La Repubblica 27.4.08
L'occhio. Quel cuore che guarda e ci fa conoscere il mondo
di Daniele del Giudice
Ha rappresentato la divinità e la conoscenza; è una metafora, un simbolo, un´ossessione. Mentre il libro di un famoso archeologo, per la prima volta tradotto, ci trasporta attraverso i millenni per ripercorrere l´uso culturale che è stato fatto di questo meraviglioso organo del nostro corpo, uno scrittore ci invita a sperimentare "il sentimento del vedere"
Sguardo penetrante, un tempo, non era un modo di dire, ma corrispondeva, per esempio in Marsilio Ficino e nei neoplatonici, all´idea che dall´occhio di chi guardava si dipartisse qualcosa che raggiungeva l´occhio del guardato, o della guardata, lo toccava, lo colpiva, lo impressionava, lo penetrava. Per questo, forse, le figure femminili in Dante e Petrarca tengono gli occhi bassi, non soltanto per pudore o riserbo della propria "anima", ma per non essere penetrate da ciò che muove dall´occhio altrui, preservando così un´ulteriore verginità. Il vedere non è dunque sempre vissuto come un atto incorporeo, né come una mancata relazione fisica con l´oggetto della visione. Piuttosto l´occhio governa e fa premio su tutte le percezioni, concentra tutto con un solo organo e un solo senso, escludendo gli altri. Nel nostro tempo il vedere, più che un atto, è diventato una azione, talvolta la nostra azione principale, spesso merce e lavoro: non si è mai guardato tanto e visto tanto, e mai così forte è stata l´illusione che non esista più alcun mistero, alcun invisibile.
Quando c´è l´immagine, non c´è la cosa. È un´eventualità che la filosofia stoica conosceva perfettamente, sebbene ritenesse che la cosa o la persona si fossero momentaneamente allontanate. Oggi, al contrario, le cose sembrano sparite sempre più, ed è l´immagine che è diventata indubbiamente cosa, oggetto di mestiere e di commercio. È difficile dire se tutto questo vedere consumi l´occhio. È possibile però che consumi i sentimenti. Le nostre emozioni davanti alle immagini, così come le opinioni che ci formiamo all´istante e poi lasciamo subito cadere, si accendono e bruciano in un attimo, totalmente intransitive, e incontrollabili come una salivazione. Non so da quando, ma le immagini hanno preso a scorrere come una specie di ritmo visivo, un ritmo di sottofondo, o meglio di rumore visivo di fondo, seguendo in questo il destino che fu già della musica e dell´ascolto. Vedere è un´azione, e ci sono le buone azioni e le cattive azioni. Cos´è un "buon" vedere? E cosa un "cattivo" vedere? Non posso pensare che dipenda dall´oggetto della visione; l´osceno, credo, non esiste, non c´è nulla di avverso, nulla che si "ponga contro" il nostro occhio. Dipende da noi, dal nostro modo di vedere che resta segreto, una questione del tutto privata.
A differenza delle altre azioni, non c´è nessuno a cui dobbiamo rendere conto del nostro occhio che vede, nessuno (se non un oculista, il quale tuttavia non cura l´anima e giudica solo in termini di metropia) che possa domandare: il suo occhio com´è? lei come vede? Per costruire un sentimento del vedere - poiché di questo si tratta - non c´è autorità di insegnamento né ci sono prove da superare, non precetti né consigli. Eppure è solo un sentimento del vedere, un cuore che guarda, che può redimere, se non noi stessi almeno le immagini che il nostro occhio percepisce.
René Guénon nel suo Simboli della scienza sacra dedica un paragrafo all´occhio che vede tutto, nel capitolo sul simbolismo del cuore. Uno dei simboli comuni al cristianesimo e alla massoneria, ricorda, è il triangolo nel quale è inscritto il Tetragramma ebraico oppure lo iod che può esserne considerato un´abbreviazione, sorta di "terzo occhio", né destro né sinistro, un occhio frontale come quello di Shiva, né solare né lunare, corrispondente al fuoco, il cui sguardo riduce tutto in cenere perché esprime il presente senza dimensioni, cioè la simultaneità, e così distrugge ogni manifestazione.
