Sunday, June 15, 2008

Il Bene in balìa della fortuna

Il Sole 24 Ore Domenica 15.6.08
Il Bene in balìa della fortuna
Perché l'idea di separare la giustizia dagli accidenti della sorte si è rivelata illusoria. Non basta liberarsi dagli dèi
di Remo Bodei

«Vergogna e necessità» di Bernard Williarns è una penetrante analisi della moralità dei Greci. Conoscevano già colpe e responsabilità. Oggi sono di nuovo attuali per il loro senso della tragicità dell' esistenza, trascurato dai moderni
di Remo Bodei

A introdurre la distinzione tra «civiltà della vergogna» e «civiltà della colpa» è stata l'antropologa americana Ruth Benedict nel preparare uno studio per le forze armate degli Stati Uniti in vista di una possibile invasione del Giappone (resa poi inutile dalle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki). Il rapporto, pubblicato in forma di libro nel 1946 e intitolato Il crisantemo e la spada, contribuì a fissare questa divisione, ripresa e amplificata da due eminenti studiosi dell'antichità: Eric Dodds, in I greci e l'irrazionale, del 1951, e Arthur W. H. Adkins, in La morale dei Greci da Omero ad Aristotele, del 1960.
Con diverse sfumature, le loro tesi coincidono nell'affermare che, nelle società con forte impronta militare e aristocratica, la vergogna non ha valore morale, in quanto dipende dal giudizio altrui. Gli eroi omerici, nella fattispecie, agirebbero solo in funzione delle aspettative dei loro pari nell'ambito dell'onore e del coraggio. Solo a partire dal V secolo a.c., contando sull'allentamento dei vincoli etici della famiglia e della tribù, la democrazia ateniese avrebbe messo gli individui di fronte alla personale responsabilità delle loro azioni. Con la sua dottrina del peccato originale e con il sacramento della confessione, sarebbe stato, tuttavia, il cristianesimo ad istillare nelle persone e nelle istituzioni la civiltà della colpa, assurta a una superiore dignità nel rendere la colpa stessa il frutto marcio della libertà.
Il passaggio dalla civiltà della vergogna alla civiltà della colpa costituirebbe dunque un netto e definitivo progresso morale, il cui culmine viene raggiunto, sul piano filosofico, dal soggetto kantiano - che, assolutamente libero da qualsiasi condizionamento esterno, agisce sulla base di «imperativi categorici» -, e, sul terreno politico, dal liberalismo, che presuppone scelte coscienti da parte degli individui.
Bernard Williams sfida queste concezioni attraverso il suo caratteristico metodo della «descrizione filosofica di una realtà storica», che si serve di concetti thick, densi di concretezza, e non thin, sottili ed esangui come spesso accade nelle generalizzazioni di certi filosofi. Mostra così quanto falsa sia l'immagine convenzionale degli eroi omerici come amorali, poiché privi, nell'agire, di intima motivazione e di autonoma volontà e, pertanto, di sensi di colpa: «A me sembra che, nel mondo omerico, ci sia quanto basta delle concezioni essenziali dell'azione per la vita umana: la capacità di deliberare, di decidere, di agire, di fare degli sforzi, di sopportare». Questo non significa negare che vi siano stati progressi nella morale e proporre un anacronistico ritorno all'etica greca. Al contrario, lo sguardo di Williams è volto all'attualità: l'indagare i poemi omerici, la tragedia classica o il ruolo delle teorie di Platone e Aristotele, ci aiuta a comprendere meglio noi stessi e a sottoporre a esame critico la nostra presunzione di essere liberi decisori, dotati di un'identità tanto granitica da prescindere dalla necessità e dalla casualità delle situazioni. Tale confronto con gli albori della nostra cultura è oggi tanto più indispensabile, in quanto vacillano quelle certezze che avevano a lungo sorretto l'etica dell'Occidente.
Sul piano storico-filologico Williams constata che la nozione di vergogna, nel mondo greco, non dipende esclusivamente dalla paura di essere scoperti dalle persone sbagliate nel momento sbagliato. Essa ha, inoltre, un'estensione più ampia, inglobando aspetti di ciò che noi chiamiamo "colpa". Il fatto che questo termine non abbia equivalenti nella lingua greca, non esclude l'esperienza della colpa (sarebbe illuminante leggere il testo di Williams in parallelo con il volume di Douglas Cairns, Aidos. The Psychology and Ethics oJ Honour and Shame in Ancient Greek Literature, Oxford, Clarendon Press, 1993).
Diversamente da Nietzsche, un pensatore ammirato da Williams, in Vergogna e necessità le obbligazioni morali non affondano le loro radici - al pari della Genealogia della morale - in punizioni corporali ormai dimenticate e interiorizzate, per cui sarebbe stato il ripetuto, ma rimosso, taglio della mano ai ladri a trasformarsi in angoscia della coscienza morale dinanzi alla possibile violazione del comandamento «non rubare». Se è vero, per Williams, che «le esperienze più primitive della vergogna hanno a che fare con la vista e l'essere visto», mentre la colpa affonda «le sue
radici nell'ascolto», nel «risuonare In se stessi della voce del giudizio», bisognerebbe però riconoscere che la voce della coscienza (almeno nella forma del dissenso di Antigone o del demone di Socrate) risulta più potente e cogente nella tragedia e nella filosofia del V secolo rispetto al periodo arcaico.
Ciò che più sta a cuore a Williams è far vedere come il concetto moderno di individuo agente in sintonia con le proprie libere scelte omette un dato di cui i greci erano ben consapevoli: che ciascuno di noi è esposto al caso e alla necessità, ai rovesci di fortuna e alla coercizione della natura o della volontà altrui, come il nascere uomo o donna o l'essere ridotto in schiavitù. Ne consegue che la nostra identità è fragile e non separabile dalle circostanze esterne, dai condizionamenti naturali e storici (un tema che Williams ha acutamente affrontato in Sorte morale).
Le filosofie di stampo kantiano e il liberalismo esigono che fortuna e necessità «non prendano il posto di considerazioni di giustizia».
Credono in tal modo di arginare tali elementi di disturbo o di cacciarli fuori della cornice delle istituzioni, affidandosi alla speranza di mitigare il potere del caso e della necessità sugli individui o di «mostrare che ciò che non può essere mitigato non è ingiusto». La modernità è però in grado di offrire solo una «libertà metafisica», l'astratta convinzione che le nostre decisioni non dipendono da imposizioni esterne. Essa spinge così in secondo piano quanto non solo Marx, ma anche Stuart Mill, aveva osservato: che «gli ostacoli reali alla nostra libertà non sono metafisici, ma psicologici, sociali e politici». Rimuoverli non è facile; anche dopo esserci liberati dal timore che esistano poteri e necessità sovrannaturali - come gli dèi o il destino - che c'impongono determinati corsi d'azione.
I poemi omerici e le tragedie greche ci ricordano quel che spesso dimentichiamo: il nostro essere in gran parte ancora in balia dei capricci del caso e sotto il giogo della nècessità.

Bernard WiUiarns, «Vergogna e necessità», il Mulino, Bologna, pagg. 234, € 25,00.