Corriere della Sera 17.11.08
Lo psicoanalista James Hillman rivela una dimensione nascosta nella dea della bellezza
E Afrodite conquistò la bilancia della Giustizia
di Eva Cantarella
Nacque dal mare, Afrodite. O meglio, dalla spuma del mare. Particolare non irrilevante: la spuma infatti, racconta Esiodo nella Teogonia, si era formata «attorno all'immortale membro ». Vale a dire, per chi non ricordasse la storia, attorno ai genitali di Urano, tagliati da suo figlio Crono e da questi gettati tra i flutti. Una storia in verità alquanto trucida, ma molto significativa. Afrodite è la dea di un amore associato alla sessualità, sia matrimoniale (quel poco di sessualità indispensabile alla funzione riproduttiva), sia, soprattutto, irregolare. Di regola, infatti, gli amori ispirati dalla dea sono illeciti: quello di Medea, ad esempio, quelli di Fedra e di Elena. Ma è sbagliato associare Afrodite solo all'amore e alla bellezza, dice James Hillman nel testo di una conferenza tenuta a Capri, pubblicata dalla casa editrice La Conchiglia nella bella traduzione e con le note (molto opportune) di Silvia Ronchey.
Come segnala il titolo — La giustizia di Afrodite — il libro ci conduce verso terreni inaspettati, abitualmente lontani dal mondo evocato dalla dea: la Giustizia, appunto, e in particolare il suo rapporto con la Bellezza. Un rapporto difficile, osserva Hillman, che coglie un presagio di questa difficoltà nella favola di Amore e Psiche, inserita nelle Metamorfosi di Apuleio. Psiche, una donna mortale così bella da essere venerata come una dea, suscita l'oltraggiata indignazione di Afrodite (per i romani Venere), che la punisce servendosi di suo figlio Eros (per i romani Cupido). Colpita dalle frecce del dio alato, la psiche umana soffre le pene d'amore: la giustizia di Afrodite.
Il trascurato legame della dea con il mondo del castigo emerge anche dal suo rapporto con un'altra divinità, Nemesi, ovvero la retribuzione, intesa come risposta a un'offesa intollerabile, che a volte provoca una reazione così passionale da superare la misura del dovuto. Ma Nemesi — legata al regno dei morti — nel suo culto a Smirne è circondata dalle Cariti, le Grazie: Thalia, la Fiorente; Aglaia, la Splendente; Kalle, la Bella; Euphrosyne, la Gioiosa. I greci non separavano l'amore dall'eccesso, la gioia dalla tragedia.
L'amore, dunque, è legato alla Giustizia: e questa, a sua volta, è legata alla Bellezza. Nel secondo inno omerico ad Afrodite, la dea, appena nata, viene accolta dalle Horai, le Ore, che la coprono con vesti bellissime, la incoronano d'oro, ornano i suoi lobi, il suo collo e il suo petto con preziosi monili. Ma le Ore sono figlie di Themis, la legge di natura, e si chiamano Eirene, la Pace, Dike, la Giustizia, ed Eunomia, il Buon Governo. Bellezza e giustizia non sono separate, come nel nostro mondo, in cui etica ed estetica (Bellezza e Giustizia, appunto) hanno camminato e camminano per strade diverse.
La mente occidentale ha perso le sue radici mitiche, dice Hillman: nella percezione collettiva Afrodite è priva di sensibilità etica.
Dobbiamo rivedere la nostra visione del mondo, far crollare le barriere che separano le discipline. Un discorso complesso, che richiederebbe più spazio di quello possibile, e molte competenze diverse. Una considerazione, tuttavia, viene alla mente, pensando al rapporto tra sentimenti, emozioni e impulsi, da un canto, e giustizia dall'altro.
Da secoli considerata territorio della ragione, al riparo della irrazionalità delle passioni, la giustizia è oggi al centro di un ripensamento da parte di giuristi, psicologi, sociologi, economisti e antropologi. In un numero speciale di «Theorethical Criminology», del 2002, si legge tra l'altro che «per avere un dibattito più razionale sul crimine e la giustizia, dobbiamo paradossalmente prestare più attenzione alla loro dimensione emozionale».
E Martha C. Nussbaum, a cavallo tra filosofia e diritto, sostiene che per comprendere la realtà e se stessi non basta la ragione. Neppure il diritto è solo logica: in esso devono vivere anche emozioni come l'amore, l'ansia, la vergogna, che non solo non sovvertono la moralità, ma, al contrario, hanno un ruolo etico nella costruzione della vita sociale.
Afrodite sembra riavvicinarsi alla giustizia. Che questo sia un bene o un male, naturalmente, può essere ed è oggetto di discussione. Ma indica un ripensamento su temi di grande attualità e importanza che sarebbe sbagliato sottovalutare.