L´occhio unico e senza palpebra è il simbolo dell´essenza della conoscenza divina. L´occhio unico del ciclope indica al contrario una condizione subumana. Come subumana è la condizione di Argo, Argo Panoptes, «che tutto vede», gigante con un solo grande occhio secondo alcuni miti, ma secondo altri con quattro, due davanti e due dietro, e secondo altri ancora con cento occhi (dormiva chiudendone cinquanta per volta) oppure con un´infinità di occhi disseminati sull´intero corpo, che non si chiudevano mai tutti insieme, una vigilanza rivolta esclusivamente all´esterno. Di una persona molto accorta i Greci dicevano che era un Argo oppure che aveva più occhi di Argo.
L´occhio umano è un simbolo universale di conoscenza, l´apertura degli occhi è un rito di apertura alla conoscenza, un rito di iniziazione. Ma l´occhio ha colpito l´immaginario comune innanzitutto per la sua forma ovale e per la sua condizione di luogo aperto/chiuso, da cui qualcosa può entrare e qualcosa può uscire. Nella lingua italiana l´occhio ha infinite declinazioni. Oltre che l´organo della vista e l´apparato visivo o anche la capacità di leggere bene, vuol dire, ad esempio, il foro aperto in una porta o una parete per spiare di nascosto, oppure la toppa della serratura, oppure i buchi nella mollica del pane ben lievitato, o ancora, in architettura, ogni apertura circolare o ellittica. Anche le chiazze naturali sulle piume, il pelo o la pelle di certi animali si chiamano occhi, come le macchie azzurre sulla coda del pavone, e anche le macchie evidenti sulla superficie di marmi o pietre. Occhi sono i dischi del capolino di una margherita o di un girasole, o i cerchi su una superficie liquida agitata. Alcune cose escono dagli occhi, e qualcuno può andare per occhio, cioè colare a picco con la sua nave.
L´occhio pineale è l´ossessione di Georges Bataille. Come lui stesso ricorda nella Critica dell´occhio, quest´idea risale al 1927 e risponde probabilmente alla sua concezione anale, cioè notturna, del disco solare. Scrive: «Mi raffiguravo l´occhio in cima al cranio come un orribile vulcano in eruzione, proprio con il carattere losco e comico che si attribuisce al di dietro e alle sue escrezioni. Ora l´occhio è senza alcun dubbio il simbolo del sole abbagliante, e quello che io immaginavo in cima al mio cranio era necessariamente infuocato, essendo votato alla contemplazione del sole al sommo del suo splendore». Scrive ancora: «Io non esitavo a pensare seriamente alla possibilità che quest´occhio straordinario finisse per farsi strada attraverso la parete ossea della testa, perché credevo necessario che dopo un lungo periodo di servilità gli esseri umani avessero un occhio speciale per il sole (mentre i due occhi che sono nelle orbite se ne allontanano con una specie di ostinazione stupida). Non ero pazzo ma davo senza dubbio eccessiva importanza alla necessità di uscire in una maniera o nell´altra dai limiti della nostra esperienza umana […]».
Buono o malvagio, qualunque sia il sentimento del suo vedere, l´occhio è sempre oggetto di acute inquietudini e suscita comunque emozioni contrastanti. Ancora Bataille, scrive che non c´è nulla di più seducente dell´occhio, nulla di più attraente nel corpo degli uomini e degli animali, e in questo appeal è simile al filo della lama. D´altra parte, la seduzione estrema è al limite dell´orrore, ed è forse quello che ha ispirato Salvador Dalì e Luis Buñuel nel film Chien andalou, dove un rasoio incideva l´occhio di una donna giovane e affascinante sotto lo sguardo di un uomo, ammirato fino alla follia, che tiene in mano un cucchiaino da caffè e improvvisamente ha voglia di prendersi un occhio nel cucchiaino. Voglia piuttosto singolare per un occidentale la cui cultura gli impedisce di mangiare l´occhio dei buoi, degli agnelli o dei maiali. È golosità cannibale, secondo l´espressione di Robert Louis Stevenson. Nessuno di noi morderebbe mai un occhio.
