Il ritorno di Persefone Concluso l’imponente lavoro di classificazione di più di 5mila «pinakes» legate al culto della dea
Pietro Giovanni Guzzo *
26/05/2008 IL MATTINO
Locri Epizefirii si credeva fosse uno dei luoghi nei quali il dio infero Hades aveva rapito Persefone per farne la sua sposa. Demetra, disperata per la scomparsa dell’unica figlia, ottenne dal dio di riaverla per una sola metà dell’anno: e la riapparizione di Persefone dall’oscurità infernale segnava il ciclico ritorno della primavera. Proprio un secolo fa, Paolo Orsi ritrovò nella località Mannella dell’attuale Locri in Calabria, all’esterno delle mura di difesa della città antica, migliaia di tavolette in terracotta lunghe un palmo decorate a rilievo, deposte come doni votivi in un santuario, del quale tramandavano memoria le fonti letterarie antiche. Molte di quelle tavolette recavano la raffigurazione del rapimento di Persefone da parte di Hades, alla guida di un carro trainato da focosi cavalli. Così che l’archeologo aggiunse questa sua scoperta, cruciale per la storia dei culti in Magna Grecia, alle numerose altre che ne hanno fatto la figura principale per la conoscenza di quella regione dell’Italia antica. Oggi si conclude un lavoro che ha occupato gli ultimi quindici anni, grazie al quale quelle tavolette sono state tutte inventariate (a raggiungere il numero di 5360, tra intere e frammentarie), descritte, fotografate, disegnate, commentate: confluendo in sedici tomi, editi dal 1996 nella serie degli Atti e Memorie della Società Magna Grecia della Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia. La cura di una tale impresa è stata di Elisa Lissi Caronna, Claudio Sabbione e Licia Vlad Borrelli: che si sono, così, guadagnati ulteriore gratitudine, in quanto questi curatori hanno portato a felice conclusione lo studio iniziato, su invito dello stesso Paolo Orsi, da Paola Zancani Montuoro, della cui scomparsa fra poco ricorrerà il ventesimo anniversario. Agli specialisti occorrerà lasciare un’analisi minuta dei criteri di classificazione seguiti prima dalla Zancani Montuoro, ora in questi volumi, adottati per presentare in maniera ordinata la quantità sovrabbondante delle tavolette locresi, e l’assegnazione dei numerosi frammenti. Pure a specialisti toccherà dibattere sull’interpretazione delle diverse scene figurate ottenute a stampo sulla fronte delle tavolette, che venivano poi sospese in bella vista all’interno del santuario. L’accuratezza della rappresentazione dei dettagli, la successione delle matrici adoperate per tutto il corso del V secolo a. C. recanti lo stesso «tipo» iconografico, le varianti e i ritocchi apportati, come aggiunte e sottrazioni alla composizione del «tipo», l’uso del colore per ravvivare alcuni campi o lo sfondo della scena: sono alcuni dei temi di studio che, ora, si potranno affrontare in maniera sistematica. E la manualità di questa antica produzione permetterà anche, a chi ne sia in grado, di costituire un archivio delle impronte digitali degli artigiani locresi: non tanto a scopi giudiziari, quanto per aggiungere un dato oggettivo alle ricostruite «parentele» stilistiche fra gruppi di tavolette ed alle identificazioni di varie botteghe che si può supporre attive per più generazioni. Se il rapimento di Persefone da parte di Hades costituisce il tipo iconografico che caratterizza il santuario ed identifica la divinità che lo presiede, altri «tipi» ornano le tavolette locresi: Hades e Persefone, nella loro maestà infera, seduti su troni che accolgono offerte oppure figure femminili impegnate in varie attività domestiche, contornate sia da giocattoli sia da arredi domestici, fra le quali è significativo, ad esempio, l’apertura di un cassone che contiene un bimbo. Ognuno di questi temi figurati costituisce un «tipo», al quale si