Saturday, April 17, 2021

I più grandi falliti sono sommi simulatori

 I più grandi falliti sono sommi simulatori. Arrivano al rispetto di se stessi, che ogni momento possono perdere e debbono cercare sempre di nuovo, attraverso vie prettamente oscure e traverse. E per questo hanno bisogno del prossimo. Il loro amore è altrettanto illiberale quanto il loro odio. La loro scaltrezza sa come amare uno, per far sentire più acerbamente il proprio odio all’altro. Nel fondo del loro essere infatti sono vendicativi, non a cagione di vere offese, ma in conseguenza della loro natura corrotta. I più vicini a loro sono gli incerti di tutte le sfumature. Non sono pieni soltanto di pura avidità di vendetta, sebbene nella loro miseria vi incorrano facilmente. Tanto più sentono il pericolo di voler essere grandi, dell’orgoglio, della confidenza in se stessi, perfino della rettitudine e della schiettezza. Come certi individui si guardano dall’ubriachezza perché, simile a una risciaquatura, porta alla superficie il fango del loro temperamento, cosi essi non possono abbandonarsi a nessun genere di libertà per non diventare volgari. La grandezza può provocare doro solo le vertigini; l’orgoglio diventa millanteria, a ogni tentativo di confidenza in se stessi debbono inorridire della loro nascosta instabilità. Si fanno scrupolo di ogni cosa e stanno meglio di tutto quanto più strettamente si sentono legati a qualcosa.

La nuova morale è stata coniata per queste legioni di esseri inferiori. Essa non poteva lasciarli diventare grandi e vigorosi. Ma conveniva farne almeno qualche cosa, anzi tutto per la loro propria coscienza sofferente. Alla loro debolezza malevola la nuova morale oppose debolezza benevola: compassione, amore, umiltà e come ancora si chiama. Alcune di loro hanno un bel nome. Ma chi riuscirebbero a ingannare? Solo gli stessi individui problematici, che hanno bisogno di loro e a cui esse debbono dare una tinta di color vitale. Nonostante le parole roboanti, la loro morale non ha la più lontana parentela con quella grande lotta in cui, come dice Hòlderlin, il combattente ha imparato « a essere libero e orgoglioso ».

Walter F. Otto

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