Corriere della Sera 22.5.08
Raccolta di scritti a cura di Anacleto Postiglione
Vivere, curarsi, morire La lezione degli antichi e i pregiudizi moderni
di Eva Cantarella
Il suicidio non era considerato un atto di codardia, ma di coraggio. Il giudizio spesso dipendeva dall'arma scelta
Quanto i nostri antenati greci e romani fossero diversi da noi, da molti punti di vista, è cosa spesso dimenticata. Al mondo antico e ai suoi valori si usa far riferimento, più spesso, per mettere in luce discendenze e continuità, impoverendo la complessità del rapporto con un passato per alcune cose ancora vicino, per altre invece irrimediabilmente lontano. A dimo-strarlo, molto efficacemente, è in libreria da alcuni giorni la raccolta di testi curata da Anacleto Postiglione intitolata Della bella morte. Tra eroismo, onore, dignità: la libertà di morire nel mondo antico
(Bur). Sono testi importanti, che rimandano a temi (il suicidio, l'eutanasia, l'aborto) sui quali lo sguardo degli antichi era molto diverso dal nostro. A determinare il cambiamento, ovviamente, il passaggio dal paganesimo al cristianesimo.
Molto opportunamente, nella introduzione, Postiglione ricorda le prese di posizione della Chiesa cattolica su questi argomenti, a partire da un documento firmato il 5 maggio 1980 dall'allora cardinale Joseph Ratzinger, che affermava tassativamente il carattere sacro della vita, dal suo concepimento alla morte naturale, con conseguente condanna del suicidio e dell'eutanasia. Per non parlare delle implicazioni di queste prese di posizione sull'aborto, sul quale il Papa è tornato recentemente, a Vienna, l'8 settembre del 2007, per ribadire che non può essere considerato un diritto naturale. Così come non può essere accettato un aiuto a morire. Argomento, quest'ultimo, sul quale — come ricorda Postiglione — poche settimane prima di morire si interrogava Indro Montanelli, nella «Stanza» che teneva su questo giornale: fermo restando l'ovvio diritto della Chiesa di restare fedele alla sua dottrina, è giusto che questa sia imposta a non credenti, laici, agnostici e seguaci di altre religioni?
Ma veniamo ai greci e ai romani. Il suicidio non era un atto di codardia, ma di coraggio. Per gli stoici, in particolare, era il supremo atto di dignità. Quando la vita è ridotta a sofferenza senza scampo non bisogna «mendicare l'esistenza», diceva Seneca; e nel De ira scriveva: «Chiedi quale sia la strada per la libertà? Una qualsiasi vena del tuo corpo». Coerentemente dunque, nel 65 d.C., accusato di aver partecipato a una congiura contro Nerone, pose fine alla vita tagliandosi le vene. Ma attenzione, non tutti i suicidi erano nobili: il giudizio sociale dipendeva dal mezzo. L'impiccagione, ad esempio, era disonorevole. Il dissanguamento invece era una morte degna, come quella per inedia, con il veleno e con il
laqueum, il laccio che, nascosto nelle vesti, consentiva di strangolarsi, evitando l'infamia di morire uccisi. Ma l'arma più nobile era la spada, simbolo virile per eccellenza. E se per caso un uomo esitava a impugnarla, a ricordargli il suo dovere di romano era la moglie. Come fece la celebre Arria, modello di ogni virtù femminile. Il marito di Arria, Cecina Peto, coinvolto in una congiura contro Claudio, era stato condannato a morte: ma esitava a fare il suo dovere. Arria allora, per incoraggiarlo, afferrò la spada, se la conficcò nel ventre e prima di cadere al suolo disse al marito: Pete, non dolet (Peto, non fa male!).
Passando all'aborto: giustamente messo in evidenza da Postiglione, ecco un passaggio del «giuramento del medico» di Ippocrate: «Neppure se richiesto darò a qualcuno un veleno mortale, né lo prescriverò; ugualmente non darò mai a una donna un veleno abortivo». Precetto interessante, va detto, in un mondo nel quale i mariti, se sospettavano che il figlio non fosse loro, o semplicemente se non volevano quel figlio, potevano obbligare la moglie ad abortire, così come potevano fare, e facevano, i padri di figlie nubili venute meno al loro dovere di castità... Varrebbe la pena riflettere sul punto, se ce ne fosse il tempo. E per finire un'osservazione di Postiglione a proposito dell'eutanasia: «La differenza tra gli antichi e noi non è di natura concettuale, ma di natura tecnica. Gli antichi non disponevano di macchine per prolungare artificialmente la vita. Oggi invece c'è la possibilità di prolungare la vita vegetativa per un tempo indefinito, e tenere il morente in un sonno senza risveglio, in uno stato di sospensione tra la vita e la morte». Non credo sia necessario insistere ulteriormente sull'interesse di questa raccolta. Chi leggerà quei testi se ne renderà conto da solo.
