Una ricerca italiana ha scoperto la funzione dei «neuroni specchio».
E che la loro attività è alterata nelle persone che soffrono di autismo
Così impariamo a prevedere le mosse degli altri
di Cesare Peccarisi
Nei fuoriclasse del calcio, come Kaká , la capacità di creare «copie mentali» delle azioni che un avversario sta compiendo può essere più «allenata»Come fanno Kaka e Ibrahimovic a capire in anticipo in che modo si muoveranno gli avversari, per poterli scartare o rubargli la palla prima che se ne rendano conto? La risposta è nella scoperta fatta dai ricercatori del Dipartimento di neuroscienze dell'Università di Parma, diretti da Giacomo Rizzolatti, con uno studio pubblicato sulla rivista Pnas. I due campioni "vedono" l'intera sequenza motoria degli avversari, già dai loro primissimi movimenti, grazie a catene di «neuroni specchio dedicati ad un'azione specifica», che si trovano nella corteccia parietale e premotoria del cervello.«Le nostre azioni sono codificate da catene di neuroni, ognuna selettiva per un particolare atto motorio elementare — spiega Rizzolatti —. Nel compiere un'azione, scegliamo automaticamente una specifica catena di neuroni, che fanno sviluppare l'azione in maniera armonica, senza dover riorganizzare ogni volta quello schema motorio. Quando, invece, osserviamo un'azione, i neuroni specchio "dedicati" attivano una sequenza motoria virtuale, che ci permette di creare una rappresentazione mentale dell'intera azione, facendocene capire le finalità». Tutti usiamo questi neuroni: quando, ad esempio, incrociamo altre persone salendo sul metrò, nel cervello si attiva istantaneamente una copia dell'intero schema motorio dei loro movimenti e così evitiamo di scontrarci. I fuoriclasse utilizzano benissimo questi neuroni, forse perché campioni si nasce, ma un po' anche perché lo si diventa con l'allenamento, che rende più pronti a visualizzare mentalmente i movimenti. Ma c'è anche qualcuno che si trova in una situazione opposta. Oltre ad aver dimostrato la presenza di queste catene di neuroni dedicati nei soggetti con sviluppo normale, lo studio ha, infatti, dimostrato che sono malfunzionanti in chi soffre di autismo: i bambini autistici non riescono a correlarsi con gli altri perché non sanno organizzare mentalmente sequenza e finalità dei movimenti, né traggono giovamento dall'esperienza. Per scoprire tutto questo i ricercatori di Parma, con i colleghi del centro di Neuropsichiatria di Empoli, hanno valutato (registrando l'attività elettrica delle fibre nervose) il comportamento dei muscoli di apertura della bocca in 15 bambini (8 normali e 7 autistici) mentre osservavano uno sperimentatore che, inizialmente, prendeva del cibo e lo portava alla bocca, poi prendeva un pezzo di carta e lo metteva in un contenitore.Nei bambini con sviluppo normale i muscoli della bocca si attivavano non appena lo sperimentatore muoveva il braccio verso il cibo: il sistema dei neuroni specchio dedicati permetteva a quei bambini di capire le intenzioni del ricercatore. E la catena non si attivava quando lo sperimentatore muoveva il braccio verso il pezzettino di carta. Niente di tutto questo accadeva, invece, nei bambini autistici, perché non sviluppavano alcuna copia motoria di ciò che osservavano.In una seconda fase dello studio i bambini hanno eseguito da soli l'esperimento: anche in questo caso in quelli normali l'attivazione dei muscoli della bocca si verificava già quando stavano per afferrare il cibo, mentre negli autistici la pre-attivazione arrivava solo quando era ormai portato alla bocca.«Anche gli autistici riescono a comprendere l'intenzione che sta dietro ad azioni semplici come queste; — dice Rizzolatti — la loro comprensione, però, non avviene su base "esperenziale", ma attraverso strategie di tipo cognitivo. Più precisamente: i bambini normali sviluppano un'organizzazione dell'azione motoria in catene neuronali, con cui comprendono, per esperienza, l'intenzione dell'azione osservata, che poi organizzano in maniera armonica. Nei soggetti autistici questa organizzazione non è armonica e impedisce di attivare catene di neuroni dedicati su cui basare una comprensione esperenziale delle azioni osservate. Ora, sarà possibile sviluppare nuovi interventi riabilitativi, per "risvegliare" i meccanismi motori che sembrano non funzionare in questi soggetti».