E' in corso una campagna internazionale per assegnare il Premio Nobel per la pace 2007 al
presidente boliviano Evo Morales.
Anche questo blog aderisce a questa iniziativa.
Per comprendere alcune delle ragioni di questa campagna, pubblichiamo un articolo che fornisce alcune interessanti notizie storiche sulle popolazione indie che hanno contribuito alla elezione di Evo Morales a presidente della Bolivia.
Ricordiamo che Domenica 9 settembre 2007, a Cittadella (padova), nella piazza principale, per tutta la giornata sarà allestino un tavolo per poter sottoscrivere la petizione a favore di Evo Morales.
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La Repubblica, 29 Gennaio 2006
Inti, Pachamama, Viracocha e gli altri sopravvissuti allo zelo dei missionari
Nel 1599 il vescovo di Lima, nella relazione a Roma sullo stato della diocesi, scrisse che gli indios, seppure battezzati, erano "externa facie christianos, interna facie idolatras"; essi inoltre veneravano i loro idoli e feticci in grotte, spelonche e rupi, sugli alti monti. "Oltre al sole ed alla luna, adorano una gran quantità di dei, che superano in numero quelli dei Greci e dei Romani"; hanno tantissimi idoli, di pietra, legno o fusi in metallo; pregano i lari e i penati; credono in antiche favole, nelle metamorfosi, nelle magie; vengono indotti a simulare la fede cristiana permanendo nell' idolatria. Quello che fu l' immenso impero Inca, dall' Ecuador al nord del Cile, era - due generazioni dopo l' arrivo di Pizarro - soggiogato e "pacificato" ma, a dispetto delle formali conversioni, l' anima degli indios non era stata conquistata. Più di un secolo e mezzo dopo, nel 1759, il vescovo di Arequipa, nella sua relazione, descrive gli indios "in summa paupertate", di apparente umile e docile indole, ma inclini a conservare l' idolatria per il sole e per la luna, dediti a malefizi e magie, indifferenti alla predicazione dei parroci. La lettura delle relazioni - conservate nell' Archivio Segreto Vaticano - relative ad altre diocesi in Ecuador, Perù o Bolivia, porta alla luce analoghi giudizi, e fa ritenere che la vita spirituale e religiosa continuasse a lungo a svolgersi su due piani, quello esteriore, conforme al cattolicesimo, e quello interiore, ancora impregnato di religiosità tradizionale. La Conquista dei regni americani che avevano evidenti capacità "politiche" venne giustificata dalla necessità di ricondurre gli infedeli alla "vera fede", che essi non potevano conoscere. La cristianizzazione degli indios divenne finalità primaria della Conquista a giustificazione morale e giuridica del soggiogamento di interi popoli. Tra i primi atti di Cortés ci fu la richiesta a Carlo V di inviare religiosi in Messico per procedere all' opera di evangelizzazione. Francescani, Domenicani e Agostiniani - e più tardi i Gesuiti ed altri ordini - affluirono nel Nuovo Mondo, fondando conventi, chiese e parrocchie, procedendo a conversioni di massa, battezzando e celebrando nozze e funerali, indottrinando e catechizzando. Quest' opera immane ebbe un buon successo in Messico, dove la cristianizzazione si radicò con rapidità e con intima adesione della popolazione. In altre aree - nelle isole e nelle coste dei Caraibi, nel profondo delle civiltà Maya, in Brasile - si generò spesso un sincretismo religioso che mescolava motivi originari, elementi cristiani ed africani (nelle regioni dove la schiavitù era diffusa), in un impasto che la Chiesa finì per tollerare. Nell' area andina, invece, sembra rimanere a lungo la separazione tra religiosità tradizionale e cristianesimo della quale il vescovo di Lima, come tutto il clero, era ben cosciente. Eppure ogni sforzo era stato fatto per sradicare i culti tradizionali e distruggerne i simboli: dopo le lunghe guerre civili tra le fazioni di spagnoli, fiancheggiati da decine di migliaia di ausiliari indios di etnie e tribù diverse, il paese, verso la metà del Cinquecento, era devastato, le popolazioni disperse lontano dai centri o dalle le vie di comunicazione, fuori della portata degli spagnoli, e un' irriducibile ridotta leale all' Inca era insediata in valli inaccessibili come una spina nel fianco per gli Spagnoli. Negli anni Settanta di quel secolo, il Viceré Toledo fu un deciso, inflessibile e capace normalizzatore del paese, e operò con successo la relocalizzazione della popolazione dispersa in nuovi villaggi. Nel suo memoriale a Filippo II, al termine del mandato, scrisse: "Non era possibile indottrinare questi indios né farli vivere in ordine politico senza sottrarli ai loro nascondigli… si trasferirono e condussero ai villaggi… e si tracciarono strade a scacchiera, secondo il piano dei villaggi abitati da spagnoli, ponendo le porte delle case rivolte alla strada perché potessero essere visti e visitati dalla giustizia e dai sacerdoti". I villaggi inoltre dovevano essere posti in luoghi lontani da quelli di culto e dai santuari indigeni. Ciò che si sa sulla religiosità, sulle deità, sulle cerimonie degli indios anteriormente alla Conquista proviene, per lo più, da testimoni, cronisti e storici spagnoli - come Cieza de Leon, Juan de Betanzos, Cristobal da Molina - o che guardavano il mondo indigeno con gli occhi degli spagnoli - come nel caso di Garcilaso de la Vega, figlio di una principessa Inca e di un conquistador, autore dei famosissimi Commentari reali degli Incas e completamente ispanizzato. Esistevano anche ecclesiastici il cui compito particolare era quello di sradicare l' idolatria, e che ne descrivono vari aspetti in scritti e trattati, sermoni e rapporti. La religione degli Inca era "un amalgama di culti naturisti, di feticismo elementare, di credenze animiste, di voli teologici e di cerimonie complesse e raffinate fortemente venate di magia" (Métraux). Una religione dominata dal dio Sole (Inti) e dal suo culto, servito da un gran numero di sacerdoti e da quattromila sacerdotesse - si dice - nella città di Cuzco. Una deità cui si facevano sacrifici, si rendevano offerte di oro, argento e ricchi tessuti, che possedeva terre e greggi. Per la quale fu eretto il magnifico tempio del Sole a Cuzco. Altrettanto importante fu il culto di Viracocha, il creatore e l' eroe civilizzatore, che assume preminenza nel pantheon incaico con l' imperatore Pachacuti. Molto riverito era anche il dio Tuono, signore dei fulmini, della grandine e della pioggia. Idoli, simboli e feticci erano adorati nei santuari, o huaca, ma questa parola si usava anche per tutto ciò che era eccezionale, strano, mostruoso, o comunque manifestazione del sovrannaturale. Uno dei miti dice che il dio Viracocha emerse dalle acque del lago Titicaca e creò nella vicina Tiwanako il sole, il giorno, la luna e le stelle: Tiwanako, che fu al centro di una civiltà di cui gli Inca furono eredi, e nel cui maestoso sito archeologico si è insediato con una solenne cerimonia indigena il neo-presidente boliviano Evo Morales. Memore, sicuramente, che nell' animo indigeno le antiche radici non sono mai state definitivamente strappate.
"La Repubblica" Massimo Livi Bacci