L'enigma di Uria. Una Venere salvò il Gargano
23 N0V 2006 la GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
La prima attestazione archeologica del Gargano divenne subito leggenda. Già agli inizi del '500 il canonico Benedetto Cochorella, nel descrivere le Tremiti, favoleggiava degli scavi effettuati, molto tempo prima, da un eremita su una delle isole. A indicargli il luogo preciso da investigare si era scomodata addirittura la Vergine Maria. Il «buon'imo-mo» - come narrerà in seguito anche Pompeo Sarnelli, vescovo di Bisceglie - «aprendo le ruine antiche» scoprì niente-meno che il sepolcro del mitico Diomede, che a quelle isole aveva dato il suo nome: «qui trovò egli alquanti gran vasi, pieni di monete di argento, e d'oro, e quello che parve anche più mirabile, una bellissima corona tutta gioiellata in capo di quell'antichissimo cadavero».
Come ogni favola che si rispetti, anche nel rinvenimento dello sfarzoso sepolcro dell'eroe greco sì cela una Brande verità: il Gargano ci ha riservato (e ci riserva tutt'oggi) un inestimabile tesoro archeologico, benché molti dei reperti siano stati facile bottino per forestieri e - a causa di scavi non sempre condotti con rigore (cantieri scuola degli anni '50) -furono a volte destinati alla totale dispersione.
A documentare una più che centenaria attività sul promontorio pugliese contribuisce ora Gargano antico. Testimonianze archeologiche dalla Preistoria al tardoantico, scritto da Marina Mazzei e da Anna Maria Tunzi (edito da Claudio Grenzì, pp. 239, euro 34,00). Il volume è un'ulteriore prova di guanto l'ar-cheologa Marina Mazzei seppe ben seminare, se anche dopo la sua morte - avvenuta prematuramente nel 2004 -continuano ad apparire suoi contributi, postumi attestati di amore e di intelligenza verso la sua terra. Dìfatti il progetto di una «mappatura» di tutte le rilevanze archeologi-che era stato messo a punto tra lei e la Tunzi motti anni fa; e via via sospeso per l'accumularsi di aggiornamenti cui gli scavi necessariamente costringevano.
Ma Gargano antico è anche l'attestazione della ricchezza custodita in questo territorio bellissimo e fascinoso. Ufficialmente l'inizio delle indagini archeologiche sul Gargano si datano al 1872: allorché il capitano Angelo Angeluccì decise di raccogliere reperti di natura «bellica», databili dalla preistoria al medioevo, per rimpinguare la raccolta del Museo di Artiglieria di Torino. Si trattava perloppiù di ricerca di superficie, o, come avvenne in seguito con l'ingegnere Alberto Benucci, di ritrovamenti casuali, durante il rifacimento stradale tra Vico-Vieste-Rodi.
È solo nel 1909 che si effettua sul Gargano la prima indagine sistematica: Angelo Mosso a Coppa Nevigata, un sito che rivelerà la sua importanza nel panorama del neolitico italiano, perché abitato sin dal 6200 avanti Cristo. Mentre alla Grotta Paglicci, presso Rignano Garganico, va attribuita più di una primogenitura nella storia dell'espressione artistica del Paleolìtico italiano: qui sono stati scoperti i primi affreschi parietali in ocra (cavalli e mani), ma anche forme di arte «mobiliare», con incisioni su ossi o su ciottoli, raffiguranti cavalli, cervi, pinguini boreali, bovidi... Tre sepolture - due databili dai 25mila ai 23mila anni fa -ci documentano la liturgia funebre dei nostri progenitori: una giovane donna e un fanciullo furono qui sepolti con il capo adorno di diademi confezionati con denti di cervo, e poi pendagli di conchìglie, strumenti di selce. Per rimuovere il pallore funebre, le loro teste, il bacino e gli arti furono spalmati con sanguigna ocra.
Meno perspicui - e più misteriosamente naives - sono i profondi e rudimentali graffiti tracciati nei «ripari» presso Vieste: linee parallele, o in gruppi convergenti, o a graticola... A lanciarci questi inestricabili messaggi erano minatori che qui estraevano globuli di selce per farne strumenti dì guerra e di pace, i choppers. Una di queste miniere neolitiche (Vmillennio a. C.) è stata scoperta in località Defensola, sempre presso Vieste.