riportano varianti; in ognuno di essi è racchiuso un significato. L’essenza del quale, evidente per l’antico dedicante, si rapportava a quanto questi chiedeva alla divinità, oppure costituiva pubblico riconoscimento di gratitudine per averlo già ottenuto. La quantità e la specificità delle tavolette figurate ha, generalmente, tenuto in ombra diverse altre classi di doni votivi: come ad esempio i gioielli. L’insieme ritrovato un secolo fa converge nel documentarci l’esercizio di un culto reso da donne alla dea che protegge la loro fertilità (e da qui il suo essere celebrato fuori della città, per renderlo separato da presenze maschili). E la presenza di un bimbo nel cassone che viene aperto è trasparente metafora di una nuova nascita. Se Persefone, attraverso la parabola del rapimento e dell’alterna presenza terrena, simboleggia il passaggio della vergine alla sposa e della ciclica fertilità, non è essa l’unica divinità che presiede a questa funzione essenziale per la continuità di qualsiasi società. È da prevedersi un ravvivarsi di studi specialistici. La lunga osservanza di quel culto rappresenta una costante dell’antica cultura locrese: ma, a confronto di quelli analoghi a noi noti da ritrovamenti effettuati a Vibo Valentia, Rosarno, Francavilla di Sicilia, è quello più dettagliatamente conosciuto, grazie a Paolo Orsi, Paola Zancani Montuoro e a questi splendidi sedici tomi. La divinità coprì con la sua protezione feconda le donne locresi, e con esse la loro discendenza, finché i Romani ne profanarono il tempio, famosissimo fra gli Italioti. Chi, oggi, volesse ripercorrere il sentiero che conduce al riservato santuario della dea passeggerebbe fra olivi secolari, e fra incomplete e disordinate costruzioni. Alla suggestione che ispira quanto rimane dell’antica polis, accuratamente restaurata e provvista di un bel piccolo museo, si contrappone un paesaggio moderno al quale Persefone non ambirebbe, si teme, periodicamente ritornare.
Pietro Giovanni Guzzo *
26/05/2008 IL MATTINO
Locri Epizefirii si credeva fosse uno dei luoghi nei quali il dio infero Hades aveva rapito Persefone per farne la sua sposa. Demetra, disperata per la scomparsa dell’unica figlia, ottenne dal dio di riaverla per una sola metà dell’anno: e la riapparizione di Persefone dall’oscurità infernale segnava il ciclico ritorno della primavera. Proprio un secolo fa, Paolo Orsi ritrovò nella località Mannella dell’attuale Locri in Calabria, all’esterno delle mura di difesa della città antica, migliaia di tavolette in terracotta lunghe un palmo decorate a rilievo, deposte come doni votivi in un santuario, del quale tramandavano memoria le fonti letterarie antiche. Molte di quelle tavolette recavano la raffigurazione del rapimento di Persefone da parte di Hades, alla guida di un carro trainato da focosi cavalli. Così che l’archeologo aggiunse questa sua scoperta, cruciale per la storia dei culti in Magna Grecia, alle numerose altre che ne hanno fatto la figura principale per la conoscenza di quella regione dell’Italia antica. Oggi si conclude un lavoro che ha occupato gli ultimi quindici anni, grazie al quale quelle tavolette sono state tutte inventariate (a raggiungere il numero di 5360, tra intere e frammentarie), descritte, fotografate, disegnate, commentate: confluendo in sedici tomi, editi dal 1996 nella serie degli Atti e Memorie della Società Magna Grecia della Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia. La cura di una tale impresa è stata di Elisa Lissi Caronna, Claudio Sabbione e Licia Vlad Borrelli: che si sono, così, guadagnati ulteriore gratitudine, in quanto questi curatori hanno portato a felice conclusione lo studio iniziato, su invito dello stesso Paolo Orsi, da Paola Zancani Montuoro, della cui scomparsa fra poco ricorrerà il ventesimo anniversario. Agli