Thursday, April 22, 2021

il paganesimo

 

Il paganesimo, dunque, è innanzi tutto il contrario esatto del cristianesimo; ed è proprio questo a costituire la sua forza inquietante, forse la sua stessa eternità. Almeno da tre punti di vista esso si distingue radicalmente, pur nelle sue differenti manifestazioni, dal cristianesimo nelle sue diverse versioni. Il paganesimo non è mai dualista e non oppone ne lo spirito al corpo ne la fede alla conoscenza. Esso non istituisce la morale come principio esterno rispetto ai rapporti di forza e di senso che traducono gli accidenti della vita individuale e sociale. Esso postula una continuità tra ordine biologico e ordine sociale che da un lato relativizza l'opposizione della vita individuale alla collettività nella quale essa si inscrive, mentre dall'altro tende a fare di ogni problema individuale o sociale un problema di lettura: esso postula che ogni evento costituisca un segno e che ogni segno abbia un senso. La salvezza, la trascendenza e il mistero gli sono essenzialmente estranei. Di conseguenza il paganesimo accoglie la novità con interesse e spirito di tolleranza; sempre pronto ad allungare la lista degli dèi, esso contempla l'addizione, l'alternanza ma non la sintesi. Questa è certamente la ragione più profonda del suo malinteso con il proselitismo cristiano: il paganesimo non ha mai avuto, da parte sua, alcuna pratica missionaria.

 

Marc  Auge', Genio del Paganesimo, Bollati Boringhieri, 2002

Monday, April 19, 2021

Gli uomini e gli Dei

 Gli uomini e gli Dei

Il monoteismo ha vomitato il suo squallido rapporto con il divino in ogni luogo. C’è  chi si accorge del fetore che il cristianesimo emana e si pone ad una distanza di sicurezza, c’è chi ne rimane stordito. Il cristianesimo pone il divino al di fuori del mondo. Le pecorelle del suo gregge vivono con gli occhi al cielo, vuota la loro speranza di scorgere una qualche manifestazione del loro dio. C’è chi ha raffigurato questa misera condizione con l’immagine del dio cristiano come un insetto che vola fuori dal mondo, ogni tanto scende a pungere; quando questo fenomeno si concretizza lo definiscono apparizione.

Divertente è la condizione di alcuni che si definiscono “pagani”, questi ritengono che gli Dei non siano nel mondo, che non possiedano un corpo, che vadano “immaginati” in quanto privi di forma e sostanza, viene da chiedersi se questo sia paganesimo.

Sul rapporto uomini e dei leggiamo quanto scrive Angelo Brelich nel suo libro “i greci e gli nei” nel capitolo intitolato “il politeismo greco”:

Solo la netta coscienza delle insopprimibili differenze tra dèi ed uomini consente ai Greci di accentuare, in misura altrove sconosciuta, quell’affinità che rende possibile una comunicazione straordinariamente viva tra mondo umano e mondo divino. Esiodo racconterà come in seguito al misfatto di Prometheus le vie degli uomini si siano separate da quelle degli dèi. Da allora l’uomo soggiace al suo destino di mortale ed è tenuto a sacrificare agli dèi: ma il mito esiodeo, mentre fonda l’abissale distacco, mette in rilievo anche la comune origine di dèi ed uomini, una comune natura anteriore alla separazione. Essa verrà riaffermata da Pindaro (Nem. 6): «una è la specie degli uomini e degli dèi; da una madre traiamo respiro entrambi; ciò che ci separa è un potere interamente distinto, di modo che l’una (= la specie umana) è nulla, l’altra resta sempre (sorretta da) l’incrollabile sede bronzea, il cielo ». Certo, l’uomo, questa nullità, questo (sempre per Pindaro) « sogno d’un’ombra » non può neppure avvicinarsi al livello dell’esistenza divina; ma questa gli si manifesta in forme così trasparentemente umane che il modo di essere e le azioni umane sembra possano porsi nella luce del suo riflesso.

