Corriere della Sera 19.4.08
L'antropologo Marc Augé descrive come si pensano le soluzioni nell'era dell'esistenzialismo pratico
Le utopie hanno rubato il futuro. «Ora cambiamo il mondo senza doverlo immaginare»
di Marc Augé
Il tema del migliore dei mondi deve situarsi in rapporto ai due tipi di miti apparsi nella storia: i miti di origine, fondatori delle religioni, di cui i filosofi occidentali hanno potuto dire che la modernità del XVIII secolo li aveva uccisi, e i miti del futuro, i grandi racconti fondatori delle ideologie politiche progressiste, che la storia del XX secolo avrebbe fatto scomparire.
Le due declinazioni del tema dell'altro mondo presentano paradossi, differenze e similitudini. Le utopie laiche possono apparire più generose e disinteressate delle religioni di salvezza, poiché non promettono alcuna ricompensa individuale a breve termine e non si interessano alla morte individuale. Ma entrambe hanno conseguenze nel mondo attuale (se designiamo con l'espressione «mondo attuale» il mondo in cui viviamo e con l'espressione «mondo virtuale» il mondo che le religioni o le utopie pretendono di sostituirgli). Le religioni di salvezza, infatti, accordano importanza alle «opere»; quanto alle utopie laiche, esse sono state spesso legate a filosofie della felicità che hanno cambiato il rapporto con la vita «mondana». Storicamente, le une e le altre sono state sovente, per una moltitudine di individui, un modo di vivere il mondo attuale piuttosto che un modo di cambiarlo.
Forse l'attualità ci invita a sfumare il tema della fine dei due tipi di miti. Se è vero che l'esistenza di forme aggressive di religione (islamismo, evangelismo) può farci temere un XXI secolo dilaniato da concezioni opposte e ugualmente retrogradi del mondo — il che smentirebbe il tema della fine dei miti di origine e del trionfo della modernità —, non bisogna sottovalutare l'aspetto politico delle nuove affermazioni religiose, né il loro aspetto reattivo. Forse la modernità è ancora da conquistare e noi siamo al centro di una crisi che in realtà è simile a una fine. Inoltre, se è bene constatare l'indebolimento delle proiezioni politiche di vasta portata, non sono da escludere sorprese in questo campo; le concezioni dominanti non sono più sicure delle loro precorritrici, e l'assenza o l'indebolimento di rappresentazioni costruite dell'avvenire può costituire un'opportunità per cambiamenti effettivi che si sono nutriti dell'esperienza storica concreta. Forse stiamo imparando a cambiare il mondo prima di immaginarlo, a convertirci a una sorta di esistenzialismo pratico. Le innovazioni tecnologiche che hanno sconvolto i rapporti di sesso e i modi di comunicare (la pillola, Internet), non sono nate dall'utopia, ma dalla scienza e dalle sue conseguenze tecnologiche. L'esigenza democratica e l'affermazione individuale prenderanno probabilmente strade inedite che solo oggi intravediamo.
Dall'inizio del XX secolo, la scienza ha compiuto progressi accelerati che oggi ci lasciano scorgere prospettive rivoluzionarie. Nuovi mondi cominciano ad aprirsi davanti a noi: da un lato, l'universo, le galassie (e questo cambiamento di scala non sarà privo di conseguenze, a termine, sull'idea che ci facciamo del pianeta e dell'umanità); dall'altro, il confine tra la materia e la vita, l'intimità degli esseri viventi, la natura della coscienza (e queste nuove conoscenze comporteranno una ridefinizione dell'idea che ogni individuo può farsi di se stesso). Quello che sapremo del mondo cambierà il mondo, ma questi cambiamenti sono oggi inimmaginabili; non possiamo sapere, per esempio, quali saranno i progressi della scienza entro i prossimi trenta o quarant'anni.
A tal proposito, due osservazioni: 1) Se nel campo dell'educazione non si realizzeranno cambiamenti rivoluzionari, c'è il rischio che l'umanità di domani si divida fra un'aristocrazia del sapere e dell'intelligenza e una massa ogni giorno meno informata su quello che la conoscenza comporta. Questa disuguaglianza riprodurrebbe e moltiplicherebbe la disuguaglianza delle condizioni economiche. L'educazione è la priorità delle priorità.
2) Le conseguenze tecnologiche della scienza sono come una seconda natura. Le immagini e i messaggi ci circondano e ci rassicurano, ci alienano dal nuovo ordine delle cose senza necessariamente darci i mezzi di comprenderlo. È qui il rischio connesso a ciò che ho chiamato «cosmotecnologia». Essa ci dà l'illusione che il mondo sia finito. Aiuta a vivere, ma può anche essere il passaggio che apre a tutti gli sfruttamenti se coloro che alla cosmotecnologia si richiamano non hanno una coscienza esatta del suo ordinamento.
La scienza non ha bisogno di disuguaglianze, né di dominazione. Se, di fatto, dipende dai politici che la finanziano, e in larga misura la orientano, la scienza risponde di diritto solo al desiderio di conoscere. Riguardo a questa esigenza, la miseria e l'ignoranza sono fattori di ritardo. Un mondo che ubbidisse soltanto all'ideale di conoscenza (e di educazione) sarebbe più giusto e insieme più ricco. Constatare che la scienza cambia il mondo significa ammettere che non esiste un altro mondo se non quello che stiamo cambiando; un mondo che, in sé, è al tempo stesso fine e finalità.
