Storie libertine di cardinali vescovi, cortigiane e
nobildonne romane
Nel nome della magnificentia
di Maria Calderoni
Nel nome della magnificentia. Quella, grandiosamente
rinascimentale, che Pietro Riario, cardinale in Roma
sotto papa Sisto IV (seconda metà del 1400)
grandiosamente ostenta e coltiva da vero principe
(della Chiesa). Magnificentia che va dalle vesti
tempestate di pietre preziose alla profusione di oro e
argento degli apparati decorativi, con il contorno di
efebi, tutti azzimati in abiti di velluto e seta,
nonché cantori, ballerini, ballerine, musici.
In quella autentica reggia che è il palazzo di piazza
Santi Apostoli, in cui il Riario si insedia appena
indossata la porpora, feste, ricevimenti, gran balli
di carnevale si susseguono con fastosa frequenza.
Passa alla storia il ricevimento da lui dato in onore
di Eleonora d'Aragona, figlia del re di Napoli; e
mitico «il banchetto della durata di sei ore in tre
portate di 42 vivande, con ogni portata introdotta da
uno scalco a cavallo e una schiera di valletti
elegantemente vestiti». Con contorno di teatranti
toscani e belle ragazze sotto forma di naiadi vestite
solo di veli azzuri.
Sono feste che spesso volgono in gozzoviglie e più
propriamente in orge, ma non vi è dubbio, scrive lo
storico Platina nel suo Vite dei pontefici (1715), il
cardinale Riario «ha sostenuto ingenti spese per avere
in casa una gran quantità di oro e argento, abiti
sontuosi, cortine ed arazzi, cavalli aitanti,
servitori in vesti di seta e scarlatto, giovani
scrittori e artisti famosi». E anche attori,
danzatrici e cantanti, tra cui Tiresia che «Pietro
mantiene con una prodigalità tale che si comprende
dall'uso di scarpette ricoperte di perle». Morirà
comunque prima dei trent'anni, Pietro il Magnico;
secondo i maligni a causa delle crapule, ma forse, più
verosimilmente, via veleno.
Pietro Riario, gaudente, umanista e spendaccione, non
è che uno della lunga schiera di cardinali e vescovi
molto portati ai piaceri terreni che illustrano la
storia del Papato. Donne di cuori e di cardinali,
principi della Chiesa e cortigiane: anche questa è un
pagina di storia. Giovanni Burcardo, maestro
cerimoniere di Alessandro VI, aveva coniato al tempo
una definizione che assolveva anima e corpo:
«Cortigiana, ovvero prostituta onesta».
All'appassionante tema devolve 300 pagine il nuovo
libro di Claudio Rendina - Cardinali e cortigiane,
(Newton Compton) - documentatissima cronaca vera di
«storie libertine di principi della Chiesa e donne
affascinanti; vescovi e diaconi gaudenti, prostitute e
nobildonne spudorate, tra intrighi politici, traffici
commerciali e avventure galanti». E in un contesto
unico al mondo, il Papato del più grande potere
temporale.
Donna Olimpia è per noi oggi solo una strada e una
piazza dalle parti di Monte Verde. Ma chi è questa
Donna Olimpia? Ai suoi tempi seconda metà del 1600, fu
una potenza, la "papessa" Olimpia, vedova di un
Pamphili, cognata nonché "favorita" di papa Innocenzo
X. Nata Maidalchini, ambiziosa, faccendiera e astuta,
lei «compra, vende, dà i soldi a strozzo». Sfruttando
la debolezza del papa, che le è succube, arriva ad
essere la più gran Dama e la dominatrice di Roma. La
Papessa. «Chi vuole ottenere un favore o un'udienza
dal papa deve chiederlo a lei, definita la "porta" del
Vaticano; che bisogna "ungere", perché Olimpia è avida
di denaro, si arricchisce tra imbrogli, furti e
prebende». Ma non le basta. Vuole la carriera
ecclesiastica anche per il figlio Camillo e non le
occorre molto «per fargli avere il cappello
cardinalizio». Insaziabile, Regina del Carnevale
nell'anno di grazia 1645, malata di grandiosità, fa
erigere, con salasso di pubblico denaro, palazzi,
giardini, gran ville sull'Aurelia Antica.