Soltanto a prezzo di una grossolana semplificazione si potrebbe tentare di dare, in poche parole, almeno una rudimentale idea di questo rapporto. Allora potremmo dire che il giovane greco vedeva davanti a sé come ideale lo splendore dell’eternamente giovane Apollon, la vergine intatta e non ancora sottomessa poteva trasfigurare la propria condizione ritrovandone il modello in Artemis, la sposa nella sposa divina per eccellenza, Hera; l’abilità del commerciante, del viaggiatore o di chiunque dovesse avventurarsi in luoghi e circostanze imprevedibili, trovava un modello imperituro in Hermes; l’autorità, in tutte le sue forme più alte, si richiamava a quella del sovrano degli dèi, Zeus, ecc., ecc. Ma una dettagliata analisi delle figure divine e dei loro inesauribili rapporti reciproci, quali ci si presentano nei loro miti, riti, nelle feste, o in occasione delle invocazioni e delle dediche loro rivolte, nella posizione dei loro templi, ecc., rende vane e futili siffatte semplificazioni. Le divinità greche non sono riducibili a singole funzioni, a singole formule: esse sono complesse, e anche la loro complessità si nutre in maniera « antropomorfa » di quella dell’esistenza umana: perché se per i Greci stessi le divinità erano modelli immutabili per l’uomo effimero, lo storico non deve dimenticare che, in realtà, esse sono proiezioni sublimate dei valori che una società complessa come quella greca ha espresso da sé, ponendoli ai riparo da ogni contingenza.

 

Il paganesimo e il politeismo non hanno teologia

 

Il paganesimo e il politeismo non hanno teologia.

Il monoteismo condiziona l’approccio ad ogni fenomeno religioso. Il cristianesimo ha molte nefaste varianti. Una parte consistenti della storia delle religioni è stata redatta da autori che erano dei semplici funzionari della chiesa. Le maggiori correnti politiche sono state deformate e condizionate dal cristianesimo. Ci sono autori che potremmo descrivere come afflitti dalla “sindrome di Stoccolma”. Accade che determinati meccanismi cristiani vengano considerati necessari, e debbano essere utilizzati anche nel tentativo di liberarsi dal fenomeno cristiano. C’è chi ritiene che il paganesimo e il politeismo debba dotarsi di una teologia. Simile affermazione è totalmente sbagliata. Sul tema riteniamo utile riportare quanto scrive Angelo Brelich nel suo libro “i Greci e gli dei”, nel capitolo “il politeismo greco”: 

Così, dunque, la religione greca elabora, trasforma e valorizza retaggi della propria preistoria primitiva. Che questi si possano ancora intravedere attraverso il perfetto antropomorfismo e i nuovi valori investiti nelle divinità, prova una continuità nella formazione della religione greca, che non sarebbe stata possibile se essa, in un qualsiasi momento storico, fosse stata irrigidita da un sistema teologico o da un ordinamento selettivo imposto da una classe dirigente.

 

Saturday, April 17, 2021

la religione della realtà

 L’uomo omerico tocca la sfera del divino con ogni moto e ogni impulso del suo essere, con ogni forma della sua esistenza. Di ogni dono, di ogni abilità che egli possiede, di ogni forza che sente in sé, di ogni significativo pensiero che gli viene sa che la causa immediata è un Dio. Se è bello si rallegra dei doni di Afrodite, se è un esperto cacciatore Artemide lo ha istruito, se sa costruire ed edificare deve la sua arte ad Atena che gli è stata maestra. Se è un guerriero dal cuore pieno di coraggio, se i suoi muscoli sono gonfi per la forza, se le membra si muovono con elasticità nonostante le ferite, è sempre un Dio che gli infonde questa pienezza di vita. Così egli si vede dappertutto circondato dal sovrumano. Ma quello che vi è di particolare in questa scena divina è che ciononostante, non succedono in genere miracoli. Le mura di una città non cadono al solo suono delle trombe, nessun mare si apre in modo da poter essere attraversato all’asciutto. La vita umana non diventa una fiaba per il cantore. I suoi eroi, quanto a comunione coi loro Dei, non sono per nulla superiori a ciò di cui i prodi ascoltatori potevano ritenere capaci i loro antenati. La mano della divinità produce qui quel tanto che succede veramente nel mondo dell’esperienza.

