Nell’antica Roma, origine di tutta la civiltà occidentale, due erano le giornate dedicate ai morti: i Parentalia il 13 e il 21 di febbraio, e i Lemuria il 9, l’11 e il 13 di maggio. Nel primo caso i vivi si recavano ai morti per riconoscerli come “parentes”, cioè antenati, secondo un modello tradizionale (tipico anche del culto dei Kami nipponici), in cui il familiare defunto è antenato e nostro spirito protettore; nel secondo invece erano i “lemures” (i fantasmi degli uomini morti prematuramente, che non avendo potuto formare una loro “familia” non potevano diventare “parentes”) a presentarsi alla porta di casa. Il capofamiglia, alzandosi nella notte, li cacciava officiando appositi rituali, tra cui particolarmente importante era la simbolica offerta di un piatto di fave. Gli storici delle religioni ne hanno discusso a lungo, intravvedendo uno scambio rituale nell’offrire le fave in cambio del farro, mietuto anzi tempo a maggio; anche in opposizione ai Parentalia, dove viole, corone di fiori, pane inzuppato nel vino e farina di farro con un grano di sale venivano offerte ai defunti. Tradizioni di epoca repubblicana, ma conservate lungo l’Impero e oltre, le onoranze dei defunti e la cacciata degli spettri sembrerebbero ben lontani, in termini cronologici, dal calendario cristiano; se non sapessimo che con Bonifacio IV il 13 maggio divenne giorno dei martiri cristiani (609 e.v.), mentre Gregorio III, cent’anni dopo, ne allargò la sfera a tutti i santi e Gregorio IV trasportò la festa al 1° novembre; festum omnium sanctorum, o nei territori italiani ad omnes sanctos, da cui il toscano volgare Ognissanti. L’operazione rivelò un’eccezionale mossa propagandistica; come la maggior parte delle feste cristiane nate a ridosso di quelle pagane, servì a cancellare dalla memoria collettiva il ricordo della romanità sostituendola con un culto d’importazione; ma il passaggio a novembre venne a incunearsi a cavallo di altra e importante festività, questa volta celtica, che nella notte di Samhain, fra il 31 ottobre e il 1 novembre, segnava le due parti dell’anno, la progressiva scomparsa della metà in luce e l’affiorare di quella delle tenebre. A Samhain come nei Lemuria il diaframma fra vivi e morti si assottigliava, e il capodanno celtico diventava non solo momento di riflessione sull’esistenza, ma anche fra i due mondi; veniva offerto cibo ai morti su di un piatto posto all’uscio di casa o sulla tavola, e accese candele alle finestre: indicare la via di casa ai morti e sostentarli, era il modo di esercitare l’equivalente della pietas latina nei confronti degli antenati, e il fatto che questo rito sia ancora eseguito dai seguaci della Wicca inglesi e americani e dai neopagani europei la dice lunga sulla sopravvivenza dei culti ad onta della “cristianizzazione” forzata. Mentre per i romani le feste erano due e disgiunte, e per i celtici se ne formulava una sola, il cristianesimo le sincretizzò, riempiendo lo spazio “vuoto” del novembre romano, che alle calende (il primo del mese) vedeva solo un epulum Iovi, cioè un banchetto dedicato a Giove. In un colpo solo Ognissanti cancellava Lemuria e Samhain. Quindi Halloween. Nome di impronta anglosassone, traduzione inglese di Ognissanti (All Hallows Even), la festa dei morti nata nella madrepatria, considerata ancora troppo pagana dai cattolici prima e dai protestanti poi, seguì le venture dei Padri Pellegrini ed emigrò negli States, dove i Puritani la guardavano con sospetto, ma dove si arricchì di tutti gli elementi folcloristici che conosciamo: la zucca illuminata, i dolcetti, i travestimenti, reclutando l’idea (diffusa in tutta Europa: dai munacelli italiani agli spiridusc rumeni e ai goblins francesi per finire con i kobolds tedeschi e i leprechuans sassoni) che gli “spiriti folletti” vadano in giro giocando brutti scherzi agli esseri umani.
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citazione tratta da:
Ognissanti: Halloween, lontana ma vicina di Claudio Asciuti - 04/11/2007 - Rinascita