La Stampa Tuttolibri 14.6.08
Il nostro occhio è un bricoleur
di Marco Belpoliti
La pubblicità ha smesso il velo: siamo passati dall'evocazione al grido, dai sogni di W. Chiari alle vendite di V. Marchi
Fra miti e scienza La straordinaria summa dell'antichista Deonna e un saggio di Ings esplorano storia, funzioni e segreti della vista
Il rapporto con gli astri, la sorte, l'anima, differenze e somiglianze rispetto agli animali notturni, la percezione di luce e colori, un millenario «adattamento»
In Albania, racconta Plinio, vivono uomini nati con occhi glauchi e capelli bianchi che vedono meglio di notte che di giorno; lo stesso imperatore Tiberio possedeva una simile facoltà: se si svegliava di notte, distingueva perfettamente gli oggetti. Kaspar Hauser, il più famoso «bambino selvaggio», percepiva stelle invisibili per mezzo di una vista straordinaria e anche i colori dentro un'oscura foresta. Gli sciamani, poi, sarebbero dotati di un'acutezza visiva responsabile delle loro facoltà psichiche, capaci di vedere a lunga distanza o al buio.
Tutte queste notizie sono fornite da Waldemar Deonna in un libro straordinario: Il simbolismo dell'occhio, in uscita da Bollati Boringhieri, summa enciclopedica su come le differenti religioni e culture hanno considerato l'occhio, il più importante dei nostri organi di senso, attraverso cui si è sviluppata la stessa civiltà umana. Deonna, archeologo e antichista, ha scandagliato l'idea di acutezza visiva ponendo particolare attenzione ai collegamenti tra l'occhio e gli astri, tra l'occhio e il fuoco, badando a distinguere i simbolismi dell'occhio destro e quelli dell'occhio sinistro, la cecità fisica e quella simbolica, il malocchio e il «buonocchio», l'occhio unico e gli occhi multipli, l'occhio e l'anima, lo sguardo umano e lo sguardo animale.
Il volume, pubblicato postumo nel 1965, tradotto per la cura di Sabrina Stroppa, è articolato in due livelli: da un lato, l'esposizione dei vari simboli, riti e credenze; dall' altro un regesto fittissimo di note, rimandi, commenti e spiegazioni ulteriori, frutto di un'erudizione che Deonna, autore di libri singolari sul simbolismo dell'acrobata, sulle abitudini a tavola, sui miracoli greci e quelli cristiani, ha accumulato in decenni e decenni di sterminate letture.
Per un caso fortuito Il simbolismo dell'occhio esce in contemporanea con un libro che si presenta come il suo esatto opposto, Storia naturale dell'occhio, opera di Simon Ings, scrittore di fantascienza e giornalista scientifico, così da offrire una doppia e affascinante lettura del nostro prezioso organo di senso. Mentre Deonna ci accompagna nell'universo dei simboli e dei riti religiosi, Ings ci fa attraversare il territorio altrettanto frastagliato della scienza. Al centro c'è sempre l'occhio umano, complesso e misterioso sensore che si è sviluppato a partire da lembi specializzati di pelle. I primi occhi sono comparsi 550 milioni di anni fa; appartenevano alle trilobiti, creature marine che oggi possiamo ammirare solo attraverso reperti fossili. Le unità fondamentali di strutture complesse come l'occhio, scrive Ings, «erano già disponibili molto tempo prima di essere reclutate per compiti sofisticati come la visione».
Leggendo Storia naturale dell'occhio, libro di rara precisione e completezza, costruito come un racconto, si ha la sensazione che la scienza non sia meno fantastica dei miti. E poiché lo scrittore inglese ha scelto di raccontare la storia dell'occhio evidenziando molte figure di scienziati e ricercatori del passato e del presente, si ha la sensazione che essi procedano attraverso continui spostamenti e aggiustamenti, me diante discontinuità piuttosto che sviluppi lineari.
