Wednesday, April 02, 2008

Quando le voci animali ispiravano agli uomini musica, favole e poesie


Corriere della Sera 02.04.2008
Antichità Maurizio Bettini ritrova suoni e significati perduti
Quando le voci animali ispiravano agli uomini musica, favole e poesie
di Eva Cantarella

Anche le voci hanno una storia. Una storia e un'antropologia. Ce lo ricorda, in un libro affascinante, Maurizio Bettini, uno degli studiosi più interessanti e più originali dell'antichità classica, che da anni indaga aspetti e vicende del mondo antico con gli strumenti di una disciplina, l'antropologia storica, la cui presenza nelle università italiane è legata alla sua infaticabile attività. A Bettini si deve infatti, nel 1986, la fondazione dell'associazione Antropologia del mondo antico, e del Centro interdipartimentale di studi antropologici sulla cultura antica, sempre da lui fondato presso l'Università di Siena. Ed ora, grazie a lui, ecco un nuovo, bellissimo libro, Voci. Antropologia sonora del mondo antico, nato da un'idea che solo lui poteva avere: quello di ricostruire, all'interno della fonosfera antica, i suoni prodotti dagli animali. I rumori in cui viviamo immersi oggi (clacson di automobili, rombo di aerei, squilli di cellulari) allora non esistevano, ma esistevano suoni che oggi sono andati perduti: il cigolio dei carri, i colpi di martello di fabbri, stagnai, maniscalchi e carpentieri, il rumore delle macine dei mugnai... e, all'interno di questo mondo sonoro, le voci degli animali. Come recuperarle? Come sempre, cercandole nei testi, unico strumento per ricostruire l'immagine mentale dei suoni percepiti dai nostri antenati.
Parole per suoni, dunque. Molte, moltissime parole: del bue è proprio il mugire, della pecora il balare, dei cavalli l'hinnire, della gallina il pipare. In un testo tramandatoci sotto il nome di Svetonio leggiamo del rancare delle tigri, del mugire dei buoi, del grunnire dei porci, del barrire degli elefanti, del coaxare delle rane, e via dicendo. Una vera e propria enciclopedia, il cui ordine, osserva Bettini, non è legato alle caratteristiche zoologiche, ma al modo in cui gli animali venivano culturalmente costruiti in quel mondo.
Le voci degli animali, infatti vengono sfruttate simbolicamente, come la loro forma, colore e comportamento. Nascono così proverbi e modi di dire: «tanto va la gatta al lardo», «furbo come la volpe». Nascono favole: Il lupo e l'agnello, La volpe e l'uva. Nascono poesie: come dimenticare il cosiddetto «giambo sulle donne», in cui Semonide classifica le donne secondo i caratteri degli animali cui somigliano? La donna-scrofa non si lava mai, indossa abiti sporchissimi e ingrassa, rotolandosi nel letame; la donna-volpe sa tutto, controlla tutto, ma si adegua agli eventi, e vi si adatta; la donna- cagna vagola per la casa latrando, non tace neppure se la bastoni; l'asina invece, paziente e lavoratrice, puoi bastonarla e non protesta...
Ma torniamo alle voci: tante e diverse, esattamente come le lingue umane. Ed esattamente come le lingue, originariamente tutte uguali. Un tempo infatti, racconta Filone di Alessandria, gli animali avevano tutti la stessa voce. Ma un giorno, perso ogni senso della misura, chiesero l'immortalità. E furono puniti: da quel momento cominciarono a parlare in modo diverso, ogni specie a modo suo: superfluo segnalare il parallelo con il racconto di Babele.
Tante lingue, dunque, all'interno delle quali Bettini si sofferma, in particolare, su quella degli uccelli e la indaga seguendo diverse strade: quella, già segnalata, della capacità delle loro voci di veicolare significati simbolici e culturali; quella, non meno affascinante, della riarticolazione sonora della loro voce, per far pronunziar loro brevi messaggi in lingua umana: a partire da Alcmane (che affermava di aver trovato la propria poesia rielaborando il canto delle pernici) si arriva, per citare un celebre caso, alla riarticolazione del verso della gallina in Giovanni Pascoli, nella poesia Valentino: «le galline cantavano, Un cocco! / ecco ecco un cocco un cocco per te ». E poi, ancora, i racconti mitologici, in cui si trovano animali che possiedono una compiuta capacità linguistica. E per finire la divinazione: trasformato in «segni», il canto degli uccelli attribuisce loro la capacità di predire il futuro e di dare ordini. Erano animali autorevoli gli uccelli, nell'antichità. Non a caso Aristofane, nella commedia che da loro prende il nome, immagina che, aiutando gli ateniesi disgustati delle condizioni di vita in patria a fondare una nuova città fra cielo e terra, essi possano riconquistare l'antica signoria, usurpata dagli dei. Nell'impossibilità di rendere conto della ricchezza di questo libro, per segnalarne la rilevanza basterà ricordare, concludendo, che grazie a esso l'antropologia delle antiche voci animali diventa antropologia della cultura classica: la trascrizione delle loro voci ci consente di vedere gli animali come li vedevano gli antichi.