Ci sono quelli che non danno troppa importanza all´occhio e al suo vedere, e preferiscono sentire. Era appunto il caso di Stevenson nella sua ultima e appassionata discussione letteraria. Quando l´amico Henry James gli lamentò di non vedere nulla nel romanzo Catriona - «ho l´impressione di trovarmi in presenza di voci nell´oscurità, voci tanto più distinte e vivaci […] quanto lo sguardo resta occultato» - Stevenson gli rispose con una frase memorabile: «Ascolto le persone parlare e le sento agire, il racconto mi sembra questo. I miei due obbiettivi possono essere descritti così: 1. guerra all´aggettivo e 2. morte al nervo ottico». Secondo Stevenson «la letteratura è scritta per e da due sensi: una specie di orecchio interno, lesto a percepire melodie silenti, e l´occhio che - semplicemente - guida la penna e decifra la frase stampata. Ebbene, proprio come vi sono rime per l´occhio, così noterete che esistono assonanze e allitterazioni».
E poi ci sono quelli che preferiscono l´assenza dell´occhio, come José Saramago che ha scritto uno dei suoi migliori romanzi, Cecità, straordinaria metafora di una perdita del vedere nei nostri tempi. Quanto all´"occhio della coscienza", poco prima di morire, nel 1847, l´illustratore fantastico e caricaturista francese Jean-Ignace-Isidore Gérard, detto Grandville, sognò quest´occhio ossessionante e lugubre, occhio vivente e totalmente vigile. Lo raccontò in Crime et expiation, e Victor Hugo lo riprese.
L´aspetto assolutamente negativo dello sguardo invidioso, pieno di cattive intenzioni, l´occhio malevolo, cioè il malocchio, mal d´occhio, è ancora molto vivo nella cultura mediterranea. Ci sarebbero occhi particolarmente pericolosi, come quelli delle donne anziane, ma anche delle vipere o dei gechi, perché l´intero mondo animato partecipa di questa presa di potere su altro e altri. E particolarmente sensibili al malocchio sarebbero i bambini, le puerpere, il latte, il grano ma anche cavalli, cani e il bestiame in generale, perché il malocchio può uccidere gli animali. Come difendersi dal malocchio: con veli che nascondono allo sguardo, fumigazioni profumate, ferro rosso, sale, corni, mezzelune, ferri di cavallo, mani di Fatima.
Per la posizione nel corpo, e nella preminenza sulle percezioni del nostro mondo, l´occhio, il suo simbolo, la sua parola stessa si adeguano all´infinito: occhio del ciclone, occhiolino, occhiello, occhio di bue, occhio di gatto, locuzioni tutte riguardanti tutt´altro.
L'occhio. Quel cuore che guarda e ci fa conoscere il mondo
di Daniele del Giudice
Ha rappresentato la divinità e la conoscenza; è una metafora, un simbolo, un´ossessione. Mentre il libro di un famoso archeologo, per la prima volta tradotto, ci trasporta attraverso i millenni per ripercorrere l´uso culturale che è stato fatto di questo meraviglioso organo del nostro corpo, uno scrittore ci invita a sperimentare "il sentimento del vedere"
Sguardo penetrante, un tempo, non era un modo di dire, ma corrispondeva, per esempio in Marsilio Ficino e nei neoplatonici, all´idea che dall´occhio di chi guardava si dipartisse qualcosa che raggiungeva l´occhio del guardato, o della guardata, lo toccava, lo colpiva, lo impressionava, lo penetrava. Per questo, forse, le figure femminili in Dante e Petrarca tengono gli occhi bassi, non soltanto per pudore o riserbo della propria "anima", ma per non essere penetrate da ciò che muove dall´occhio altrui, preservando così un´ulteriore verginità. Il vedere non è dunque sempre vissuto come un atto incorporeo, né come una mancata relazione fisica con l´oggetto della visione. Piuttosto l´occhio governa e fa premio su tutte le percezioni, concentra tutto con un solo organo e un solo senso, escludendo gli altri. Nel nostro tempo il vedere, più che un atto, è diventato una azione, talvolta la nostra azione principale, spesso merce e lavoro: non si è mai guardato tanto e visto tanto, e mai così forte è stata l´illusione che non esista più alcun mistero, alcun invisibile.
