La Repubblica 26.2.08
Il segreto dei numeri, la matematica, gli uccelli e le rane
di Freeman Dyson
Come i volatili che scrutano dall´alto, alcuni studiosi prediligono i concetti. Come gli anfibi, altri osservano gli oggetti nei loro particolari
Abbiamo bisogno sia degli uni che degli altri. Perché questa disciplina, ricca e affascinante, è insieme grande arte e grande scienza
Alcuni matematici sono uccelli, altri sono rane. Gli uccelli volano alto nell´aria e scrutano le vaste distese della matematica spingendo lo sguardo fino all´orizzonte. Prediligono i concetti che unificano i nostri modi di pensare e partendo da punti diversi del paesaggio riuniscono una molteplicità di problemi. Invece le rane vivono nel fango e vedono solo i fiori che crescono nei pressi. Preferiscono osservare i singoli oggetti nei loro minuti particolari e risolvono i problemi uno alla volta. Personalmente, io sono una rana, ma molti dei miei migliori amici sono uccelli.
La matematica ha bisogno sia degli uccelli, sia delle rane. La matematica è così ricca e affascinante proprio perché gli uccelli assicurano l´ampiezza della prospettiva e le rane l´attenzione alla complessità del dettaglio. La matematica è insieme grande arte e grande scienza, perché unisce la generalità dei concetti alla profondità delle strutture. È sciocco sostenere che gli uccelli siano migliori delle rane perché vedono più lontano, o che le rane sono migliori degli uccelli perché vedono più da vicino.
Il mondo della matematica è vasto e profondo al tempo stesso, e per esplorarlo serve che uccelli e rane sappiano lavorare insieme. All´inizio del XVII secolo, due grandi filosofi - l´italiano Galileo Galilei e il francese René Descartes - annunciarono la nascita della scienza moderna. Descartes era un uccello e Galileo era una rana. Ciascuno dei due presentò una sua visione del futuro, l´una molto diversa dall´altra. Galileo disse: «Il gran libro della Natura è scritto in simboli matematici». Descartes disse: «Penso, dunque sono». Secondo Galileo, lo scienziato deve osservare e misurare accuratamente ciò che vede finché la somma di tutte queste misurazioni non rivela il funzionamento della Natura.
A quel punto, partendo dai dati di fatto, lo scienziato induce le leggi cui obbedisce la Natura. Invece secondo Descartes lo scienziato deve restare a casa sua e dedurre le leggi della Natura per mezzo del puro pensiero. Per dedurre correttamente le leggi della Natura non gli occorre altro che le regole della logica e la conoscenza dell´esistenza di Dio.
Ora, nei quattro secoli trascorsi da quando Galileo e Descartes hanno aperto la via, la scienza è corsa avanti seguendo ambedue le piste contemporaneamente. Né l´empirismo galileiano, né il dogmatismo cartesiano hanno da soli il potere di svelare i segreti della Natura, ma insieme hanno realizzato conquiste sbalorditive.
Da quattro secoli, gli scienziati inglesi sono tendenzialmente galileiani e gli scienziati francesi cartesiani. Faraday, Darwin e Rutherford erano galileiani: Pascal, Laplace e Poincaré erano cartesiani. La scienza è stata grandemente arricchita dall´ibridazione di queste due opposte culture nazionali, rimaste entrambe operanti in ambedue i paesi. In fondo, Newton era un cartesiano: ha usato il puro pensiero nel modo in cui lo intendeva Descartes, e lo ha usato per demolire il dogma cartesiano dei vortici. In cuor suo, Marie Curie era una galileiana, e ha fatto "cuocere" tonnellate di minerale di uranio grezzo per demolire il dogma dell´indistruttibilità degli atomi.
Nella storia della matematica del XX secolo spiccano due avvenimenti decisivi, l´uno appartenente alla tradizione galileiana, l´altro a quella cartesiana. Il primo fu il Congresso Internazionale dei Matematici tenutosi a Parigi nel 1900, dove Hilbert pronunciò un memorabile discorso in cui propose un famoso elenco di ventitré grandi problemi rimasti irrisolti, tracciando così la rotta della matematica per il secolo a venire. Hilbert era un uccello che volava alto sopra l´intero territorio della matematica, ma affidò i suoi problemi alle rane perché li risolvessero uno alla volta. Il secondo evento decisivo fu la costituzione, nella Francia degli anni Trenta, di un gruppo di matematici, riuniti sotto lo pseudonimo di Bourbaki, i quali pubblicarono una serie di libri di testo che stabilissero un quadro unificante per l´insieme della matematica.
