Dagli scavi dell'archeologo Paolo Matthiae un'interpretazione rivoluzionaria
Il padre di tutti gli dei: ultimo mistero risolto tra le rovine di Ebla
di Lorenzo Cremonesi
EBLA — Dal testo scritto allo scavo tra terra e pietre. Leggere le tavolette cuneiformi come fossero mappe in codice per individuare i templi religiosi di 4400 anni fa. E il fatto clamoroso è che la cosa funziona. Paolo Matthiae ha elaborato un nuovo modo per esplorare le rovine di Ebla: il grande amore che da 43 anni segna la sua esistenza di archeologo appassionato. Adesso dedica una gran parte del suo tempo alla rilettura delle famose tavolette con la scrittura cuneiforme da lui scoperte nel 1975. Quindi, sulla base delle rivelazioni in esse contenute, si concentra a scavare in alcune zone specifiche dei quasi 60 ettari sulla collinetta di terra rossastra che emerge per un paio di decine di metri dalla piana presso l'autostrada tra Hama e Aleppo.«Mi sono convinto che in una elaborata società della parola scritta, quali erano i circa 20 mila abitanti di Ebla al tempo delle prime tavolette nel 2400 avanti Cristo, non potevano mancare anche gli archivi religiosi. Noi nel palazzo reale abbiamo individuato, raccolto e decifrato quelli civili, oltre 17 mila testimonianze uniche nella storia dell'umanità. Adesso si tratta di completare l'opera e trovare l'archivio del tempio centrale, anche perché centinaia di tavolette già in nostro possesso si riferiscono senza ombra di dubbio ai templi della città e alla sua religione», sostiene seduto nel piccolo studio-laboratorio ricavato in una fattoria con i muri di fango dove regolarmente trascorre tra i 3 e 4 mesi estivi all'anno per le campagne di scavo.Matthiae cerca con attenzione tra gli indici dei volumi da lui curati con la traduzione delle tavolette. Vi ritrova il lungo filo rosso che lo guida dal 1964, quando iniziò a dedicarsi a Ebla per la Missione Archeologica Italiana organizzata dall'Università La Sapienza di Roma.«Ecco. Prendiamo per esempio il cosiddetto Testo del Rituale della Sacralità, che nei nostri codici è stato catalogato con il numero 1823. Vi si spiegano tutti i passaggi molto elaborati che oltre quattro millenni fa legittimavano il re e la regina a governare su Ebla», racconta con un entusiasmo che per nulla tradisce i suoi 66 anni d'età. Quindi legge il testo a suo parere «rivelatore»: «Finché la regina non entra nel tempio di Kura, non entra nelle mura». Da un'altra tavoletta si deduce che c'erano allora due templi maggiori. Il minore, vicino a una delle porte di accesso alla città, non lontano dalle mura perimetrali di difesa.E il principale, forse contiguo al palazzo reale. Aggiunge l'archeologo: «Il primo lo abbiamo già trovato. È la scoperta dell'ultimo anno. Ma la novità di questa estate è stata scoprire che su questo primo tempio principale ne erano stati costruiti in successione altri quattro sino al 1600 avanti Cristo, quando Ebla fu definitivamente rasa al suolo dagli Hittiti».Arrivati con lui in gippone nel cuore dell'anfiteatro di Ebla stupisce osservare quanto poco sia stato esplorato. Il perimetro delle mura è ancora quasi tutto coperto dalla sabbia, cocci di argilla sono sparsi ovunque. Gli strati di quattro e forse cinque templi sovrapposti sono stati portati alla luce da giugno ad oggi. Quello più antico è anche il più imponente: largo 22 metri e lungo 30, aveva muri portanti spessi 6 metri e poteva essere alto sino a una ventina. «Abbiamo scavato solo il 10 per cento dell'intero sito. E il grosso del lavoro resta ancora da fare. L'archeologia procede sempre molto lentamente. Ma sono stato fortunato. A 35 anni quasi casualmente mi imbattei nella sala degli archivi. E da allora la mia vita è cambiata totalmente.Come affermò nello stesso 1975 un celebre archeologo americano, Ignace Gelb, dell'Oriental Institute di Chicago: gli italiani a Ebla hanno scoperto una nuova lingua, una nuova storia, una nuova cultura. I riconoscimenti dall'estero arrivarono immediatamente. In Italia ci volle più tempo», dice senza nascondere un'ombra di risentimento verso i media e gli ambienti accademici italiani.Sempre basandosi sulle tavolette in suo possesso, la missione sta per avviare nuovi scavi sulla parte alta della collina, poco lontano dalle zone esplorate nel 1975. Qui Matthiae cerca la conferma di un'altra sua ipotesi: «Sino ad ora si era pensato che la divinità principale di Ebla fosse Hadad, noto come il Dio della pioggia o della tempesta. Ma le tavolette più antiche si riferiscono continuamente ad un'altra figura, citata come Kura. Una sorta di Zeus primordiale, che come il Dio Baal dei famosi miti ugaritici è il padre ordinatore di tutte le cose in costante lotta con il serpente, l'entità della siccità e del caos. Se così fosse, potremmo dimostrare che la cultura sorta nel terzo e secondo millennio avanti Cristo nelle zone che corrispondono alla Siria attuale, specie nella regione di Aleppo, era molto più autoctona, originale e indipendente dalle contemporanee civiltà egiziana e assiro-babilonese di quanto non si fosse pensato sino ad oggi».