Pericle tra gli embrioni
Il Mattino del 19 marzo 2008, pag. 19
di Fabrizio Coscia
Che differenza c'è tra un embrione e un individuo? Quando si può cominciare a parlare della nascita di una vita? È scientificamente (oltre che politicamente) corretto considerare l'aborto un omicidio?
Su questi e altri interrogativi, oggi più che mai al centro di roventi polemiche e dibattiti politico-filosofici, addirittura entrati con inedita prepotenza nella campagna elettorale in corso, Edoardo Boncinelli, genetista di fama internazionale e direttore di ricerca del Cnr all'Ospedale «San Raffaele» di Milano - ha una risposta certa: tutti ne parlano ma nessuno sa niente. In altre parole: la confusione sul tema regna sovrana. Non è difficile, allora, prevedere che il suo libro L'etica della vita. Siamo uomini o embrioni? (Rizzoli, pagg. 185, euro 12) farà discutere molto il mondo scientifico e non solo. Con l'obiettivo dichiarato di dare un contributo di chiarezza su questioni delicate come la fecondazione assistita o le diagnosi pre-impianto, che l'autore difende definendole la punta di diamante della genetica, lo stesso aborto o la ricerca sulle cellule staminali, Boncinelli - che il 14 maggio sarà al «Suor Orsola Benincasa» di Napoli per il progetto «Comunicare la scienza» - espone «la storia più bella del mondo, quella della nascita di una vita», descritta in tutte le fasi dello sviluppo embrionale, attraverso la frenetica moltiplicazione delle cellule e la loro specializzazione, come un viaggio al microscopio nel cuore dell'identità umana.
Professor Boncinelli, a trent'anni dalla legge 194, si torna a parlare di aborto: dal recente provvedimento della Regione Lombardia al codice di autoregolamentazione adottato dalla clinica Mangiagalli di Milano, dalla lista «Per la vita» di Giuliano Ferrara, fino al caso estremo del sequestro del feto nell'ospedale di Napoli. Che ne pensa?
«Se vivessimo in un Paese civile non ci sarebbe niente di male a ridiscutere di una legge che riguarda un tema così importante, anche alla luce delle ultime novità scientifiche sulle possibilità di sopravvivenza che ha il feto già alla ventunesima settimana. Ma siccome siamo un popolo di arruffoni, può essere anche molto pericoloso, anche se credo che alcune posizioni polemiche sono prese più per esibizionismo e opportunismo che per reale convinzione. Non parlo ovviamente della Chiesa, che è legittimata a essere contraria per principio all'aborto. Per quel che riguarda, invece, il blitz nell'ospedale di Napoli, lo trovo un episodio inquietante, perché dimostra lo stato confusionale della nostra magistratura, e di conseguenza delle forze dell'ordine, sul rapporto tra il grado di urgenza e quello di discrezionalità».
Proviamo, allora, a mettere un po' di ordine e chiarezza, spiegando dall'inizio: qual è il momento in cui nasce un individuo?
«Fino alla seconda settimana di gestazione non si può parlare di individuo. Il pre-embrione concepito, infatti, nella maggior parte dei casi può diventare nullo e in una piccola percentuale può dare luogo a due o tre individui.
Dopo il quattordicesimo giorno comincia il processo di identificazione dell'embrione con la comparsa del primo segno del futuro sistema nervoso. È questo, a mio avviso, il momento che, per convenzione, si può associare alla nascita dell'individuo. Dico per convenzione perché lo sviluppo è graduale e bisognerebbe avere il coraggio di fissarlo come si fa dal punto di vista sociale per la maggiore età, fissata a diciott'anni. Più complesso, invece, è definire la nascita dell'essere umano, o ancora di più della "persona", perché sono termini che rientrano in altri ambiti, non scientifici, ma civili e legali, etici e religiosi».
E qui entriamo nel rapporto tra scienza e bioetica, un termine che però a lei non piace molto.
«No, infatti. Preferisco "etica della vita", perché l'etica di per sé riguarda tutti ed è come una specie di indotto delle scoperte scientifiche che nasce quando queste entrano in contatto con la società. La scienza è avalutativa: può solo spiegare come stanno le cose e che corso potrebbero prendere, sono le sue applicazioni che riguardano l'etica».
Chi dovrebbe saldare, allora, i confini tra scienza e etica della vita?
«L'ideale sarebbe che lo facessero direttamente i cittadini, come in Danimarca, o come si poteva fare nell'Atene di Pericle. Ma è chiaro che in paesi dove per numero di popolazione non può esserci il sistema della democrazia diretta la questione diventa politica. Di qui la necessità che i politici non facciano di questi temi un pretesto per insultarsi e fare la guerra in tempo di pace e che i giornalisti, come i divulgatori scientifici, diano il loro onesto contributo di chiarezza».