Walter F.Otto

Spirito Classico e Mondo Cristiano

i grandi valori che lo spirito cristiano ha rifiutato

I più grandi falliti sono sommi simulatori

 I più grandi falliti sono sommi simulatori. Arrivano al rispetto di se stessi, che ogni momento possono perdere e debbono cercare sempre di nuovo, attraverso vie prettamente oscure e traverse. E per questo hanno bisogno del prossimo. Il loro amore è altrettanto illiberale quanto il loro odio. La loro scaltrezza sa come amare uno, per far sentire più acerbamente il proprio odio all’altro. Nel fondo del loro essere infatti sono vendicativi, non a cagione di vere offese, ma in conseguenza della loro natura corrotta. I più vicini a loro sono gli incerti di tutte le sfumature. Non sono pieni soltanto di pura avidità di vendetta, sebbene nella loro miseria vi incorrano facilmente. Tanto più sentono il pericolo di voler essere grandi, dell’orgoglio, della confidenza in se stessi, perfino della rettitudine e della schiettezza. Come certi individui si guardano dall’ubriachezza perché, simile a una risciaquatura, porta alla superficie il fango del loro temperamento, cosi essi non possono abbandonarsi a nessun genere di libertà per non diventare volgari. La grandezza può provocare doro solo le vertigini; l’orgoglio diventa millanteria, a ogni tentativo di confidenza in se stessi debbono inorridire della loro nascosta instabilità. Si fanno scrupolo di ogni cosa e stanno meglio di tutto quanto più strettamente si sentono legati a qualcosa.

La nuova morale è stata coniata per queste legioni di esseri inferiori. Essa non poteva lasciarli diventare grandi e vigorosi. Ma conveniva farne almeno qualche cosa, anzi tutto per la loro propria coscienza sofferente. Alla loro debolezza malevola la nuova morale oppose debolezza benevola: compassione, amore, umiltà e come ancora si chiama. Alcune di loro hanno un bel nome. Ma chi riuscirebbero a ingannare? Solo gli stessi individui problematici, che hanno bisogno di loro e a cui esse debbono dare una tinta di color vitale. Nonostante le parole roboanti, la loro morale non ha la più lontana parentela con quella grande lotta in cui, come dice Hòlderlin, il combattente ha imparato « a essere libero e orgoglioso ».

Walter F. Otto

Spirito Classico e Mondo Cristiano

I grandi valori che lo spirito cristiano ha rifiutato


L’universo è infinito

 L’universo è infinito e in esso ogni cosa vuole diventare divina. L’Eros non conosce indugio. Prima che la gloria più recente sia distrutta egli è già volato oltre, per cogliere il fiore del divenire. Giovani Dei e giovani Dee, per cui ancora nessun cuore si è infiammato, attendono di aprire gli occhi; e altri Dei dimenticati da secoli si preparano alla resurrezione. Il maggior rischio desta il maggior piacere. Dovunque sovrasta l’attimo sconfinato. Nel deserto, dove la nostalgia si faceva il segno della croce, su cime glaciali, innanzi alle quali il pensiero sbigottiva, l’ardimento trova la sua più nobile preda. E la realtà afferrata in un abbraccio, improvvisamente offre ad Eros nell’amorosa lotta un viso più familiare, un sorriso che lo rapisce nell’indescrivibile. Questo è l’evento supremo. È il mondo che comincia a risplendere, la realtà somma e più fugace toccata dal polline di tutte le idee divine. Ciò che rimane non è che fantasia, canzone e saga.

L’immagine divina, scolpita, dipinta, cantata o parlata, che l’istante infinito lascia dietro di sé come simbolo e pegno, può essere per l’Eros generatore solo una pietra di confine. Se egli si ferma, se s’innamora scioccamente degli occhi del cielo, se vuole inginocchiarsi, il suo demone lo fulmina improvvisamente con lo sguardo da quegli occhi. Egli comprende lo sguardo e ode nella lontananza i rintocchi di una nuova ora. Ma la folla di coloro che non sono liberi, degli animi teneri e spasimanti, che hanno bisogno di un gran padrone, di un’ancora di salvezza, di un cuore amoroso, si riuniscono tutti intorno all'immagine divina, l’adorano, costruiscono templi e la devota ubbidienza propaga la venerazione nei secoli. Il mondo è pieno di queste immagini. Dovunque noi guardiamo vediamo ima sala di statue o un campo di ruderi che raccontano molte cose. E migliaia di altari fumano davanti ai monumenti che ricordano il fulmine in cui Giove s’infiammò e si spense. 
Walter F. Otto
Spirito Classico E mondo cristiano
I grandi Valori che lo spirito cristiano ha rifiutato

Wednesday, March 31, 2021

Mentre gli antichi Greci

 Mentre gli antichi Greci avevano creato i loro Dei eternamente giovani a immagine del piacere della vita, anche dove le sue vie erano scabrose, il Cristiano invece, mediante frottole di diavoli e di spiriti, ha dato nel proprio cuore personalità all’elemento negativo.