Raccolta di scritti a cura di Anacleto Postiglione
Vivere, curarsi, morire La lezione degli antichi e i pregiudizi moderni
di Eva Cantarella
Il suicidio non era considerato un atto di codardia, ma di coraggio. Il giudizio spesso dipendeva dall'arma scelta
Quanto i nostri antenati greci e romani fossero diversi da noi, da molti punti di vista, è cosa spesso dimenticata. Al mondo antico e ai suoi valori si usa far riferimento, più spesso, per mettere in luce discendenze e continuità, impoverendo la complessità del rapporto con un passato per alcune cose ancora vicino, per altre invece irrimediabilmente lontano. A dimo-strarlo, molto efficacemente, è in libreria da alcuni giorni la raccolta di testi curata da Anacleto Postiglione intitolata Della bella morte. Tra eroismo, onore, dignità: la libertà di morire nel mondo antico
(Bur). Sono testi importanti, che rimandano a temi (il suicidio, l'eutanasia, l'aborto) sui quali lo sguardo degli antichi era molto diverso dal nostro. A determinare il cambiamento, ovviamente, il passaggio dal paganesimo al cristianesimo.
Molto opportunamente, nella introduzione, Postiglione ricorda le prese di posizione della Chiesa cattolica su questi argomenti, a partire da un documento firmato il 5 maggio 1980 dall'allora cardinale Joseph Ratzinger, che affermava tassativamente il carattere sacro della vita, dal suo concepimento alla morte naturale, con conseguente condanna del suicidio e dell'eutanasia. Per non parlare delle implicazioni di queste prese di posizione sull'aborto, sul quale il Papa è tornato recentemente, a Vienna, l'8 settembre del 2007, per ribadire che non può essere considerato un diritto naturale. Così come non può essere accettato un aiuto a morire. Argomento, quest'ultimo, sul quale — come ricorda Postiglione — poche settimane prima di morire si interrogava Indro Montanelli, nella «Stanza» che teneva su questo giornale: fermo restando l'ovvio diritto della Chiesa di restare fedele alla sua dottrina, è giusto che questa sia imposta a non credenti, laici, agnostici e seguaci di altre religioni?
Ma veniamo ai greci e ai romani. Il suicidio non era un atto di codardia, ma di coraggio. Per gli stoici, in particolare, era il supremo atto di dignità. Quando la vita è ridotta a sofferenza senza scampo non bisogna «mendicare l'esistenza», diceva Seneca; e nel De ira scriveva: «Chiedi quale sia la strada per la libertà? Una qualsiasi vena del tuo corpo». Coerentemente dunque, nel 65 d.C., accusato di aver partecipato a una congiura contro Nerone, pose fine alla vita tagliandosi le vene. Ma attenzione, non tutti i suicidi erano nobili: il giudizio sociale dipendeva dal mezzo. L'impiccagione, ad esempio, era disonorevole. Il dissanguamento invece era una morte degna, come quella per inedia, con il veleno e con il
laqueum, il laccio che, nascosto nelle vesti, consentiva di strangolarsi, evitando l'infamia di morire uccisi. Ma l'arma più nobile era la spada, simbolo virile per eccellenza. E se per caso un uomo esitava a impugnarla, a ricordargli il suo dovere di romano era la moglie. Come fece la celebre Arria, modello di ogni virtù femminile. Il marito di Arria, Cecina Peto, coinvolto in una congiura contro Claudio, era stato condannato a morte: ma esitava a fare il suo dovere. Arria allora, per incoraggiarlo, afferrò la spada, se la conficcò nel ventre e prima di cadere al suolo disse al marito: Pete, non dolet (Peto, non fa male!).
Passando all'aborto: giustamente messo in evidenza da Postiglione, ecco un passaggio del «giuramento del medico» di Ippocrate: «Neppure se richiesto darò a qualcuno un veleno mortale, né lo prescriverò; ugualmente non darò mai a una donna un veleno abortivo». Precetto interessante, va detto, in un mondo nel quale i mariti, se sospettavano che il figlio non fosse loro, o semplicemente se non volevano quel figlio, potevano obbligare la moglie ad abortire, così come potevano fare, e facevano, i padri di figlie nubili venute meno al loro dovere di castità... Varrebbe la pena riflettere sul punto, se ce ne fosse il tempo. E per finire un'osservazione di Postiglione a proposito dell'eutanasia: «La differenza tra gli antichi e noi non è di natura concettuale, ma di natura tecnica. Gli antichi non disponevano di macchine per prolungare artificialmente la vita. Oggi invece c'è la possibilità di prolungare la vita vegetativa per un tempo indefinito, e tenere il morente in un sonno senza risveglio, in uno stato di sospensione tra la vita e la morte». Non credo sia necessario insistere ulteriormente sull'interesse di questa raccolta. Chi leggerà quei testi se ne renderà conto da solo.