di James Hillman - 02/10/2005
Fonte: Moretti e Vitali
Coniugare estetica e politica, o bellezza e città, può
sembrare un'idea decisamente azzardata, ai giorni
nostri, mentre era comune e fondamentale nella vita
della Grecia antica. Despoti orientali e prìncipi
europei dilapidarono i loro patrimoni per far erigere
monumenti di imperituro splendore, in gloria dei loro
Dei - e naturalmente di loro stessi - ma anche per
allietare la gente che governavano - e che tassavano.
Una popolazione turbolenta veniva placata dalla
bellezza e dalla edificazione della bellezza: giardini
d'acqua, palazzi d'estate, padiglioni stravaganti,
cattedrali, mausolei, memoriali; cosa che ancora oggi
continua, con i grandi viali e gli imponenti edifici
delle nazioni repubblicane. Le opere estetiche
guadagnavano al sistema politico 1'orgoglio e il
consenso della gente, e questo sia nella Mosca
comunista che nella Pietroburgo zarista, sia nella
Roma fascista che a Washington, con templi di marmo
bianco per i suoi eroi secolari.
Questo modo di coniugare estetica e città lascia però
la psiche insoddisfatta. L'estetica è ridotta a
politica, mentre la bellezza serve uno scopo
ulteriore: la manifestazione tangibile, concreta,
della dottrina. La propaganda fissata nella pietra.
lo credo invece che la relazione fra estetica e
politica sia più personale e psicologica. Sta nelle
nostre reazioni nei confronti del mondo in cui
viviamo. Ogni giorno il nostro senso del bello gira
per il mondo, ci accompagna in macchina, nei negozi,
in cucina. Nell' arco della giornata è un continuo,
sottile rispondere esteticamente al mondo. Vediamo le
sue immagini, sentiamo gli odori che ci trasmette, e
impercettibilmente ci aggiustiamo al suo volto. Ed è
in questi aggiustamenti, proprio perché subliminali,
che oggi è nascosto "l'inconscio". Siamo inconsci
delle nostre risposte estetiche. E anche se il compito
della terapia resta essenzialmente quello che è stato
per tutto il ventesimo secolo, e cioè il tentativo di
risvegliare la coscienza, è invece cambiato il focus
di questa coscienza risvegliata. Adesso, diventare
coscienti significa non soltanto diventare coscienti
dei nostri sentimenti e dei nostri ricordi, ma
soprattutto risvegliare le nostre risposte personali
al bello e al brutto. Siamo diventati inconsci
dell'impatto del mondo, le nostre anime come murate
nei suoi confronti.
I primi accenni a questa soluzione più privata,
psicologica, alle implicazioni politiche
dell'estetica, fecero la loro comparsa nella
conferenza che tenni a Eranos, sul Lago Maggiore,
nell'estate 1976. In quell'occasione proposi una
psicologia del profondo dell'estroversione. Il
"profondo", anziché concepirlo soltanto come interno
al soggetto, poteva essere trovato anche nell'
oggetto, nelle immagini che il mondo ci offre. Anche
queste sono facce da leggere come manifestazioni dell'
anima.
Allora cercavo di liberare la psicologia del profondo
dalla sua tendenza introversa e soggettivistica,
introducendo un concetto che è fondamentale nella
fenomenologia e nella psicologia della percezione
diretta: entrambe sostengono infatti che il profondo è
dato nella superficie, che il mondo, cioè, si offre
esteticamente.
Questa svolta in direzione del profondo "là fuori" ,
fu di lì a poco rinforzata dal mio trasferimento, nel
gennaio 1978, dall'Europa a Dallas, nel Texas. In
questa città, così fortemente estroversa, era in corso
la costruzione dei più importanti luoghi pubblici, e
le relazioni fra politica, bello e brutto, erano negli
occhi di tutti, nella mente di tutti.
Fu però soltanto nell'ottobre del 1981 che iniziò a
prendere forma un'intuizione psicologica più profonda,
sotto gli auspici ispiratori di Francesco
Donfrancesco, che ha curato questo libro, e di Paola
Donfrancesco, che con passione lo ha tradotto. In
Palazzo Vecchio, a Firenze, mi fu offerta infatti la
possibilità di elaborare abbastanza distesamente
quell'intuizione che ha finito per diventare Politica
della bellezza. In quell' occasione cercai di fondare
la psicologia del profondo, e anche la terapia,
sull'idea neoplatonica rinascimentale dell' anima
mundi.
Se l'anima, come dice Plotino, «è sempre un'
Afrodite», allora essa ha sempre a che fare con la
bellezza, e le nostre risposte estetiche sono la prova
dell'attiva partecipazione dell'anima al mondo. Il
nostro senso del bello e del brutto ci porta fuori,
nella polis, attivandoci politicamente. Il solo fatto
di accorgerci di quello che ci sta intorno, e di
rispondervi con un moto di istintivo disgusto o di
desideroso trasporto, fa sì che veniamo coinvolti. La
nostra psiche personale è sintonizzata con il
presentarsi dell' anima del mondo. La risposta
estetica è immediata, istintiva, animale, e precede
nel tempo e nell' ontologia i gusti che rendono
elaborata la risposta e i giudizi che la giustificano.
