Déjà-vu, quando il tempo si ferma
Federico Vercellone
E’ ancora vera l'affermazione secondo la quale la filosofia è una scienza che si sofferma con rigore sulle cose ultime? Indubbiamente l'essere, la sostanza e l'eterno campeggiarono nelle menti dei nostri antenati come una sorta di refrain che veniva loro inflitto, durante l'anno scolastico, tre volte alla settimana per circa quaranta settimane all'anno. Difficile dirimere con precisione perché si trattasse di una tortura. Forse perché gli uomini non erano o non sono interessati all'eterno? Al contrario: lo erano e lo sono eccome; a poche cose infatti sono più legati che all'idea dell'esistenza post mortem che difendono o attaccano con pari accanimento. Non si tratta di questo, ma del fatto che, oggi ancor più di ieri, si ha forse bisogno di un'altra dimensione dell'eterno meno perentoria e più familiare, qualcosa che conosciamo già da sempre e che non abbiamo bisogno di immaginare con sforzi che ci conducono in territori troppo impervi, che sono preclusi alla nostra immaginazione o che, al contrario, possono addirittura suscitare effetti orrifici. Allora c'è sicuramente necessità di parlare dell'eterno ma «in un certo modo». La filosofia continua a essere un' indagine rigorosa sul senso ma più domestica come ci dimostra anche l'ultimo affascinante libro di Remo Bodei, Piramidi di tempo che si sofferma sul tema del déjà-vu. A tutti noi è accaduto di vivere una situazione e di aver l'impressione di averla già vissuta. Anche con il déjà-vu abbiamo così a che fare con una ripetizione del tempo, con un arrestarsi del suo scorrere inesorabile verso la fine, con un'esibizione dell'irrefrenabile caducità dell'essere che per un attimo tuttavia si sofferma sul crinale del presente e lo ravviva di un'eco surreale. L'impressione di rivivere qualcosa che si è già vissuto accompagna talora in modo lievemente distonico lo svolgersi della nostra esistenza, ma stabilisce al tempo stesso una relazione di continuità con il passato meno drammatica e imponente di quella che è costituita dal rapporto con l'archetipo eterno. Proprio qui - ci ricorda Bodei - sta l'attualità filosofica di un tema come quello del déjà-vu che avrebbe altrimenti esclusivamente in psicologia la sua naturale collocazione. L'accelerazione moderna del tempo ha provocato un sempre maggiore divario tra passato e presente ma anche - aggiungerei - tra la morte e la vita. Il passato non costituisce più da questo punto di vista un orientamento per il presente, un'auctoritas; la storia non è cioè più magistra vitae. Per altro verso il presente non trova nel passato modelli che gli consentano di stabilire con quest'ultimo una relazione di continuità, un sicuro tessuto di senso che accompagni gli individui nel fare quotidiano. Questo diviene così un rarefatto terreno di occasioni: ci si inoltra al suo interno con l'intento di non farsi sfuggire le rare possibilità di benessere o felicità offerteci per esempio dall'amicizia e dall'amore.Il fenomeno del déjà-vu entro il quale Bodei ci accompagna attraverso un lungo e variegato percorso teorico e storico che contempla poeti e artisti da Shakespeare a Dante Gabriele Rossetti (e la moglie Elizabeth Eleanor Siddal) a Verlaine e a Ungaretti, per venire a filosofi come Nietzsche, Bergson, Benjamin e Ernst Bloch, a scienziati e psicologi, ci obbliga a fare i conti con questo tutto sommato felice disturbo della personalità. Che si tratti infatti di un disturbo della personalità non v'è infatti dubbio. Al contrario dell'esperienza onirica che ci fa prendere il sogno per realtà il déjà-vu produce un'allucinazione di segno opposto: esso ci fa prendere la realtà per sogno. E' come se Dio o un demone si riaffacciassero sulla superficie appannata del presente allontanandolo da noi, ne smentissero la pretesa di essere l'unico assoluto dotandolo di una surreale provenienza, schiudendo un'altra volta quella faglia nell'oggi che amiamo chiamare senso.
Remo Bodei
Piramidi di tempo Storie e teoria del déjà-vuil Mulino, pp.152, e12