L'Afrodite di Cnido seduce gli Emirati arabi
Eric Jozsef
8 Gennaio 2007, Il Sardegna
Il governo francese vende il marchio del Louvre alla città di Abu Dhabi: operazione meramente economica o dai risvolti culturali?
È l'ultimo dibattito a Parigi tra moderni e conservatori, tra difensori del patrimonio e sostenitori dell'azione culturale in un mondo globalizzato. La decisione del governo francese di prestare il marchio del Louvre agli Emirati di Abu Dhabi, che segue un accordo quasi simile con gli americani di Atlanta, sta provocando una viva polemica sulle rive della Senna. Le autorità politiche hanno in effetti accettato di favorire la costruzione di un nuovo museo nel golfo Persico che si chiamerà, in cambio di 500 milioni di euro, “Louvre Abu Dhabi”. I francesi forniranno consiglieri in museologia, esperti artistici e presteranno in modo temporaneo tra 400 e 500 opere d'arte, quadri, mobili, oggetti vari, gioielli ecc. “I musei non sono in vendita” hanno criticato diversi intellettuali tra cui il geniale ma conservatore storico dell'arte Jean Clair e l'ex-direttrice dei musei di Francia Françoise Cachin. Sostengono che con questa iniziativa la Francia si appresta a vendersi l'anima. Cioè a cedere il suo patrimonio per un piatto di lenticchie e più largamente a frantumare l'idea di eccezione culturale portata avanti da Parigi che permette di considerare l'arte e lo spettacolo come delle merci particolari che non possono essere sottomesse alle sole regole di mercato. Questo accordo con Abu Dhabi è stato concepito nell'ambito di accordi commerciali (in particolare con la vendita di 40 Airbus A- 380) e assomiglia più a un operazione di promozione diplomatica per il governo de Villepin che al primo capitolo di un grande progetto culturale. Tuttavia, la reazione negativa di alcuni ambienti culturali francesi non può che tradurre una paura anacronistica di fronte ai cambiamenti nella diffusione della cultura. Il museo del terzo millennio non sarà come quello della fine del settecento dove, nello spirito dei Lumi, si presentavano al pubblico le opere fino ad allora riservate a pochi aristocratici in un spazio fisso e quasi intangibile. Il “museo immaginario” annunciato da André Malraux cinquanta anni fa, che tramite la diffusione della fotografia e del cinema permettesse di diffondere l'arte dappertutto è già iniziato, quello del museo globalizzato si sta costruendo attraverso delle collaborazioni internazionali. Le collezioni pubbliche del Louvre rimangono inalienabili e staranno solo in prestito fuori. Ma è un passo avanti pensare che delle opere, spesso realizzate da artisti stranieri e chiuse nei magazzini per mancanza di spazio, potranno essere ammirate a migliaia di chilometri da Parigi e pure nel Golfo Persico. In una regione dove la donna e la sua immagine sono spesso controllate, non ci potrebbe essere scambio culturale più proficuo e sovversivo che esporre e condividere l'Afrodite di Cnide, l'Olympia di Manet o la grande odalisca di Ingres nel Louvre di Abu Dhabi. *Corrispondente di Liberation
Eric Jozsef
8 Gennaio 2007, Il Sardegna
Il governo francese vende il marchio del Louvre alla città di Abu Dhabi: operazione meramente economica o dai risvolti culturali?
È l'ultimo dibattito a Parigi tra moderni e conservatori, tra difensori del patrimonio e sostenitori dell'azione culturale in un mondo globalizzato. La decisione del governo francese di prestare il marchio del Louvre agli Emirati di Abu Dhabi, che segue un accordo quasi simile con gli americani di Atlanta, sta provocando una viva polemica sulle rive della Senna. Le autorità politiche hanno in effetti accettato di favorire la costruzione di un nuovo museo nel golfo Persico che si chiamerà, in cambio di 500 milioni di euro, “Louvre Abu Dhabi”. I francesi forniranno consiglieri in museologia, esperti artistici e presteranno in modo temporaneo tra 400 e 500 opere d'arte, quadri, mobili, oggetti vari, gioielli ecc. “I musei non sono in vendita” hanno criticato diversi intellettuali tra cui il geniale ma conservatore storico dell'arte Jean Clair e l'ex-direttrice dei musei di Francia Françoise Cachin. Sostengono che con questa iniziativa la Francia si appresta a vendersi l'anima. Cioè a cedere il suo patrimonio per un piatto di lenticchie e più largamente a frantumare l'idea di eccezione culturale portata avanti da Parigi che permette di considerare l'arte e lo spettacolo come delle merci particolari che non possono essere sottomesse alle sole regole di mercato. Questo accordo con Abu Dhabi è stato concepito nell'ambito di accordi commerciali (in particolare con la vendita di 40 Airbus A- 380) e assomiglia più a un operazione di promozione diplomatica per il governo de Villepin che al primo capitolo di un grande progetto culturale. Tuttavia, la reazione negativa di alcuni ambienti culturali francesi non può che tradurre una paura anacronistica di fronte ai cambiamenti nella diffusione della cultura. Il museo del terzo millennio non sarà come quello della fine del settecento dove, nello spirito dei Lumi, si presentavano al pubblico le opere fino ad allora riservate a pochi aristocratici in un spazio fisso e quasi intangibile. Il “museo immaginario” annunciato da André Malraux cinquanta anni fa, che tramite la diffusione della fotografia e del cinema permettesse di diffondere l'arte dappertutto è già iniziato, quello del museo globalizzato si sta costruendo attraverso delle collaborazioni internazionali. Le collezioni pubbliche del Louvre rimangono inalienabili e staranno solo in prestito fuori. Ma è un passo avanti pensare che delle opere, spesso realizzate da artisti stranieri e chiuse nei magazzini per mancanza di spazio, potranno essere ammirate a migliaia di chilometri da Parigi e pure nel Golfo Persico. In una regione dove la donna e la sua immagine sono spesso controllate, non ci potrebbe essere scambio culturale più proficuo e sovversivo che esporre e condividere l'Afrodite di Cnide, l'Olympia di Manet o la grande odalisca di Ingres nel Louvre di Abu Dhabi. *Corrispondente di Liberation