto: sbagliato. E si augura che «ne venga un altro» che percorra le strade del rispetto e della compassione per ogni essere vivente.
E' un progetto realizzabile? Siamo ancora in tempo per cambiare direzione e risalire dall'abisso di indifferenza e crudeltà in cui siamo precipitati? Ognuno darà la propria risposta e deciderà se ancora ergersi arrogante sopra le altre specie o umilmente mettersi in terra in mezzo agli animali, come diceva Kafka, e solo da lì poter vedere il cielo con le stelle.