I problemi di Hilbert sono stati di enorme utilità nell´orientare la ricerca matematica in direzioni proficue. Alcuni di quei problemi sono stati risolti, per altri non si è ancora trovata una soluzione, ma quasi tutti hanno stimolato il sorgere di nuove idee e di nuovi ambiti della matematica. Il progetto Bourbaki è stato altrettanto influente: ha cambiato il modo di fare matematica per i cinquant´anni successivi, imponendo una coerenza logica quale non si era mai vista e spostando l´attenzione dagli esempi concreti alle generalità astratte.
Nello schema adottato dal gruppo Bourbaki, la matematica è la struttura astratta proposta nei testi del gruppo stesso. Ciò che non è nei testi non è matematica; gli esempi concreti, poiché non compaiono nei testi, non sono matematica. Insomma, il programma del gruppo Bourbaki è l´espressione estrema del modo cartesiano di fare matematica. Ha circoscritto la portata della matematica escludendone i bei fiori che un viaggiatore galileiano avrebbe potuto raccogliere lungo il cammino. Ciò che più manca nel programma Bourbaki, per me che sono galileiano, è l´elemento sorpresa. Quando ripenso alla storia della matematica, vedo una successione di salti illogici, di coincidenze improbabili, di scherzi della natura. Uno degli scherzi della natura è l´esistenza dei quasicristalli.
Nel xix secolo, lo studio dei cristalli ha condotto all´enumerazione di tutti i possibili gruppi discreti di simmetria dello spazio euclideo. Sono stati dimostrati teoremi che stabiliscono che nello spazio tridimensionale i gruppi discreti di simmetria possono contenere soltanto rotazioni di ordine 3, 4 o 6.
Poi, nel 1984, sono stati scoperti i quasicristalli, oggetti solidi reali che nascono da leghe di metallo liquido e mostrano la simmetria del gruppo icosaedrico che comprende rotazioni quintuple. Intanto il matematico Roger Penrose aveva scoperto la tassellatura del piano che reca il suo nome. Si tratta di uno schema di parallelogrammi che coprono al limite il piano con un ordine pentagonale. I quasicristalli di lega sono analoghi tridimensionali delle tassellature di Penrose, che sono bidimensionali. Dopo queste scoperte, i matematici hanno dovuto ampliare la teoria dei gruppi cristallografici così da includervi i quasicristalli, dando avvio a un grande programma di ricerca che è tuttora in corso.
Un altro scherzo di natura è costituito da un´analogia di comportamento fra i quasicristalli e gli zeri della funzione zeta di Riemann. I matematici si appassionano tanto agli zeri della funzione zeta perché sono situati su una linea retta e nessuno capisce perché. Secondo la famosa "ipotesi di Riemann", tutti questi zeri, a eccezione di quelli banali, sono situati su una linea retta. Da oltre un secolo, dimostrare l´ipotesi di Riemann è il sogno di ogni giovane matematico. Voglio ora suggerire un´idea scandalosa: potremmo usare i quasicristalli per dimostrare l´ipotesi di Riemann. Quanti di voi sono matematici potranno anche considerarla futile; agli altri, cioè ai non matematici, potrà sembrare priva d´interesse. Io però vi chiedo di prenderla in seria considerazione.
In gioventù, il fisico Leo Szilard decise che non era soddisfatto dei dieci comandamenti di Mosè e al loro posto ne scrisse altri dieci. Il secondo comandamento di Szilard dice: «Fa´ che le tue azioni siano dirette verso uno scopo degno, ma non chiederti se possano raggiungerlo: dovranno essere modelli ed esempi, ma non mezzi rivolti a un fine». Szilard ha posto in pratica ciò che predicava: è stato il primo fisico a immaginare le armi nucleari, e il primo a impegnarsi attivamente nella campagna contro il loro uso. Ebbene, il suo secondo comandamento fa perfettamente al caso nostro: dimostrare l´ipotesi di Riemann è uno scopo meritevole, e non sta a noi domandarci se possiamo raggiungerlo. (...)
Il problema di classificare i quasicristalli unidimensionali è di una difficoltà spaventosa. Ma la storia della matematica, se la guardiamo dal punto di vista galileiano, è fatta di problemi spaventosamente difficili che sono stati risolti da giovani troppo ignoranti per sapere che erano insolubili. La classificazione dei quasicristalli è uno scopo meritevole e chissà, potrebbe persino rivelarsi raggiungibile. Ma non è certo un vegliardo come me che può risolvere un problema di questo grado di difficoltà. Lascio quindi questo esercizio ai giovani ranocchi che mi leggono.