A lei e alla sua influenza su Innocenzo X si devono il
Casino del Bel Respiro, il Giardino del Teatro, i
Bagni di Donna Olimpia con tanto di spaggia privata,
l'ingrandimento e l'abbellimento del principesco
palazzo Pamphili a piazza Navona. Ivi compreso il
capolavoro del Bernini, la Fontana dei Quattro Fiumi
con l'obelisco. Va bene, ci vogliono un mucchio di
soldi, e, per la bisogna non si trova di meglio che
aggiungere la gabella di un quattrino per libbra sulla
carne e sul sale. «Così, mentre vengono trasportati i
pezzi dell'obelisco, sui muri della piazza compaiono
scritte come questa: «Noi volemo altro che guglie e
fontane/ pane volemo, pane, pane, pane!».
La Papessa Olimpia, anche protettrice delle
prostitute. Annota infatti Claudio Rendina che,
secondo un "Avviso" del 1645, la favorita del papa
concede alle meretrici romane «che mettano l'arme di
Sua Eccellenza sopra la porta e che vadino in carrozza
senza riguardo alcuno, come se fossero honorate».
Ovviamente «con tanto di tangente sulle loro entrate».
Odiata dal popolo per il lusso, gli scandali e i
balzelli, durante la carestia del 1647 viene aggredita
dalla folla, la sua carrozza rovesciata; e alla morte
di Innocenzo X, il nuovo papa Alessandro V la fa
esiliare fuori Roma. Poi le viene intentato un
processo con nove capi d'accusa tra cui appropriazione
indebita di denaro dello Stato e dei tesori del papa.
Non li restituirà mai. «Muore di peste il 16 settembre
del 1657. Lascia un'eredità eccezionale per quei
tempi: due milioni di scudi».
Cardinali e cortigiane, quello di Rendina è un quadro
formidabile e fosco, gloria e miseria del papato
all'ombra del potere temporale. «Cardinali come uomini
di corte, quella di un qualunque altro sovrano, in
veste di nunzi apostolici, ovvero di ambasciatori, e
ministri di un re. E in simili ambienti si
accompagnano ad altri cortigiani, conti, marchesi,
duchi, scrittori, musicisti, artisti, persino
giullari, ma anche a donne, come mogli di nobili,
nonché nubili, qualificate cortigiane in quanto dame
di compgnia della Regina o favorite del Sovrano,
ovvero amanti di nobili laici od ecclesiastici».
Prostitute d'alto bordo, alcune famose per bellezza
personalità e talento, hanno spesso, come i cardinali,
la loro corte, e possiedono case e ville sontuose,
«dove ospitano il loro amante ufficiale, ma anche la
clientela selezionata». Con la benedizione del
Cupolone.
Donna Olimpia e le altre. Madama Lucrezia, per citare,
di cui è perdutamente innamorato il re di Napol
Alfonso d'Aragona; Vannozza Cattanei, la bellissima
amante di Rodrigo Borgia, nipote di Callisto III;
quanto al cardinale Cesare Borgia avrà come amante
Fiammetta, «la cortigiana di Roma più famosa in quegli
anni, e va da lei la sera addirittura con la porpora,
con tanto di spada, per difendersi dai banditi e da
indesiderati spioni della sua tresca amorosa».
Lo Zoppino (pseudonimo di Francisco Delicado,
sacerdote e scrittore spagnolo, autore di una Vita
delle cortigiane di Roma ) si dilunga sulle arti
seduttive di una Lucrezia detta Matrema, nota anche a
Pietro Aretino; la Divina Imperia, signora di Palazzo
Chigi, è immortalata da Raffaello; e Bianca Capello, è
la celebre, intelligente favorita che assurge a
granduchessa (e poi tante, tante altre). Del resto,
nella Roma papalina, tra cortigiane, prostitute
d'alto, basso e bassissimo rango, le donne dedite al
famoso mestiere più antico del mondo, alla fine del
Quattrocento sono, secondo Stefano Infessura (Diario
della città di Roma , 1890), un'enormità, ben 6.800 su
una popolazione di 50.000 abitanti. E il numero è
aumentato sempre di più fino al pontificato di Pio V,
che nel 1656 vorrebbe sì cacciarle, ma l'impresa si
rivela impossibile. Infatti, «tra loro e i protettori
andrebbero via da Roma non meno di 25.000 persone, la
città si svuoterebbe». E' una "terra de donne",
insomma, il santo capoluogo del papato, una terra di
piacere. In ogni caso, le cortigiane, o curiales come
vengono riguardosamente definite, costituiscono
l'aristocazia delle meretrici. E' una di esse, al
secolo Clementina Verdesi, che Gioacchino Belli
celebra a modo suo: come «puttana santissima».