Tra grotte cultuali dedicate alle divinità dell'acqua (Scaloria, presso Manfredonia) e antri che assommarono tutte le funzioni, dalle abitative alle religiose, dalle produttive alle funerarie (Grottone Mannacora presso Peschici), tra fortificati insediamenti di capanne (Monte Saraceno presso Mattinata) e ville romane (Agnuli, sempre Mattinata, o la villa di Giulia sulle Tremiti), l'elenco delle emergenze archeologiche sarebbe immenso (perciò di grande utilità è la schedatura degli insediamen ti, nella seconda parte del volume).
Spicca l'enigma di Uria, l'antica città e porto del Gargano, sulla cui ubicazione si è a lungo discusso: pervenendo ormai alla convinzione ~ come sostiene Marina Mazzei – che non sia altro che Vieste. Lo inducono a credere le numerose rilevanze archeologiche, dai sepolcri (uno è riaffiorato in questi giorni) alle mura megalìtiche, dalle monete ai vasi apuli... Fino alla grotta di Sant'Eufemia, dedicata al culto di Venere Sosandra (Salvatrice), onorata evidentemente dai marinai salvati dalle tempeste, e che si apre al nostro sguardo come un palinsesto di iscrizioni accumulatesi nei secoli: tra queste, anche l'epigrafe del doge Órseolo, che venne a Bari, subito dopo il 1000 a difenderla dai saraceni; ma anche i più umili e recenti graffiti dei faristì dell'isolotto.
Naturalmente non sarebbe Gargano senza san Michele, insediatosi su quello che doveva essere l'antico monte Drion, dove altri riti pagani lo avevano preceduto. E suo culto e i precedenti vengono documentati dall'indagine archeologica. Inducendoci a pensare che le impronte dell'arcangelo, impresse su una roccia della grotta-santuario, siano in fin dei conti più fan-tastiche e sorprendenti di quelle che i dinosauri non mancarono di lasciare su questo territorio, da S. Marco in Lamis (Borgo Celano) a Mattinata, da Peschici ad Apricena.
Giacomo Annibaldis
23 N0V 2006 la GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
La prima attestazione archeologica del Gargano divenne subito leggenda. Già agli inizi del '500 il canonico Benedetto Cochorella, nel descrivere le Tremiti, favoleggiava degli scavi effettuati, molto tempo prima, da un eremita su una delle isole. A indicargli il luogo preciso da investigare si era scomodata addirittura la Vergine Maria. Il «buon'imo-mo» - come narrerà in seguito anche Pompeo Sarnelli, vescovo di Bisceglie - «aprendo le ruine antiche» scoprì niente-meno che il sepolcro del mitico Diomede, che a quelle isole aveva dato il suo nome: «qui trovò egli alquanti gran vasi, pieni di monete di argento, e d'oro, e quello che parve anche più mirabile, una bellissima corona tutta gioiellata in capo di quell'antichissimo cadavero».
Come ogni favola che si rispetti, anche nel rinvenimento dello sfarzoso sepolcro dell'eroe greco sì cela una Brande verità: il Gargano ci ha riservato (e ci riserva tutt'oggi) un inestimabile tesoro archeologico, benché molti dei reperti siano stati facile bottino per forestieri e - a causa di scavi non sempre condotti con rigore (cantieri scuola degli anni '50) -furono a volte destinati alla totale dispersione.
A documentare una più che centenaria attività sul promontorio pugliese contribuisce ora Gargano antico. Testimonianze archeologiche dalla Preistoria al tardoantico, scritto da Marina Mazzei e da Anna Maria Tunzi (edito da Claudio Grenzì, pp. 239, euro 34,00). Il volume è un'ulteriore prova di guanto l'ar-cheologa Marina Mazzei seppe ben seminare, se anche dopo la sua morte - avvenuta prematuramente nel 2004 -continuano ad apparire suoi contributi, postumi attestati di amore e di intelligenza verso la sua terra. Dìfatti il progetto di una «mappatura» di tutte le rilevanze archeologi-che era stato messo a punto tra lei e la Tunzi motti anni fa; e via via sospeso per l'accumularsi di aggiornamenti cui gli scavi necessariamente costringevano.