Quando c´è l´immagine, non c´è la cosa. È un´eventualità che la filosofia stoica conosceva perfettamente, sebbene ritenesse che la cosa o la persona si fossero momentaneamente allontanate. Oggi, al contrario, le cose sembrano sparite sempre più, ed è l´immagine che è diventata indubbiamente cosa, oggetto di mestiere e di commercio. È difficile dire se tutto questo vedere consumi l´occhio. È possibile però che consumi i sentimenti. Le nostre emozioni davanti alle immagini, così come le opinioni che ci formiamo all´istante e poi lasciamo subito cadere, si accendono e bruciano in un attimo, totalmente intransitive, e incontrollabili come una salivazione. Non so da quando, ma le immagini hanno preso a scorrere come una specie di ritmo visivo, un ritmo di sottofondo, o meglio di rumore visivo di fondo, seguendo in questo il destino che fu già della musica e dell´ascolto. Vedere è un´azione, e ci sono le buone azioni e le cattive azioni. Cos´è un "buon" vedere? E cosa un "cattivo" vedere? Non posso pensare che dipenda dall´oggetto della visione; l´osceno, credo, non esiste, non c´è nulla di avverso, nulla che si "ponga contro" il nostro occhio. Dipende da noi, dal nostro modo di vedere che resta segreto, una questione del tutto privata.
A differenza delle altre azioni, non c´è nessuno a cui dobbiamo rendere conto del nostro occhio che vede, nessuno (se non un oculista, il quale tuttavia non cura l´anima e giudica solo in termini di metropia) che possa domandare: il suo occhio com´è? lei come vede? Per costruire un sentimento del vedere - poiché di questo si tratta - non c´è autorità di insegnamento né ci sono prove da superare, non precetti né consigli. Eppure è solo un sentimento del vedere, un cuore che guarda, che può redimere, se non noi stessi almeno le immagini che il nostro occhio percepisce.
René Guénon nel suo Simboli della scienza sacra dedica un paragrafo all´occhio che vede tutto, nel capitolo sul simbolismo del cuore. Uno dei simboli comuni al cristianesimo e alla massoneria, ricorda, è il triangolo nel quale è inscritto il Tetragramma ebraico oppure lo iod che può esserne considerato un´abbreviazione, sorta di "terzo occhio", né destro né sinistro, un occhio frontale come quello di Shiva, né solare né lunare, corrispondente al fuoco, il cui sguardo riduce tutto in cenere perché esprime il presente senza dimensioni, cioè la simultaneità, e così distrugge ogni manifestazione.
L´occhio unico e senza palpebra è il simbolo dell´essenza della conoscenza divina. L´occhio unico del ciclope indica al contrario una condizione subumana. Come subumana è la condizione di Argo, Argo Panoptes, «che tutto vede», gigante con un solo grande occhio secondo alcuni miti, ma secondo altri con quattro, due davanti e due dietro, e secondo altri ancora con cento occhi (dormiva chiudendone cinquanta per volta) oppure con un´infinità di occhi disseminati sull´intero corpo, che non si chiudevano mai tutti insieme, una vigilanza rivolta esclusivamente all´esterno. Di una persona molto accorta i Greci dicevano che era un Argo oppure che aveva più occhi di Argo.
L´occhio umano è un simbolo universale di conoscenza, l´apertura degli occhi è un rito di apertura alla conoscenza, un rito di iniziazione. Ma l´occhio ha colpito l´immaginario comune innanzitutto per la sua forma ovale e per la sua condizione di luogo aperto/chiuso, da cui qualcosa può entrare e qualcosa può uscire. Nella lingua italiana l´occhio ha infinite declinazioni. Oltre che l´organo della vista e l´apparato visivo o anche la capacità di leggere bene, vuol dire, ad esempio, il foro aperto in una porta o una parete per spiare di nascosto, oppure la toppa della serratura, oppure i buchi nella mollica del pane ben lievitato, o ancora, in architettura, ogni apertura circolare o ellittica. Anche le chiazze naturali sulle piume, il pelo o la pelle di certi animali si chiamano occhi, come le macchie azzurre sulla coda del pavone, e anche le macchie evidenti sulla superficie di marmi o pietre. Occhi sono i dischi del capolino di una margherita o di un girasole, o i cerchi su una superficie liquida agitata. Alcune cose escono dagli occhi, e qualcuno può andare per occhio, cioè colare a picco con la sua nave.