Traduzione di Marina Astrologo
Il segreto dei numeri, la matematica, gli uccelli e le rane
di Freeman Dyson
Come i volatili che scrutano dall´alto, alcuni studiosi prediligono i concetti. Come gli anfibi, altri osservano gli oggetti nei loro particolari
Abbiamo bisogno sia degli uni che degli altri. Perché questa disciplina, ricca e affascinante, è insieme grande arte e grande scienza
Alcuni matematici sono uccelli, altri sono rane. Gli uccelli volano alto nell´aria e scrutano le vaste distese della matematica spingendo lo sguardo fino all´orizzonte. Prediligono i concetti che unificano i nostri modi di pensare e partendo da punti diversi del paesaggio riuniscono una molteplicità di problemi. Invece le rane vivono nel fango e vedono solo i fiori che crescono nei pressi. Preferiscono osservare i singoli oggetti nei loro minuti particolari e risolvono i problemi uno alla volta. Personalmente, io sono una rana, ma molti dei miei migliori amici sono uccelli.
La matematica ha bisogno sia degli uccelli, sia delle rane. La matematica è così ricca e affascinante proprio perché gli uccelli assicurano l´ampiezza della prospettiva e le rane l´attenzione alla complessità del dettaglio. La matematica è insieme grande arte e grande scienza, perché unisce la generalità dei concetti alla profondità delle strutture. È sciocco sostenere che gli uccelli siano migliori delle rane perché vedono più lontano, o che le rane sono migliori degli uccelli perché vedono più da vicino.
Il mondo della matematica è vasto e profondo al tempo stesso, e per esplorarlo serve che uccelli e rane sappiano lavorare insieme. All´inizio del XVII secolo, due grandi filosofi - l´italiano Galileo Galilei e il francese René Descartes - annunciarono la nascita della scienza moderna. Descartes era un uccello e Galileo era una rana. Ciascuno dei due presentò una sua visione del futuro, l´una molto diversa dall´altra. Galileo disse: «Il gran libro della Natura è scritto in simboli matematici». Descartes disse: «Penso, dunque sono». Secondo Galileo, lo scienziato deve osservare e misurare accuratamente ciò che vede finché la somma di tutte queste misurazioni non rivela il funzionamento della Natura.
A quel punto, partendo dai dati di fatto, lo scienziato induce le leggi cui obbedisce la Natura. Invece secondo Descartes lo scienziato deve restare a casa sua e dedurre le leggi della Natura per mezzo del puro pensiero. Per dedurre correttamente le leggi della Natura non gli occorre altro che le regole della logica e la conoscenza dell´esistenza di Dio.
Ora, nei quattro secoli trascorsi da quando Galileo e Descartes hanno aperto la via, la scienza è corsa avanti seguendo ambedue le piste contemporaneamente. Né l´empirismo galileiano, né il dogmatismo cartesiano hanno da soli il potere di svelare i segreti della Natura, ma insieme hanno realizzato conquiste sbalorditive.
Da quattro secoli, gli scienziati inglesi sono tendenzialmente galileiani e gli scienziati francesi cartesiani. Faraday, Darwin e Rutherford erano galileiani: Pascal, Laplace e Poincaré erano cartesiani. La scienza è stata grandemente arricchita dall´ibridazione di queste due opposte culture nazionali, rimaste entrambe operanti in ambedue i paesi. In fondo, Newton era un cartesiano: ha usato il puro pensiero nel modo in cui lo intendeva Descartes, e lo ha usato per demolire il dogma cartesiano dei vortici. In cuor suo, Marie Curie era una galileiana, e ha fatto "cuocere" tonnellate di minerale di uranio grezzo per demolire il dogma dell´indistruttibilità degli atomi.
Nella storia della matematica del XX secolo spiccano due avvenimenti decisivi, l´uno appartenente alla tradizione galileiana, l´altro a quella cartesiana. Il primo fu il Congresso Internazionale dei Matematici tenutosi a Parigi nel 1900, dove Hilbert pronunciò un memorabile discorso in cui propose un famoso elenco di ventitré grandi problemi rimasti irrisolti, tracciando così la rotta della matematica per il secolo a venire. Hilbert era un uccello che volava alto sopra l´intero territorio della matematica, ma affidò i suoi problemi alle rane perché li risolvessero uno alla volta. Il secondo evento decisivo fu la costituzione, nella Francia degli anni Trenta, di un gruppo di matematici, riuniti sotto lo pseudonimo di Bourbaki, i quali pubblicarono una serie di libri di testo che stabilissero un quadro unificante per l´insieme della matematica.
