Wednesday, November 14, 2007

Le Muse parlano sempre al plurale

Le Muse parlano sempre al plurale
Marco Vozza
I filosofi sono un po' come i bambini che, talvolta in modo petulante, domandano sempre il perché delle cose, dei nomi e di ciò che accade. Il compito del filosofo sembra essere quello di protrarre in età adulta lo stupore infantile. Nel libro Le Muse, presentato nella bella collana diretta da Claudio Parmiggiani, un eminente filosofo contemporaneo come Jean-Luc Nancy pone questa domanda: «Perché ci sono più arti e non una sola?». Per rispondere a tale domanda è inevitabile il confronto con Hegel, per il quale l'arte è una rappresentazione inadeguata - perché limitata all'esperienza sensibile - dell'Idea, e con Heidegger, per il quale l'arte è la messa in opera della verità. L'arte, per l'appunto, non le arti. L'evidenza empirica che esistono più arti contiene rilevanti implicazioni teoriche che Nancy riesce sapientemente a dipanare. Nancy muove dunque dall'affermazione che non vi è una sola Musa o una sola Arte ma molte Muse e dunque molte arti: la questione estetica concerne quindi il singolare plurale dell'arte e, per estensione, la pluralità dei mondi come principio della realtà. La pluralità artistica non permette di considerare l'arte come l'espressione simbolica di un'unica realtà, idea, sostanza o soggetto; pertanto essa è sempre in eccesso o in difetto rispetto al proprio concetto filosofico che vorrebbe sussumerne la pluralità incoercibile. In realtà, le arti si intrecciano senza risolversi mai nell'interiorità, disposte in una estensione totalmente esteriore, partes extra partes. La legge e il problema delle arti è il singolare plurale, inteso come il senso dei sensi nel loro differenziarsi sensibile. La sensualità dell'arte, sentita e senziente, come momento dell'esteriorità sensibile, evidenzia il primato del toccare; determinando la prossimità della distanza, il toccare fa corpo, è il corpus dei sensi. Le arti mostrano l'essere del mondo, l'esteriorità e l'esposizione di un essere al mondo: l'a priori e il trascendentale dell'arte è che il mondo sia dislocato in mondi plurali, in pluralità irriducibili all'unità-mondo, attuando una distribuzione differenziale dei sensi che non sopravviene ad una unità organica ma che costituisce l'unità stessa del mondo nella sua originaria differenza singolare-plurale, che apre alla molteplicità di zone del toccare, alla proliferazione delle differenze di tocco. L'evidenza dell'essere è l'esistenza come infinita molteplicità del mondo, qualificato come eterogeneità di mondi in cui consiste l'unità del mondo. La filosofia ha invece ricondotto la pluralità delle arti all'unità di una pura produzione del senso e alla dislocazione sensibile del senso, rendendo intelligibile la sua recettività singolare-plurale, attribuendo all'arte il compito della presentazione sensibile dell'Idea, una visibilità sensibile di una invisibilità intelligibile. La sussunzione sistematica delle arti sotto la poesia è l'effetto dell'interpretazione filosofica dell'arte, come una «riunione senza esteriorità dell'intelligibile e del sensibile» (così per Hegel come per Heidegger). Ma la creazione è l'apertura del singolare plurale dell'arte, la sua eterogeneità: come scrive Pessoa, «le cose non hanno significato, hanno un'esistenza. Le cose sono l'unico senso occulto delle cose». La semplice «patenza» del mondo è manifestata e non fondata dalla pluralità delle arti, dalla presentazione plurale del singolare plurale, delle occorrenze d'esistenza. Le opere d'arte espongono, e non rappresentano, questa «transimmanenza» esistente del mondo. La tecnicità dell'arte la sottrae ad ogni assicurazione poetica che costituisce la tentazione ricorrente del Romanticismo, anche del suo epigono Heidegger: svelare la physis nella sua verità. La concezione dell'Arte come techné dell'esistenza, come sua ostensione, rende inoperosa questa fondazione filosofica della natura. Anche l'epoca del nichilismo compiuto mantiene l'arte nella sua subordinazione all'idea filosofica, mutandola però di segno rispetto all'idealismo: l'arte si presenta nel concetto vuoto di Nulla che è il risvolto dell'Idea. Invece, qualora si manifesti soltanto nel dominio sensibile, l'Idea si ritira in quanto Idea, cancellando la propria idealità. Questo ritiro o ritrarsi del senso - secondo Nancy - è il compito residuale dell'arte: presentare il visibile in quanto tale, non come idealità invisibile da visualizzare, immagine visibile dell'invisibile. Il visibile diventa «vestigia», orma, altrimenti che immagine, il visibile o il sensibile stesso in molteplici schegge, vedute senza visione.
Jean-Luc NancyLe Muse
trad. di Chiara Tartarini a cura di Alessandro Serra Diabasis, pp.180, e16,50SAGGIO