Wednesday, March 26, 2008

Achille e la pira di Patroclo


Eva Cantarella
Achille e la pira di Patroclo
“Corriere della Sera”, 8 marzo 2008
Inumare i morti o incinerarli? Dilemma antico, al quale sono state date risposte diverse. Una volta si pensava che vi fossero popoli inumatori e popoli inceneritori: i primi, dicevano alcuni, adoravano gli dèi inferi, i secondi quelli celesti; secondo altri i nomadi bruciavano i morti, i popoli stanziali li inumavano; altri, ancora, credevano che i preindoeuropei inumassero e gli indoeuropei incinerassero. Ipotesi tutte errate. Spesso, infatti, la scelta tra inumazione e incinerazione non è esclusiva. Né ora né nell’antichità, dove quel che importava veramente era che ai defunti fossero resi gli onori funebri: fino a che non li avevano ricevuti, infatti, i morti non trovavano pace nell’aldilà (e, pensavano i romani, rischiavano di tornare a tormentare i vivi in forma di Larvae o Lemures). I riti funebri, dunque, erano un momento importantissimo della vita sociale, che si svolgeva secondo regole non molto diverse in Grecia e a Roma: al morto venivano chiusi occhi e bocca, il suo nome veniva invocato a gran voce (la conclamatio romana), e il cadavere veniva preparato per il rito funebre, più o meno solenne a seconda delle condizione del defunto. Nell’Iliade, sulla pira di Patroclo, Achille, insieme al cadavere dell’amico, brucia due dei suoi cani, quattro cavalli e ben dodici giovani prigionieri troiani. Anche se la descrizione epica non va presa alla lettera, sulla pira dei nobili, spesso, venivano effettivamente collocate le loro armi, i loro cani e i loro cavalli. A Roma, invece, dice Cicerone, la consuetudine più antica voleva che i defunti venissero inumati. Ma questa pratica coesisteva già con la cremazione nelle XII Tavole (450 a.C.), che per ragioni igieniche vietavano di seppellire o bruciare i morti in città; e nonostante il divieto di seppellire o bruciare oggetti d’oro insieme al defunto (una norma contro il lusso), stabilivano che non venisse punito chi seppelliva o bruciava un morto i cui denti erano stati legati con l’oro. Interessante ricordare, infine, che quando la cremazione si diffuse sino a diventare il rito più corrente entrò in uso la pratica nota come os resectum: al cadavere, prima di bruciarlo, si tagliava un piccolo osso (abitualmente quello di un dito), che veniva quindi seppellito. Simbolicamente, il defunto tornava comunque alla terra madre.