specialisti occorrerà lasciare un’analisi minuta dei criteri di classificazione seguiti prima dalla Zancani Montuoro, ora in questi volumi, adottati per presentare in maniera ordinata la quantità sovrabbondante delle tavolette locresi, e l’assegnazione dei numerosi frammenti. Pure a specialisti toccherà dibattere sull’interpretazione delle diverse scene figurate ottenute a stampo sulla fronte delle tavolette, che venivano poi sospese in bella vista all’interno del santuario. L’accuratezza della rappresentazione dei dettagli, la successione delle matrici adoperate per tutto il corso del V secolo a. C. recanti lo stesso «tipo» iconografico, le varianti e i ritocchi apportati, come aggiunte e sottrazioni alla composizione del «tipo», l’uso del colore per ravvivare alcuni campi o lo sfondo della scena: sono alcuni dei temi di studio che, ora, si potranno affrontare in maniera sistematica. E la manualità di questa antica produzione permetterà anche, a chi ne sia in grado, di costituire un archivio delle impronte digitali degli artigiani locresi: non tanto a scopi giudiziari, quanto per aggiungere un dato oggettivo alle ricostruite «parentele» stilistiche fra gruppi di tavolette ed alle identificazioni di varie botteghe che si può supporre attive per più generazioni. Se il rapimento di Persefone da parte di Hades costituisce il tipo iconografico che caratterizza il santuario ed identifica la divinità che lo presiede, altri «tipi» ornano le tavolette locresi: Hades e Persefone, nella loro maestà infera, seduti su troni che accolgono offerte oppure figure femminili impegnate in varie attività domestiche, contornate sia da giocattoli sia da arredi domestici, fra le quali è significativo, ad esempio, l’apertura di un cassone che contiene un bimbo. Ognuno di questi temi figurati costituisce un «tipo», al quale si riportano varianti; in ognuno di essi è racchiuso un significato. L’essenza del quale, evidente per l’antico dedicante, si rapportava a quanto questi chiedeva alla divinità, oppure costituiva pubblico riconoscimento di gratitudine per averlo già ottenuto. La quantità e la specificità delle tavolette figurate ha, generalmente, tenuto in ombra diverse altre classi di doni votivi: come ad esempio i gioielli. L’insieme ritrovato un secolo fa converge nel documentarci l’esercizio di un culto reso da donne alla dea che protegge la loro fertilità (e da qui il suo essere celebrato fuori della città, per renderlo separato da presenze maschili). E la presenza di un bimbo nel cassone che viene aperto è trasparente metafora di una nuova nascita. Se Persefone, attraverso la parabola del rapimento e dell’alterna presenza terrena, simboleggia il passaggio della vergine alla sposa e della ciclica fertilità, non è essa l’unica divinità che presiede a questa funzione essenziale per la continuità di qualsiasi società. È da prevedersi un ravvivarsi di studi specialistici. La lunga osservanza di quel culto rappresenta una costante dell’antica cultura locrese: ma, a confronto di quelli analoghi a noi noti da ritrovamenti effettuati a Vibo Valentia, Rosarno, Francavilla di Sicilia, è quello più dettagliatamente conosciuto, grazie a Paolo Orsi, Paola Zancani Montuoro e a questi splendidi sedici tomi. La divinità coprì con la sua protezione feconda le donne locresi, e con esse la loro discendenza, finché i Romani ne profanarono il tempio, famosissimo fra gli Italioti. Chi, oggi, volesse ripercorrere il sentiero che conduce al riservato santuario della dea passeggerebbe fra olivi secolari, e fra incomplete e disordinate costruzioni. Alla suggestione che ispira quanto rimane dell’antica polis, accuratamente restaurata e provvista di un bel piccolo museo, si contrappone un paesaggio moderno al quale Persefone non ambirebbe, si teme, periodicamente ritornare.