Monday, August 13, 2007

La «generazione rubata» degli aborigeni

La «generazione rubata» degli aborigeni
di Marina Forti - 07/08/2007
da "Il Manifesto"
La «generazione rubata» degli aborigeni australiani ha segnato una vittoria legale che segnerà un precedente. Per la prima volta un tribunale ha riconosciuto a un cittadino di origine aborigena, il signor Bruce Trevorrow, un compenso finanziario per essere stato tolto ai suoi genitori quando aveva pochi mesi di vita, nel 1958, e dato in adozione a una famiglia «bianca». La Corte suprema dello stato della South Australia ha riconosciuto che toglierlo ai genitori naturali senza il loro consenso è stato un atto illegale, e ha decretato che l’uomo riceverà la somma di 525 mila dollari australiani (446 mila dollari Usa) come risarcimento.La sentenza ha un’importanza che va oltre il caso individuale perché la sorte di Bruce Trevorrow, che oggi ha 50 anni, è stata condivisa da decine di migliaia di bambini aborigeni in Australia - quelli che vengono chiamati la «generazione rubata». Rubata, perché la politica di assimilazione degli aborigeni, avviata a metà dell’800 e proseguita fino agli anni ’60 del 1900, consisteva nel togliere i bambini ancora piccolissimi alle loro famiglie per metterli in orfanostrofi o istituzioni religiose o affidarli a famiglie adottive, dove sarebbero stati educati alla cultura «bianca» anglosassone senza interferenze e senza nulla sapere delle proprie origini. Non una dunque ma molte generazioni di aborigeni sono state "rubate", perché la pratica è durata oltre un secolo: si pensi che ancora negli anni ’60 lo status giuridico dei discendenti aborigeni ricadeva nelle leggi di «protezione della flora e della fauna». Nel 1971 lo stato australiano ha formalmente messo fine alla politica di assimilazione: l’Australia però fa ancora fatica a fare i conti con questo aspetto del suo passato. Solo nel 1992 una sentenza della Corte suprema ha spazzato via la nozione ufficiale che il continente oceanico fosse disabitato quando per la prima volta arrivarono i colonizzatori europei, nel 1788 (secondo gli storici allora gli aborigeni erano circa 2 milioni e oggi sono circa 300mila, su 17 milioni di australiani: il 2,4% della popolazione). Nel ’94 il governo ha affidato alla Commissione nazionale per i diritti umani una speciale inchiesta sulla politica di assimilazione: chiarire il passato, si disse, era necessario per giungere alla «riconciliazione» tra i discendenti dei colonizzati e dei colonizzatori, gli aborigeni e i «bianchi» anglosassoni. Per tre anni la commissione raccolse testimonianze impressionanti sotto la guida del Commissario alla giustizia sociale Mick Dodson. Poi nel 1997 presentò al governo un rapporto di 700 pagine, sotto il titolo «Riportarli a casa» (Bringing them home). E’ allora che la parola genocidio è infine comparsa in un atto ufficiale: «La sistematica discriminazione razziale e il genocidio non possono essere banalizzati», «l’Australia deve pagare il suo debito». La Commissione aveva indagato anche il presente degli aborigeni: una minoranza esclusa, discriminata e impoverita, il gruppo sociale più facilmente disoccupato, homeless, con i tassi di istruzione più bassi... Gli aborigeni, diceva il rapporto, pagano le conseguenze della politica di assimilazione forzata in termini di disadattamento sociale, disfacimento del tessuto comunitario, alcoolismo, tossicodipendenza.Dieci anni dopo, ancora nessun premier australiano ha pronunciato le scuse formali della nazione ai figli dei suoi abitanti originari, come ha fatto invece la Conferenza episcopale già nel ’96. I discendenti degli aborigeni restano una minoranza esclusa. La recente proposta di vietare la vendita di alcool e mandare l’esercito nelle comunità aborigene per mettere fine alla violenza sui minori è stata denunciata come un segno del razzismo istituzionale nei loro confronti.Né scuse, né risarcimenti: ancora ieri il ministro federale per gli Affari indigeni, Mal Brough, ha dichiarato che non ci sarà un programma nazionale di compensi per i membri dell’ultima «generazione rubata». Se ne occupino gli stati e la chiesa, ha aggiunto.