Ma Gargano antico è anche l'attestazione della ricchezza custodita in questo territorio bellissimo e fascinoso. Ufficialmente l'inizio delle indagini archeologiche sul Gargano si datano al 1872: allorché il capitano Angelo Angeluccì decise di raccogliere reperti di natura «bellica», databili dalla preistoria al medioevo, per rimpinguare la raccolta del Museo di Artiglieria di Torino. Si trattava perloppiù di ricerca di superficie, o, come avvenne in seguito con l'ingegnere Alberto Benucci, di ritrovamenti casuali, durante il rifacimento stradale tra Vico-Vieste-Rodi.
È solo nel 1909 che si effettua sul Gargano la prima indagine sistematica: Angelo Mosso a Coppa Nevigata, un sito che rivelerà la sua importanza nel panorama del neolitico italiano, perché abitato sin dal 6200 avanti Cristo. Mentre alla Grotta Paglicci, presso Rignano Garganico, va attribuita più di una primogenitura nella storia dell'espressione artistica del Paleolìtico italiano: qui sono stati scoperti i primi affreschi parietali in ocra (cavalli e mani), ma anche forme di arte «mobiliare», con incisioni su ossi o su ciottoli, raffiguranti cavalli, cervi, pinguini boreali, bovidi... Tre sepolture - due databili dai 25mila ai 23mila anni fa -ci documentano la liturgia funebre dei nostri progenitori: una giovane donna e un fanciullo furono qui sepolti con il capo adorno di diademi confezionati con denti di cervo, e poi pendagli di conchìglie, strumenti di selce. Per rimuovere il pallore funebre, le loro teste, il bacino e gli arti furono spalmati con sanguigna ocra.
Meno perspicui - e più misteriosamente naives - sono i profondi e rudimentali graffiti tracciati nei «ripari» presso Vieste: linee parallele, o in gruppi convergenti, o a graticola... A lanciarci questi inestricabili messaggi erano minatori che qui estraevano globuli di selce per farne strumenti dì guerra e di pace, i choppers. Una di queste miniere neolitiche (Vmillennio a. C.) è stata scoperta in località Defensola, sempre presso Vieste.
Tra grotte cultuali dedicate alle divinità dell'acqua (Scaloria, presso Manfredonia) e antri che assommarono tutte le funzioni, dalle abitative alle religiose, dalle produttive alle funerarie (Grottone Mannacora presso Peschici), tra fortificati insediamenti di capanne (Monte Saraceno presso Mattinata) e ville romane (Agnuli, sempre Mattinata, o la villa di Giulia sulle Tremiti), l'elenco delle emergenze archeologiche sarebbe immenso (perciò di grande utilità è la schedatura degli insediamen ti, nella seconda parte del volume).
Spicca l'enigma di Uria, l'antica città e porto del Gargano, sulla cui ubicazione si è a lungo discusso: pervenendo ormai alla convinzione ~ come sostiene Marina Mazzei – che non sia altro che Vieste. Lo inducono a credere le numerose rilevanze archeologiche, dai sepolcri (uno è riaffiorato in questi giorni) alle mura megalìtiche, dalle monete ai vasi apuli... Fino alla grotta di Sant'Eufemia, dedicata al culto di Venere Sosandra (Salvatrice), onorata evidentemente dai marinai salvati dalle tempeste, e che si apre al nostro sguardo come un palinsesto di iscrizioni accumulatesi nei secoli: tra queste, anche l'epigrafe del doge Órseolo, che venne a Bari, subito dopo il 1000 a difenderla dai saraceni; ma anche i più umili e recenti graffiti dei faristì dell'isolotto.
Naturalmente non sarebbe Gargano senza san Michele, insediatosi su quello che doveva essere l'antico monte Drion, dove altri riti pagani lo avevano preceduto. E suo culto e i precedenti vengono documentati dall'indagine archeologica. Inducendoci a pensare che le impronte dell'arcangelo, impresse su una roccia della grotta-santuario, siano in fin dei conti più fan-tastiche e sorprendenti di quelle che i dinosauri non mancarono di lasciare su questo territorio, da S. Marco in Lamis (Borgo Celano) a Mattinata, da Peschici ad Apricena.
Giacomo Annibaldis