Come ha scritto George Wald, premio Nobel, studioso dell'occhio, colui che ha guidato la rivoluzione che ha trasformato la biologia da scienza cellulare in scienza molecolare, «noi siamo il prodotto della rielaborazione piuttosto che dell'invenzione». L'occhio ha modificato se stesso nel corso di milioni d'anni agendo come un geniale e previdente bricoleur. Questo sensore è lo strumento privilegiato di un mammifero che ha smesso di usare il naso per pensare e che si è specializzato nella raccolta. Mentre la maggior parte degli animali non si preoccupa molto della sostanza delle cose, badando invece a «dove vanno le cose», noi umani siamo interessati «a quello che le cose sono». I nostri occhi si muovono a scatti, sembrano letteralmente balbettare, eppure siamo bravissimi nell'individuare i piccoli oggetti: più preoccupati dalle immagini che non dal movimento.
Molte delle simbologie descritte da Deonna sembrano trovare conferma nel racconto scientifico di Ings; ad esempio, la visione notturna. Discendiamo da animali notturni, e la nostra capacità di vedere di notte davvero straordinaria, anche se nei Paesi occidentali e industrializzati oramai nessuno o quasi l'apprezza più «è il retaggio del nostro passato notturno». Questa acuità visiva ha tuttavia un contrappeso: la visione dei colori di cui siamo dotati appare «relativamente notevole ancorché difettosa». Nel nostro sistema percettivo il colore «è soltanto un mezzo per distinguere gli oggetti gli uni dagli altri». Questo perché la nostra specie si è mossa soprattutto in ambienti ricoperti da alberi e, come ha dimostrato un neurofisiologo thailandese nel 2000, la luce diurna filtrata dagli alberi della foresta cambia solo lievemente di colore. Siamo invece più sensibili alla lucentezza, e questa c'è servita per milioni di anni alla ricerca del cibo nel sottobosco dove il colore non è significativo.
Il capitolo che Ings dedica a questo aspetto, «Vedere i colori», è forse il più bello del libro insieme al successivo, «Non vedere i colori», dove si parla di Dalton, e di come lo scopritore del daltonismo in realtà non fosse propriamente un daltonico. La scienza, mi viene fatto di pensare chiudendo i due libri, è il nostro grande mito attuale, un mito non meno funzionante e seducente dell'altro che abbiamo frequentato per millenni nel passato prossimo.
Il nostro occhio è un bricoleur
di Marco Belpoliti
La pubblicità ha smesso il velo: siamo passati dall'evocazione al grido, dai sogni di W. Chiari alle vendite di V. Marchi
Fra miti e scienza La straordinaria summa dell'antichista Deonna e un saggio di Ings esplorano storia, funzioni e segreti della vista
Il rapporto con gli astri, la sorte, l'anima, differenze e somiglianze rispetto agli animali notturni, la percezione di luce e colori, un millenario «adattamento»
In Albania, racconta Plinio, vivono uomini nati con occhi glauchi e capelli bianchi che vedono meglio di notte che di giorno; lo stesso imperatore Tiberio possedeva una simile facoltà: se si svegliava di notte, distingueva perfettamente gli oggetti. Kaspar Hauser, il più famoso «bambino selvaggio», percepiva stelle invisibili per mezzo di una vista straordinaria e anche i colori dentro un'oscura foresta. Gli sciamani, poi, sarebbero dotati di un'acutezza visiva responsabile delle loro facoltà psichiche, capaci di vedere a lunga distanza o al buio.
Tutte queste notizie sono fornite da Waldemar Deonna in un libro straordinario: Il simbolismo dell'occhio, in uscita da Bollati Boringhieri, summa enciclopedica su come le differenti religioni e culture hanno considerato l'occhio, il più importante dei nostri organi di senso, attraverso cui si è sviluppata la stessa civiltà umana. Deonna, archeologo e antichista, ha scandagliato l'idea di acutezza visiva ponendo particolare attenzione ai collegamenti tra l'occhio e gli astri, tra l'occhio e il fuoco, badando a distinguere i simbolismi dell'occhio destro e quelli dell'occhio sinistro, la cecità fisica e quella simbolica, il malocchio e il «buonocchio», l'occhio unico e gli occhi multipli, l'occhio e l'anima, lo sguardo umano e lo sguardo animale.
