Il
paganesimo, dunque, è innanzi tutto il contrario
esatto del cristianesimo; ed è proprio questo a costituire la sua forza
inquietante, forse la sua stessa eternità. Almeno
da tre punti di vista esso si distingue
radicalmente, pur nelle sue differenti manifestazioni, dal cristianesimo nelle
sue diverse versioni. Il paganesimo non è mai dualista e non oppone ne lo spirito al corpo ne
la fede alla conoscenza. Esso non istituisce la morale come principio esterno
rispetto ai rapporti di forza e di senso che traducono gli accidenti della vita
individuale e sociale. Esso postula una continuità tra ordine biologico e
ordine sociale che da un lato relativizza l'opposizione della vita individuale alla collettività
nella quale essa si inscrive, mentre dall'altro tende
a fare di ogni problema individuale o sociale un problema di lettura: esso
postula che ogni evento costituisca un segno e che ogni segno abbia un senso.
La salvezza, la trascendenza e il mistero gli sono essenzialmente estranei. Di
conseguenza il paganesimo accoglie la novità con interesse e spirito di
tolleranza; sempre pronto ad allungare la lista degli dèi, esso contempla
l'addizione, l'alternanza ma non la sintesi. Questa è certamente la ragione più
profonda del suo malinteso con il proselitismo cristiano: il paganesimo non ha
mai avuto, da parte sua, alcuna pratica missionaria.
Marc Auge', Genio del Paganesimo, Bollati
Boringhieri, 2002