I problemi di Hilbert sono stati di enorme utilità nell´orientare la ricerca matematica in direzioni proficue. Alcuni di quei problemi sono stati risolti, per altri non si è ancora trovata una soluzione, ma quasi tutti hanno stimolato il sorgere di nuove idee e di nuovi ambiti della matematica. Il progetto Bourbaki è stato altrettanto influente: ha cambiato il modo di fare matematica per i cinquant´anni successivi, imponendo una coerenza logica quale non si era mai vista e spostando l´attenzione dagli esempi concreti alle generalità astratte.
Nello schema adottato dal gruppo Bourbaki, la matematica è la struttura astratta proposta nei testi del gruppo stesso. Ciò che non è nei testi non è matematica; gli esempi concreti, poiché non compaiono nei testi, non sono matematica. Insomma, il programma del gruppo Bourbaki è l´espressione estrema del modo cartesiano di fare matematica. Ha circoscritto la portata della matematica escludendone i bei fiori che un viaggiatore galileiano avrebbe potuto raccogliere lungo il cammino. Ciò che più manca nel programma Bourbaki, per me che sono galileiano, è l´elemento sorpresa. Quando ripenso alla storia della matematica, vedo una successione di salti illogici, di coincidenze improbabili, di scherzi della natura. Uno degli scherzi della natura è l´esistenza dei quasicristalli.
Nel xix secolo, lo studio dei cristalli ha condotto all´enumerazione di tutti i possibili gruppi discreti di simmetria dello spazio euclideo. Sono stati dimostrati teoremi che stabiliscono che nello spazio tridimensionale i gruppi discreti di simmetria possono contenere soltanto rotazioni di ordine 3, 4 o 6.
Poi, nel 1984, sono stati scoperti i quasicristalli, oggetti solidi reali che nascono da leghe di metallo liquido e mostrano la simmetria del gruppo icosaedrico che comprende rotazioni quintuple. Intanto il matematico Roger Penrose aveva scoperto la tassellatura del piano che reca il suo nome. Si tratta di uno schema di parallelogrammi che coprono al limite il piano con un ordine pentagonale. I quasicristalli di lega sono analoghi tridimensionali delle tassellature di Penrose, che sono bidimensionali. Dopo queste scoperte, i matematici hanno dovuto ampliare la teoria dei gruppi cristallografici così da includervi i quasicristalli, dando avvio a un grande programma di ricerca che è tuttora in corso.
Un altro scherzo di natura è costituito da un´analogia di comportamento fra i quasicristalli e gli zeri della funzione zeta di Riemann. I matematici si appassionano tanto agli zeri della funzione zeta perché sono situati su una linea retta e nessuno capisce perché. Secondo la famosa "ipotesi di Riemann", tutti questi zeri, a eccezione di quelli banali, sono situati su una linea retta. Da oltre un secolo, dimostrare l´ipotesi di Riemann è il sogno di ogni giovane matematico. Voglio ora suggerire un´idea scandalosa: potremmo usare i quasicristalli per dimostrare l´ipotesi di Riemann. Quanti di voi sono matematici potranno anche considerarla futile; agli altri, cioè ai non matematici, potrà sembrare priva d´interesse. Io però vi chiedo di prenderla in seria considerazione.
In gioventù, il fisico Leo Szilard decise che non era soddisfatto dei dieci comandamenti di Mosè e al loro posto ne scrisse altri dieci. Il secondo comandamento di Szilard dice: «Fa´ che le tue azioni siano dirette verso uno scopo degno, ma non chiederti se possano raggiungerlo: dovranno essere modelli ed esempi, ma non mezzi rivolti a un fine». Szilard ha posto in pratica ciò che predicava: è stato il primo fisico a immaginare le armi nucleari, e il primo a impegnarsi attivamente nella campagna contro il loro uso. Ebbene, il suo secondo comandamento fa perfettamente al caso nostro: dimostrare l´ipotesi di Riemann è uno scopo meritevole, e non sta a noi domandarci se possiamo raggiungerlo. (...)
Il problema di classificare i quasicristalli unidimensionali è di una difficoltà spaventosa. Ma la storia della matematica, se la guardiamo dal punto di vista galileiano, è fatta di problemi spaventosamente difficili che sono stati risolti da giovani troppo ignoranti per sapere che erano insolubili. La classificazione dei quasicristalli è uno scopo meritevole e chissà, potrebbe persino rivelarsi raggiungibile. Ma non è certo un vegliardo come me che può risolvere un problema di questo grado di difficoltà. Lascio quindi questo esercizio ai giovani ranocchi che mi leggono.