Lo psicoanalista James Hillman rivela una dimensione nascosta nella dea della bellezza
E Afrodite conquistò la bilancia della Giustizia
di Eva Cantarella
Nacque dal mare, Afrodite. O meglio, dalla spuma del mare. Particolare non irrilevante: la spuma infatti, racconta Esiodo nella Teogonia, si era formata «attorno all'immortale membro ». Vale a dire, per chi non ricordasse la storia, attorno ai genitali di Urano, tagliati da suo figlio Crono e da questi gettati tra i flutti. Una storia in verità alquanto trucida, ma molto significativa. Afrodite è la dea di un amore associato alla sessualità, sia matrimoniale (quel poco di sessualità indispensabile alla funzione riproduttiva), sia, soprattutto, irregolare. Di regola, infatti, gli amori ispirati dalla dea sono illeciti: quello di Medea, ad esempio, quelli di Fedra e di Elena. Ma è sbagliato associare Afrodite solo all'amore e alla bellezza, dice James Hillman nel testo di una conferenza tenuta a Capri, pubblicata dalla casa editrice La Conchiglia nella bella traduzione e con le note (molto opportune) di Silvia Ronchey.
Come segnala il titolo — La giustizia di Afrodite — il libro ci conduce verso terreni inaspettati, abitualmente lontani dal mondo evocato dalla dea: la Giustizia, appunto, e in particolare il suo rapporto con la Bellezza. Un rapporto difficile, osserva Hillman, che coglie un presagio di questa difficoltà nella favola di Amore e Psiche, inserita nelle Metamorfosi di Apuleio. Psiche, una donna mortale così bella da essere venerata come una dea, suscita l'oltraggiata indignazione di Afrodite (per i romani Venere), che la punisce servendosi di suo figlio Eros (per i romani Cupido). Colpita dalle frecce del dio alato, la psiche umana soffre le pene d'amore: la giustizia di Afrodite.
Il trascurato legame della dea con il mondo del castigo emerge anche dal suo rapporto con un'altra divinità, Nemesi, ovvero la retribuzione, intesa come risposta a un'offesa intollerabile, che a volte provoca una reazione così passionale da superare la misura del dovuto. Ma Nemesi — legata al regno dei morti — nel suo culto a Smirne è circondata dalle Cariti, le Grazie: Thalia, la Fiorente; Aglaia, la Splendente; Kalle, la Bella; Euphrosyne, la Gioiosa. I greci non separavano l'amore dall'eccesso, la gioia dalla tragedia.
L'amore, dunque, è legato alla Giustizia: e questa, a sua volta, è legata alla Bellezza. Nel secondo inno omerico ad Afrodite, la dea, appena nata, viene accolta dalle Horai, le Ore, che la coprono con vesti bellissime, la incoronano d'oro, ornano i suoi lobi, il suo collo e il suo petto con preziosi monili. Ma le Ore sono figlie di Themis, la legge di natura, e si chiamano Eirene, la Pace, Dike, la Giustizia, ed Eunomia, il Buon Governo. Bellezza e giustizia non sono separate, come nel nostro mondo, in cui etica ed estetica (Bellezza e Giustizia, appunto) hanno camminato e camminano per strade diverse.
La mente occidentale ha perso le sue radici mitiche, dice Hillman: nella percezione collettiva Afrodite è priva di sensibilità etica.
Dobbiamo rivedere la nostra visione del mondo, far crollare le barriere che separano le discipline. Un discorso complesso, che richiederebbe più spazio di quello possibile, e molte competenze diverse. Una considerazione, tuttavia, viene alla mente, pensando al rapporto tra sentimenti, emozioni e impulsi, da un canto, e giustizia dall'altro.
Da secoli considerata territorio della ragione, al riparo della irrazionalità delle passioni, la giustizia è oggi al centro di un ripensamento da parte di giuristi, psicologi, sociologi, economisti e antropologi. In un numero speciale di «Theorethical Criminology», del 2002, si legge tra l'altro che «per avere un dibattito più razionale sul crimine e la giustizia, dobbiamo paradossalmente prestare più attenzione alla loro dimensione emozionale».
E Martha C. Nussbaum, a cavallo tra filosofia e diritto, sostiene che per comprendere la realtà e se stessi non basta la ragione. Neppure il diritto è solo logica: in esso devono vivere anche emozioni come l'amore, l'ansia, la vergogna, che non solo non sovvertono la moralità, ma, al contrario, hanno un ruolo etico nella costruzione della vita sociale.
Afrodite sembra riavvicinarsi alla giustizia. Che questo sia un bene o un male, naturalmente, può essere ed è oggetto di discussione. Ma indica un ripensamento su temi di grande attualità e importanza che sarebbe sbagliato sottovalutare.