L’universo è infinito e in esso ogni cosa vuole diventare divina. L’Eros non conosce indugio. Prima che la gloria più recente sia distrutta egli è già volato oltre, per cogliere il fiore del divenire. Giovani Dei e giovani Dee, per cui ancora nessun cuore si è infiammato, attendono di aprire gli occhi; e altri Dei dimenticati da secoli si preparano alla resurrezione. Il maggior rischio desta il maggior piacere. Dovunque sovrasta l’attimo sconfinato. Nel deserto, dove la nostalgia si faceva il segno della croce, su cime glaciali, innanzi alle quali il pensiero sbigottiva, l’ardimento trova la sua più nobile preda. E la realtà afferrata in un abbraccio, improvvisamente offre ad Eros nell’amorosa lotta un viso più familiare, un sorriso che lo rapisce nell’indescrivibile. Questo è l’evento supremo. È il mondo che comincia a risplendere, la realtà somma e più fugace toccata dal polline di tutte le idee divine. Ciò che rimane non è che fantasia, canzone e saga.
L’immagine divina, scolpita, dipinta, cantata o parlata, che l’istante infinito lascia dietro di sé come simbolo e pegno, può essere per l’Eros generatore solo una pietra di confine. Se egli si ferma, se s’innamora scioccamente degli occhi del cielo, se vuole inginocchiarsi, il suo demone lo fulmina improvvisamente con lo sguardo da quegli occhi. Egli comprende lo sguardo e ode nella lontananza i rintocchi di una nuova ora. Ma la folla di coloro che non sono liberi, degli animi teneri e spasimanti, che hanno bisogno di un gran padrone, di un’ancora di salvezza, di un cuore amoroso, si riuniscono tutti intorno all'immagine divina, l’adorano, costruiscono templi e la devota ubbidienza propaga la venerazione nei secoli. Il mondo è pieno di queste immagini. Dovunque noi guardiamo vediamo ima sala di statue o un campo di ruderi che raccontano molte cose. E migliaia di altari fumano davanti ai monumenti che ricordano il fulmine in cui Giove s’infiammò e si spense.