Il Mattino del 19 marzo 2008, pag. 19
di Fabrizio Coscia
Che differenza c'è tra un embrione e un individuo? Quando si può cominciare a parlare della nascita di una vita? È scientificamente (oltre che politicamente) corretto considerare l'aborto un omicidio?
Su questi e altri interrogativi, oggi più che mai al centro di roventi polemiche e dibattiti politico-filosofici, addirittura entrati con inedita prepotenza nella campagna elettorale in corso, Edoardo Boncinelli, genetista di fama internazionale e direttore di ricerca del Cnr all'Ospedale «San Raffaele» di Milano - ha una risposta certa: tutti ne parlano ma nessuno sa niente. In altre parole: la confusione sul tema regna sovrana. Non è difficile, allora, prevedere che il suo libro L'etica della vita. Siamo uomini o embrioni? (Rizzoli, pagg. 185, euro 12) farà discutere molto il mondo scientifico e non solo. Con l'obiettivo dichiarato di dare un contributo di chiarezza su questioni delicate come la fecondazione assistita o le diagnosi pre-impianto, che l'autore difende definendole la punta di diamante della genetica, lo stesso aborto o la ricerca sulle cellule staminali, Boncinelli - che il 14 maggio sarà al «Suor Orsola Benincasa» di Napoli per il progetto «Comunicare la scienza» - espone «la storia più bella del mondo, quella della nascita di una vita», descritta in tutte le fasi dello sviluppo embrionale, attraverso la frenetica moltiplicazione delle cellule e la loro specializzazione, come un viaggio al microscopio nel cuore dell'identità umana.
Professor Boncinelli, a trent'anni dalla legge 194, si torna a parlare di aborto: dal recente provvedimento della Regione Lombardia al codice di autoregolamentazione adottato dalla clinica Mangiagalli di Milano, dalla lista «Per la vita» di Giuliano Ferrara, fino al caso estremo del sequestro del feto nell'ospedale di Napoli. Che ne pensa?
«Se vivessimo in un Paese civile non ci sarebbe niente di male a ridiscutere di una legge che riguarda un tema così importante, anche alla luce delle ultime novità scientifiche sulle possibilità di sopravvivenza che ha il feto già alla ventunesima settimana. Ma siccome siamo un popolo di arruffoni, può essere anche molto pericoloso, anche se credo che alcune posizioni polemiche sono prese più per esibizionismo e opportunismo che per reale convinzione. Non parlo ovviamente della Chiesa, che è legittimata a essere contraria per principio all'aborto. Per quel che riguarda, invece, il blitz nell'ospedale di Napoli, lo trovo un episodio inquietante, perché dimostra lo stato confusionale della nostra magistratura, e di conseguenza delle forze dell'ordine, sul rapporto tra il grado di urgenza e quello di discrezionalità».
Proviamo, allora, a mettere un po' di ordine e chiarezza, spiegando dall'inizio: qual è il momento in cui nasce un individuo?
«Fino alla seconda settimana di gestazione non si può parlare di individuo. Il pre-embrione concepito, infatti, nella maggior parte dei casi può diventare nullo e in una piccola percentuale può dare luogo a due o tre individui.
Dopo il quattordicesimo giorno comincia il processo di identificazione dell'embrione con la comparsa del primo segno del futuro sistema nervoso. È questo, a mio avviso, il momento che, per convenzione, si può associare alla nascita dell'individuo. Dico per convenzione perché lo sviluppo è graduale e bisognerebbe avere il coraggio di fissarlo come si fa dal punto di vista sociale per la maggiore età, fissata a diciott'anni. Più complesso, invece, è definire la nascita dell'essere umano, o ancora di più della "persona", perché sono termini che rientrano in altri ambiti, non scientifici, ma civili e legali, etici e religiosi».
E qui entriamo nel rapporto tra scienza e bioetica, un termine che però a lei non piace molto.
«No, infatti. Preferisco "etica della vita", perché l'etica di per sé riguarda tutti ed è come una specie di indotto delle scoperte scientifiche che nasce quando queste entrano in contatto con la società. La scienza è avalutativa: può solo spiegare come stanno le cose e che corso potrebbero prendere, sono le sue applicazioni che riguardano l'etica».
Chi dovrebbe saldare, allora, i confini tra scienza e etica della vita?
«L'ideale sarebbe che lo facessero direttamente i cittadini, come in Danimarca, o come si poteva fare nell'Atene di Pericle. Ma è chiaro che in paesi dove per numero di popolazione non può esserci il sistema della democrazia diretta la questione diventa politica. Di qui la necessità che i politici non facciano di questi temi un pretesto per insultarsi e fare la guerra in tempo di pace e che i giornalisti, come i divulgatori scientifici, diano il loro onesto contributo di chiarezza».