(Traduzione di Daniela Maggioni)
L'antropologo Marc Augé descrive come si pensano le soluzioni nell'era dell'esistenzialismo pratico
Le utopie hanno rubato il futuro. «Ora cambiamo il mondo senza doverlo immaginare»
di Marc Augé
Il tema del migliore dei mondi deve situarsi in rapporto ai due tipi di miti apparsi nella storia: i miti di origine, fondatori delle religioni, di cui i filosofi occidentali hanno potuto dire che la modernità del XVIII secolo li aveva uccisi, e i miti del futuro, i grandi racconti fondatori delle ideologie politiche progressiste, che la storia del XX secolo avrebbe fatto scomparire.
Le due declinazioni del tema dell'altro mondo presentano paradossi, differenze e similitudini. Le utopie laiche possono apparire più generose e disinteressate delle religioni di salvezza, poiché non promettono alcuna ricompensa individuale a breve termine e non si interessano alla morte individuale. Ma entrambe hanno conseguenze nel mondo attuale (se designiamo con l'espressione «mondo attuale» il mondo in cui viviamo e con l'espressione «mondo virtuale» il mondo che le religioni o le utopie pretendono di sostituirgli). Le religioni di salvezza, infatti, accordano importanza alle «opere»; quanto alle utopie laiche, esse sono state spesso legate a filosofie della felicità che hanno cambiato il rapporto con la vita «mondana». Storicamente, le une e le altre sono state sovente, per una moltitudine di individui, un modo di vivere il mondo attuale piuttosto che un modo di cambiarlo.
Forse l'attualità ci invita a sfumare il tema della fine dei due tipi di miti. Se è vero che l'esistenza di forme aggressive di religione (islamismo, evangelismo) può farci temere un XXI secolo dilaniato da concezioni opposte e ugualmente retrogradi del mondo — il che smentirebbe il tema della fine dei miti di origine e del trionfo della modernità —, non bisogna sottovalutare l'aspetto politico delle nuove affermazioni religiose, né il loro aspetto reattivo. Forse la modernità è ancora da conquistare e noi siamo al centro di una crisi che in realtà è simile a una fine. Inoltre, se è bene constatare l'indebolimento delle proiezioni politiche di vasta portata, non sono da escludere sorprese in questo campo; le concezioni dominanti non sono più sicure delle loro precorritrici, e l'assenza o l'indebolimento di rappresentazioni costruite dell'avvenire può costituire un'opportunità per cambiamenti effettivi che si sono nutriti dell'esperienza storica concreta. Forse stiamo imparando a cambiare il mondo prima di immaginarlo, a convertirci a una sorta di esistenzialismo pratico. Le innovazioni tecnologiche che hanno sconvolto i rapporti di sesso e i modi di comunicare (la pillola, Internet), non sono nate dall'utopia, ma dalla scienza e dalle sue conseguenze tecnologiche. L'esigenza democratica e l'affermazione individuale prenderanno probabilmente strade inedite che solo oggi intravediamo.
Dall'inizio del XX secolo, la scienza ha compiuto progressi accelerati che oggi ci lasciano scorgere prospettive rivoluzionarie. Nuovi mondi cominciano ad aprirsi davanti a noi: da un lato, l'universo, le galassie (e questo cambiamento di scala non sarà privo di conseguenze, a termine, sull'idea che ci facciamo del pianeta e dell'umanità); dall'altro, il confine tra la materia e la vita, l'intimità degli esseri viventi, la natura della coscienza (e queste nuove conoscenze comporteranno una ridefinizione dell'idea che ogni individuo può farsi di se stesso). Quello che sapremo del mondo cambierà il mondo, ma questi cambiamenti sono oggi inimmaginabili; non possiamo sapere, per esempio, quali saranno i progressi della scienza entro i prossimi trenta o quarant'anni.
A tal proposito, due osservazioni: 1) Se nel campo dell'educazione non si realizzeranno cambiamenti rivoluzionari, c'è il rischio che l'umanità di domani si divida fra un'aristocrazia del sapere e dell'intelligenza e una massa ogni giorno meno informata su quello che la conoscenza comporta. Questa disuguaglianza riprodurrebbe e moltiplicherebbe la disuguaglianza delle condizioni economiche. L'educazione è la priorità delle priorità.
2) Le conseguenze tecnologiche della scienza sono come una seconda natura. Le immagini e i messaggi ci circondano e ci rassicurano, ci alienano dal nuovo ordine delle cose senza necessariamente darci i mezzi di comprenderlo. È qui il rischio connesso a ciò che ho chiamato «cosmotecnologia». Essa ci dà l'illusione che il mondo sia finito. Aiuta a vivere, ma può anche essere il passaggio che apre a tutti gli sfruttamenti se coloro che alla cosmotecnologia si richiamano non hanno una coscienza esatta del suo ordinamento.
La scienza non ha bisogno di disuguaglianze, né di dominazione. Se, di fatto, dipende dai politici che la finanziano, e in larga misura la orientano, la scienza risponde di diritto solo al desiderio di conoscere. Riguardo a questa esigenza, la miseria e l'ignoranza sono fattori di ritardo. Un mondo che ubbidisse soltanto all'ideale di conoscenza (e di educazione) sarebbe più giusto e insieme più ricco. Constatare che la scienza cambia il mondo significa ammettere che non esiste un altro mondo se non quello che stiamo cambiando; un mondo che, in sé, è al tempo stesso fine e finalità.
(Traduzione di Daniela Maggioni)