L´occhio pineale è l´ossessione di Georges Bataille. Come lui stesso ricorda nella Critica dell´occhio, quest´idea risale al 1927 e risponde probabilmente alla sua concezione anale, cioè notturna, del disco solare. Scrive: «Mi raffiguravo l´occhio in cima al cranio come un orribile vulcano in eruzione, proprio con il carattere losco e comico che si attribuisce al di dietro e alle sue escrezioni. Ora l´occhio è senza alcun dubbio il simbolo del sole abbagliante, e quello che io immaginavo in cima al mio cranio era necessariamente infuocato, essendo votato alla contemplazione del sole al sommo del suo splendore». Scrive ancora: «Io non esitavo a pensare seriamente alla possibilità che quest´occhio straordinario finisse per farsi strada attraverso la parete ossea della testa, perché credevo necessario che dopo un lungo periodo di servilità gli esseri umani avessero un occhio speciale per il sole (mentre i due occhi che sono nelle orbite se ne allontanano con una specie di ostinazione stupida). Non ero pazzo ma davo senza dubbio eccessiva importanza alla necessità di uscire in una maniera o nell´altra dai limiti della nostra esperienza umana […]».
Buono o malvagio, qualunque sia il sentimento del suo vedere, l´occhio è sempre oggetto di acute inquietudini e suscita comunque emozioni contrastanti. Ancora Bataille, scrive che non c´è nulla di più seducente dell´occhio, nulla di più attraente nel corpo degli uomini e degli animali, e in questo appeal è simile al filo della lama. D´altra parte, la seduzione estrema è al limite dell´orrore, ed è forse quello che ha ispirato Salvador Dalì e Luis Buñuel nel film Chien andalou, dove un rasoio incideva l´occhio di una donna giovane e affascinante sotto lo sguardo di un uomo, ammirato fino alla follia, che tiene in mano un cucchiaino da caffè e improvvisamente ha voglia di prendersi un occhio nel cucchiaino. Voglia piuttosto singolare per un occidentale la cui cultura gli impedisce di mangiare l´occhio dei buoi, degli agnelli o dei maiali. È golosità cannibale, secondo l´espressione di Robert Louis Stevenson. Nessuno di noi morderebbe mai un occhio.
Ci sono quelli che non danno troppa importanza all´occhio e al suo vedere, e preferiscono sentire. Era appunto il caso di Stevenson nella sua ultima e appassionata discussione letteraria. Quando l´amico Henry James gli lamentò di non vedere nulla nel romanzo Catriona - «ho l´impressione di trovarmi in presenza di voci nell´oscurità, voci tanto più distinte e vivaci […] quanto lo sguardo resta occultato» - Stevenson gli rispose con una frase memorabile: «Ascolto le persone parlare e le sento agire, il racconto mi sembra questo. I miei due obbiettivi possono essere descritti così: 1. guerra all´aggettivo e 2. morte al nervo ottico». Secondo Stevenson «la letteratura è scritta per e da due sensi: una specie di orecchio interno, lesto a percepire melodie silenti, e l´occhio che - semplicemente - guida la penna e decifra la frase stampata. Ebbene, proprio come vi sono rime per l´occhio, così noterete che esistono assonanze e allitterazioni».
E poi ci sono quelli che preferiscono l´assenza dell´occhio, come José Saramago che ha scritto uno dei suoi migliori romanzi, Cecità, straordinaria metafora di una perdita del vedere nei nostri tempi. Quanto all´"occhio della coscienza", poco prima di morire, nel 1847, l´illustratore fantastico e caricaturista francese Jean-Ignace-Isidore Gérard, detto Grandville, sognò quest´occhio ossessionante e lugubre, occhio vivente e totalmente vigile. Lo raccontò in Crime et expiation, e Victor Hugo lo riprese.
L´aspetto assolutamente negativo dello sguardo invidioso, pieno di cattive intenzioni, l´occhio malevolo, cioè il malocchio, mal d´occhio, è ancora molto vivo nella cultura mediterranea. Ci sarebbero occhi particolarmente pericolosi, come quelli delle donne anziane, ma anche delle vipere o dei gechi, perché l´intero mondo animato partecipa di questa presa di potere su altro e altri. E particolarmente sensibili al malocchio sarebbero i bambini, le puerpere, il latte, il grano ma anche cavalli, cani e il bestiame in generale, perché il malocchio può uccidere gli animali. Come difendersi dal malocchio: con veli che nascondono allo sguardo, fumigazioni profumate, ferro rosso, sale, corni, mezzelune, ferri di cavallo, mani di Fatima.
Per la posizione nel corpo, e nella preminenza sulle percezioni del nostro mondo, l´occhio, il suo simbolo, la sua parola stessa si adeguano all´infinito: occhio del ciclone, occhiolino, occhiello, occhio di bue, occhio di gatto, locuzioni tutte riguardanti tutt´altro.