Il sentimento della colpa caratteristico del Cristiano e la cui conseguenza è che invece di essere tutto pieno della propria dignità egli deve disprezzare, odiare, vituperare se stesso, è da lui chiamato con un nome falso: umiltà; questo sentimento della colpa avrebbe dunque il suo fondamento buono.

 

Walter Friedrich Otto

Spirito Classico e mondo cristiano

La nuova italia Editrice, 1973, Firenze

Saturday, March 27, 2021

il pagano

… il Pagano conservava da sua dignità in tutta la vita, sia in quella dell’esperienza che in quella della conoscenza, mentre egli aveva la forza di mantenere la distanza e il mondo era quindi per lui reale e plastico nel senso più vivo, il Cristiano invece non fa che meditare sulla sua indegnità e si fa un onore — e l’unico — di riconoscere quest’indegnità. Con l’incapacità umana di mantenere la distanza, il mondo è diventato un’ombra; la sua valutazione dipende solo dagli apprezzamenti di un animo malato. Per la stessa ragione non può esserci un rapporto dignitoso verso la divinità, ma solo le forme più sfacciate della rinunzia contrita o di un’esaltata unione amorosa, forme che risalgono fondamentalmente alla medesima mancanza di superiorità. Dove la dignità e la distanza sono andate perdute è finita naturalmente anche la libertà spirituale. È arrivata l’epoca della rivelazione stampata. Ogni nozione viene ad essere legata al libro, le cui parole debbono sempre essere decisive, perché si vuole che esso garantisca la beatitudine. Così il mondo è diventato vuoto, la realtà un’ombra. Vi è rimasto solo lui, il povero indegno, con le sue miserie e le sue nostalgie.

 

Walter Friedrich Otto

Spirito Classico e mondo cristiano

La nuova italia Editrice, 1973, Firenze


Thursday, March 18, 2021

I grandi valori che lo spirito cristiano ha rifiutato

 Tutto il mondo parla di quanto l'umanità ha guadagnato per effetto del Cristianesimo. Ma cosa abbia perduto non si sa. L'interesse alla civiltà antica si giustifica oggi solo con il desiderio di conoscenze storiche, poiché sentiamo il bisogno di conoscere le basi storiche della nostra formazione spirituale. Di valori assoluti della cultura classica non osano più parlare nemmeno coloro che amano quella cultura. E non c'è da meravigliarsene, poiché vediamo gli ideali antichi solo attraverso le lenti del Cristianesimo, e non possiamo più intendere per sentimento religioso altro che quello che il Cristianesimo da essi ha operato. Perciò anche la lode dei principii anteriori al Cristianesimo, con tutte le migliori intenzioni, viene ad essere di solito solo un riconoscimento del fatto che in molti punti essi sono già vicini agli alti ideali del Cristianesimo e dei tempi nuovi.

L'opera che ci sta innanzi segue la via opposta. Riconosce, nella concezione del mondo e della vita degli antichi, valori che lo spirito cristiano ha rifiutato solo perché erano troppo grandi per lui. Misura il nuovo con l'antico e cerca di spiegare come si è potuti arrivare alla decadenza. Dal pensiero precristiano e non cristiano osa infine gettare lo sguardo in un mondo ideale al di là della fede.

E ne era tempo. Perché proprio quando il Cristianesimo si spoglia della fede nell’al di là per fissare in modo ancora più risoluto i valori di questo mondo, appar chiaro quanto esso sia pericoloso e fatale.

dalla prefazione

Walter Friedrich Otto

Spirito Classico e mondo cristiano

La nuova italia Editrice, 1973, Firenze

Wednesday, March 10, 2021

Ipazia

 

Le stesse innumerevoli colpe che lordano la lotta gentile e cristiana, non deviano più che da gelosia di parola e di sapienza, gelosia co’ tempi inasprita dalla ambizione e dall’amor del potere. In Alessandria si contrastava l’impero Teofilo e Ipazia, quegli cristiano e vescovo, questa pagana regina de’ cuori e delle menti. Bellissima e saggia, Ipazia persuade i giovani colla poesia, colle grazie e con canto, affascina i vecchi con pensata filosofia e con modesta prudenza. Tutti accorrono ad ascoltarla; tutti ragionan di lei; la cattedra d’Ipazia usurpa le moltitudini all’omelie di Teofilo. Il quale ne sente amarissima gelosia, accende contro di lei la rabbia religiosa; e la vergine Ipazia, non compiuti i vent’anni, muore trucidata dal popolo cristiano.

 

 

Filippo de Boni

Del papato studi storici, Volume 1,

Capolago, Tipografia elvetica, 1851