Ogni repressione di quella risposta non soltanto è
deleteria per la nostra natura animale, ma è anche una
ferita istintuale nociva al nostro benessere, come è
nociva la repressione di qualunque altro istinto. Ma
la risposta estetica negata, questo ignorare l'impulso
estetico della psiche, è anche un arrogante insulto
alla presenza del mondo. Passeggiare accanto a un
edificio maldisegnato, vedersi servire del cibo
preparato in modo sciatto e accettarlo, mettere sul
proprio corpo una giacca tagliata e cucita male, per
non parlare del non sentire gli uccelli, del non
accorgersi del crepuscolo... tutto questo significa
ignorare il mondo. Eppure, questo stato di ignoranza,
questa an-estesia, è in larga misura la condizione
umana attuale. Ed è sostenuta e favorita dalla nostra
economia, dal nostro modo d'impiegare il tempo libero,
dall'uso che facciamo della refrigerazione, dai nostri
mezzi di comunicazione e di trasporto e, naturalmente,
dai nostri modi di curarci.
Dal momento che questa anestesia, questo "ottundimento
psichico" - come la chiama Robert J. Lifton, che ha
studiato a fondo le catastrofi collettive - è così
diffusa ai giorni nostri, ho il sospetto che favorisca
la passività politica del cittadino euro-americano, e
quindi aiuti i poteri dominanti a proseguire, senza
impedimenti, sulla loro rotta rovinosa. Se noi
cittadini non facciamo caso all'assalto del brutto,
restiamo psichicamente ottusi, ma siamo ancora
affidabilmente funzionali come lavoratori e come
consumatori. Possiamo ancora affrettarci a lavorare, a
comprare, a tornare a casa alla TV, quotidianamente,
diligentemente, faticando come bestie - come cavalli
da tiro con i paraocchi - nella convinzione errata che
le nostre sofferenze personali abbiano la loro
esclusiva origine nelle nostre relazioni personali. E
le psicoterapie colludono con queste convinzioni
errate, insistendo che la depressione e l'aggressività
che proviamo derivano dai rapporti umani del passato e
non dalle inumane violenze che il nostro istinto
estetico riceve nel presente. La terapia fallisce il
suo scopo quando perde di vista l'importanza
quotidiana che Afrodite riveste per l'anima.
Non riconoscendo la realtà dell'anima mundi e il
riflesso che ha sulla nostra anima personale,
prendiamo ogni sofferenza su di noi -mea culpa - e
restiamo inconsapevoli della sofferenza dell' anima
del mondo, di come siano torturate le sue strutture,
di come essa sia esiliata in una nichilistica natura
selvaggia, e di come aneli a tornare a una cosmologia
che dia il primo posto alla sua bellezza.
Tutti noi sappiamo come impegnarci nell'azione
politica: partecipare a campagne, a marce, protestare,
resistere. Sappiamo il coraggio che l'azione richiede
e il rischio che comporta, ma non sappiamo di avere
anche altri mezzi di azione, mezzi che richiedono
anch'essi coraggio: il coraggio del cuore di battersi
per le sue percezioni. E se non ci battiamo, se non ci
esprimiamo in favore del nostro senso estetico, quel
velo funebre che è la conformità ottundente finirà per
togliere ogni forza al nostro linguaggio, al nostro
cibo, ai luoghi dove lavoriamo, alle strade delle
nostre città.
Piccoli atti di protesta e di apprezzamento aprono
delle brecce nella condizione di ottundimento.
Ciascuno di noi può essere un eroe del cuore, perché
questo tipo di risposta personale, per quanto semplice
possa sembrare, va ancora più in profondità delle
consuete proteste sui generi, sul razzismo, sull'
ambientalismo. Qui non ci sono "ismi", non c'è
ideologia: siamo al servizio dell'inestinguibile
desiderio di bellezza che ha l'anima. Non dobbiamo
dimenticare che, nel racconto di Apuleio, Psiche era
immaginata come il personaggio più bello di tutto il
mito classico.
Sono fermamente convinto che se i cittadini si
rendessero conto della loro fame di bellezza, ci
sarebbe ribellione per le strade. Non è stata forse
l'estetica, ad abbattere il Muro di Berlino e ad
aprire la Cina? Non il consumismo e i gadget
dell'Occidente, come ci viene raccontato, ma la
musica, il colore, la moda, le scarpe, le stoffe, i
film, il ballo, le parole delle canzoni, la forma
delle automobili. La risposta estetica conduce all'
azione politica, diventa azione politica, è azione
politica.