di Damiano Fedeli - 09/10/2005
Fonte: panorama.it
Ricercatori del dipartimento di ortoflorofrutticoltura
dell'Università di Firenze, uno dei centri ad avere
dato il via allo studio della neurobiologia delle
piante.
Le piante hanno una «testa pensante» con la quale
comunicano, prendono decisioni, ricordano perfino.
Alcuni ricercatori italiani sono stati tra i primi a
scoprirlo.
La prossima volta che vi capiterà di osservare un
albero, o anche solo un cactus della terrazza, certo
li guarderete con occhio diverso. Perché le piante,
dalla quercia più imponente al fiore più esile, hanno
una «testa pensante»: riflettono, si scambiano
informazioni o avvertimenti, prendono decisioni. E il
loro cervello segreto è nelle radici.
Una verità che Charles Darwin aveva già sospettato e
che viene confermata dalla scienza. Su ogni singola
punta delle radici (il nome è apice radicale) c'è un
gruppo di cellule che comunica usando
neurotrasmettitori, proprio come i nostri neuroni; e
queste cellule elaborano e rispondono alle
informazioni che arrivano qui da tutta la pianta.
Ciascun apice è autonomo, ma può anche coordinarsi con
gli altri. Un vero e proprio cervello diffuso il cui
funzionamento a rete ricorda quello di internet, e che
permette agli alberi non solo di comunicare, ma
persino di avere una memoria e una sorta di
autocoscienza.
La scoperta è di un gruppo di ricercatori delle
Università di Firenze e di Bonn e rappresenta una
svolta in ciò che finora si sapeva sui vegetali. È
nata persino una nuova scienza, la neurobiologia
vegetale, di cui si è tenuto di recente a Firenze il
primo congresso internazionale.
Gli studiosi della nuova disciplina hanno dato vita
alla Society for plant neurobiology e a una rivista,
Plant signaling & behavior (comunicazione e
comportamento delle piante). Nel capoluogo toscano sta
poi per nascere il primo laboratorio al mondo per
questa materia, destinato a diventarne centro di
riferimento.
«Le ricerche degli ultimi quattro anni hanno portato
prove che le piante si comportano come esseri
intelligenti. Il rischio per noi è stato che si
equivocasse una ricerca scientifica solida con
credenze popolari che hanno diffuso una serie
incredibile di sciocchezze» avverte Stefano Mancuso,
del dipartimento di ortoflorofrutticoltura
dell'Università di Firenze.
«La neurobiologia vegetale è nata qui e all'Università
di Bonn, con il team di Frantisek Baluska,
dell'Istituto di botanica molecolare e cellulare.
Abbiamo scoperto che in ciascun apice radicale c'è una
zona, detta di transizione, le cui cellule hanno
caratteristiche neuronali. Mettono cioè in atto una
trasmissione sinaptica identica a quella dei tessuti
neurali animali».
L'impulso scorre nel cervello della pianta attraverso
molecole, i neurotrasmettitori, molti dei quali sono
gli stessi con cui comunicano i neuroni animali. «In
questi apici troviamo glutammato, glicina,
sinaptotagmina, gaba, acetilcolina. Ci siamo chiesti:
che cosa ci stanno a fare, se le piante non hanno una
trasmissione sinaptica?» racconta il ricercatore. Se
era noto che i vegetali producono sostanze attive
neurologicamente, come caffeina, teina o cannabina, la
scoperta di neurotrasmettitori ha evidenziato
l'attività neurale.
Anche il ruolo del più importante ormone vegetale
finora conosciuto, l'auxina, è stato ridefinito.
Baluska: «Permette alla pianta di accrescersi o di
emettere nuove radici ed è un neurotrasmettitore
specifico dei vegetali, molto simile alle nostre
melatonina o serotonina».
«È tempo di dare il benvenuto alle piante nel novero
degli organismi intelligenti» afferma Peter Barlow,
della School of biological science dell'Università di
Bonn. Una prova di «intelligenza vegetale», del resto,
è il comportamento in caso di difficoltà. Le piante
agiscono infatti con lo stesso sistema prova-errore
degli animali: davanti a un problema procedono per
tentativi fino a trovare la soluzione ottimale di cui,
poi, si ricordano quando si presenta una situazione
simile.
Se per esempio manca acqua, aumentano lo spessore
dell'epidermide, ne chiudono le aperture, gli stomi,
evitando la traspirazione. Riducono poi il numero di
foglie aumentando quello delle radici per esplorare
zone vicine.
Viene da chiedersi, però, se non si tratti di stimoli
puramente meccanici. «No, si tratta di un
comportamento intelligente» sostiene Mancuso. «Se le
radici dovessero solo trovare acqua, potrebbe essere
automatico. Ma devono anche cercare ossigeno,
nutrienti minerali, crescere secondo il senso della
gravità, evitare attacchi.
E valutare quindi contemporaneamente le comunicazioni
chimiche che le piante si scambiano attraverso l'aria
e la terra: messaggi sullo stato di salute o sui
parassiti. Se sono attaccate da patogeni, comunicano
alle simili della stessa specie con gas e sostanze
volatili che c'è un pericolo, invitandole ad aumentare
le difese immunitarie. I vegetali, così, dimostrano di
essere anche sociali».
Sociali ma non necessariamente socievoli. Essendo
esseri territoriali, le piante si mandano segnali del
tipo «qui ci sono io», emettendo sostanze disciolte
nel terreno. Le radici intercettano le comunicazioni,
capiscono se hanno vicino una pianta della stessa
specie, e in tal caso la reazione è blanda, oppure se
è un'avversaria, e allora diventano aggressive fino a
lanciare sostanze velenose.