Il volume, pubblicato postumo nel 1965, tradotto per la cura di Sabrina Stroppa, è articolato in due livelli: da un lato, l'esposizione dei vari simboli, riti e credenze; dall' altro un regesto fittissimo di note, rimandi, commenti e spiegazioni ulteriori, frutto di un'erudizione che Deonna, autore di libri singolari sul simbolismo dell'acrobata, sulle abitudini a tavola, sui miracoli greci e quelli cristiani, ha accumulato in decenni e decenni di sterminate letture.
Per un caso fortuito Il simbolismo dell'occhio esce in contemporanea con un libro che si presenta come il suo esatto opposto, Storia naturale dell'occhio, opera di Simon Ings, scrittore di fantascienza e giornalista scientifico, così da offrire una doppia e affascinante lettura del nostro prezioso organo di senso. Mentre Deonna ci accompagna nell'universo dei simboli e dei riti religiosi, Ings ci fa attraversare il territorio altrettanto frastagliato della scienza. Al centro c'è sempre l'occhio umano, complesso e misterioso sensore che si è sviluppato a partire da lembi specializzati di pelle. I primi occhi sono comparsi 550 milioni di anni fa; appartenevano alle trilobiti, creature marine che oggi possiamo ammirare solo attraverso reperti fossili. Le unità fondamentali di strutture complesse come l'occhio, scrive Ings, «erano già disponibili molto tempo prima di essere reclutate per compiti sofisticati come la visione».
Leggendo Storia naturale dell'occhio, libro di rara precisione e completezza, costruito come un racconto, si ha la sensazione che la scienza non sia meno fantastica dei miti. E poiché lo scrittore inglese ha scelto di raccontare la storia dell'occhio evidenziando molte figure di scienziati e ricercatori del passato e del presente, si ha la sensazione che essi procedano attraverso continui spostamenti e aggiustamenti, me diante discontinuità piuttosto che sviluppi lineari.
Come ha scritto George Wald, premio Nobel, studioso dell'occhio, colui che ha guidato la rivoluzione che ha trasformato la biologia da scienza cellulare in scienza molecolare, «noi siamo il prodotto della rielaborazione piuttosto che dell'invenzione». L'occhio ha modificato se stesso nel corso di milioni d'anni agendo come un geniale e previdente bricoleur. Questo sensore è lo strumento privilegiato di un mammifero che ha smesso di usare il naso per pensare e che si è specializzato nella raccolta. Mentre la maggior parte degli animali non si preoccupa molto della sostanza delle cose, badando invece a «dove vanno le cose», noi umani siamo interessati «a quello che le cose sono». I nostri occhi si muovono a scatti, sembrano letteralmente balbettare, eppure siamo bravissimi nell'individuare i piccoli oggetti: più preoccupati dalle immagini che non dal movimento.
Molte delle simbologie descritte da Deonna sembrano trovare conferma nel racconto scientifico di Ings; ad esempio, la visione notturna. Discendiamo da animali notturni, e la nostra capacità di vedere di notte davvero straordinaria, anche se nei Paesi occidentali e industrializzati oramai nessuno o quasi l'apprezza più «è il retaggio del nostro passato notturno». Questa acuità visiva ha tuttavia un contrappeso: la visione dei colori di cui siamo dotati appare «relativamente notevole ancorché difettosa». Nel nostro sistema percettivo il colore «è soltanto un mezzo per distinguere gli oggetti gli uni dagli altri». Questo perché la nostra specie si è mossa soprattutto in ambienti ricoperti da alberi e, come ha dimostrato un neurofisiologo thailandese nel 2000, la luce diurna filtrata dagli alberi della foresta cambia solo lievemente di colore. Siamo invece più sensibili alla lucentezza, e questa c'è servita per milioni di anni alla ricerca del cibo nel sottobosco dove il colore non è significativo.
Il capitolo che Ings dedica a questo aspetto, «Vedere i colori», è forse il più bello del libro insieme al successivo, «Non vedere i colori», dove si parla di Dalton, e di come lo scopritore del daltonismo in realtà non fosse propriamente un daltonico. La scienza, mi viene fatto di pensare chiudendo i due libri, è il nostro grande mito attuale, un mito non meno funzionante e seducente dell'altro che abbiamo frequentato per millenni nel passato prossimo.