Monday, October 20, 2008

Stato e Chiesa Lo storico Paul Veyne racconta come cristianesimo e paganesimo convissero a Roma

Corriere della Sera 20.10.08
Stato e Chiesa Lo storico Paul Veyne racconta come cristianesimo e paganesimo convissero a Roma
Costantino si convertì per scelta personale: non fu calcolo politico
di Eva Cantarella

«L'Europa è democratica, laica e libera: tutte cose estranee al cattolicesimo»

È il 28 ottobre 312 d.C. Alla periferia di Roma, lungo il Tevere, le truppe di Costantino affrontano quelle dell'usurpatore Massenzio. Costantino, in quel momento, governa una delle quattro parti in cui è diviso l'impero romano: Gallia, Britannia e Spagna. Dovrebbe governare anche l'Italia, ma Massenzio se ne è impadronito. Sull'elmo di Costantino e sugli scudi dei suoi soldati è inciso il crisma, un segno formato dalle prime due lettere greche del nome di Cristo, una X (chi) e una P (rho), sovrapposte e intrecciate. La notte precedente, gli è stato rivelato in sogno: in hoc signo vinces, «sotto questo segno vincerai ». E Costantino vince: è la celebre vittoria di Ponte Milvio. Due giorni dopo entra a Roma, percorrendo la Via Lata (attuale via del Corso). È questo il giorno, dice Paul Veyne, in cui si può fissare il passaggio dall'antichità all'epoca cristiana, uno degli avvenimenti decisivi della storia non solo occidentale, ma mondiale.
Così, da questo racconto, prende le mosse l'ultimo libro di Paul Veyne, lo storico che ci regala, periodicamente, libri stimolanti, affascinanti e coinvolgenti come pochi altri: Quando l'Europa è diventata cristiana (312-394). Costantino, la conversione, l'Impero. Alla profonda dottrina e alla impressionante padronanza delle fonti Veyne unisce, infatti, la rara capacità di fare della storia un racconto, prospettando tesi originali, anticonformiste, spesso formulate in poche, spiazzanti parole (seguite, beninteso, da una amplissima e documentata motivazione). Un esempio: «Senza Costantino il cristianesimo sarebbe rimasto una setta di avanguardia». Riferita a una religione i cui fedeli, oggi, sparsi in tutto il mondo, ammontano a un miliardo e mezzo di persone, un'affermazione sorprendente.
La convinzione di Veyne mal si accorda con quel che siamo abituati a pensare in materia. Ma come, si chiede il lettore, il cristianesimo non era la sola religione capace di dare una prospettiva alle inquietudini del-l'epoca, di soddisfare esigenze personali e sociali che solo in essa potevano trovare risposta? Non è a questo che sono dovuti il suo successo e la sua diffusione?
Veyne, pur ovviamente attento ai complessi meccanismi della storia, prospetta una risposta inedita: se questo accadde fu grazie alla politica rivoluzionaria di Costantino, destinata ad avere un peso gigantesco nella storia dei secoli a venire. Cominciamo dall'inizio: la sua conversione, dice Veyne, fu assolutamente sincera. La tesi ottocentesca secondo la quale, militare e politico senza scrupoli, Costantino si sarebbe convertito per mero calcolo non ha fondamento: i cristiani, allora, erano solo un decimo della popolazione dell'Impero. Troppo pochi per far pensare a una ragione opportunistica. La conversione fu un fatto interiore, una scelta del tutto personale. Ma Costantino ne fece un uso degno di un grande imperatore. La Chiesa, fondatasi e sviluppatasi al di fuori del potere imperiale, avrebbe potuto essere un rivale di questo. Costantino si pose come interlocutore dei vescovi, sul loro stesso livello, presentandosi come il braccio esecutivo delle loro decisioni. Scrive Veyne: «Costantino non ha messo l'altare al servizio del trono, ha fatto il contrario: ha ritenuto che gli affari e i progressi della Chiesa fossero una missione essenziale dello Stato: la novità è che con il cristianesimo ha inizio a tutti gli effetti l'ingresso del sacro in politica e nel potere, che "la mentalità primitiva" si limitava ad avvolgere con un'infinità di superstizioni ». Egli aveva capito l'incredibile potenziale della nuova religione, che non stava in una morale superiore a quella delle altre. Anche gli ebrei, anche i pagani sapevano che non dovevano uccidere e non dovevano rubare. La novità cristiana stava nell'amore che legava tra loro i fedeli e ciascun fedele personalmente al dio. Fu questo il capolavoro della religione cristiana, dice Veyne. Il secondo fu la Chiesa, che Costantino favorì in ogni modo, senza peraltro mai vietare il paganesimo, e tantomeno perseguitare i pagani.
Con Costantino — e a lungo, dopo di lui — paganesimo e cristianesimo convissero. Fino a quando Teodosio vietò i culti pagani, facendo del cristianesimo la religione ufficiale dell'Impero. Le vicende di quei secoli sono tracciate in capitoli che consentono a Veyne di affrontare problemi ai quali qui è possibile solo accennare: cos'è il sentimento religioso? Quale il rapporto tra cristiani, pagani ed ebrei? Quale l'atteggiamento degli imperatori cristiani nei confronti degli altri culti? Per Costantino, se i pagani sono solo «stupidi », gli ebrei sono una «setta nefasta »: quando nasce l'antisemitismo? Qual è la differenza tra questo e il razzismo?
Superfluo insistere sull'interesse di questi capitoli. Per non parlare di quello intitolato: «L'Europa ha radici cristiane?». La risposta di Veyne è negativa: «La nostra Europa attuale — scrive — è democratica, laica, sostenitrice della libertà religiosa, dei diritti dell'uomo, della libertà di pensare, della libertà sessuale, del femminismo e del socialismo o della riduzione delle disuguaglianze. Tutte cose estranee e talvolta in contrasto con il cattolicesimo di ieri e di oggi. La morale cristiana invece predicava l'ascetismo, che non ci appartiene più, l'amore verso il prossimo (un vasto programma, rimasto imprecisato) e insegnava a non uccidere e non rubare, ma lo sapevamo già tutti... Se non potessimo fare a meno di individuare dei padri spirituali, la nostra modernità potrebbe indicare Kant o Spinoza: quando quest'ultimo scrive nell'Etica che "portare aiuto a coloro che ne hanno bisogno va ben oltre le capacità e l'interesse dei singoli. La cura dei poveri si impone, perciò, alla società intera e riguarda l'interesse comune" è più vicino a noi di quanto non lo sia il Vangelo ».
Le tesi di Paul Veyne si possono condividere o non condividere, i suoi libri si possono amare o criticare, ma è difficile leggerli senza essere affascinati dalla mente libera e brillante di chi li ha scritti, da una scrittura che trasforma una sterminata dottrina in un grande affresco storico nel quale si fondono eventi, persone e idee; e da ultimo — solo nell'elencazione — dalla capacità di un grande accademico (oggi professore onorario del Collège de France, dove ha insegnato per anni) di non essere mai accademico. Di essere se stesso, un grande storico e uno spirito libero.
PAUL VEYNE Quando l'Europa è diventata cristiana (312-394) GARZANTI PP. 204, e 23