Attualità del mito
Tra musica e inconscio un legame profondo
Cinquant'anni prima che Freud scrivesse
l'«Interpretazione dei sogni» Wagner scendeva, con la
sua Valchiria, nei meandri dell'esperienza emotiva
dominata dal non-detto
di Pietro Bria
«Come, dunque, si volge via il dio da te, così bacia
via dai tuoi occhi la divinità»: sono le parole piene
di commozione con cui il dio Wotan - nel finale della
Valchiria - si congeda dalla figlia Brunilde, che è
costretto ad allontanare da sé e a privare del suo
essere divino. Ma è anche la frase che per Giuseppe
Sinopoli traduce quello splendido ossimoro con cui
Wagner tenta di descrivere e di mettere in musica la
ferita degli affetti che si è aperta nell'animo del
dio: Wotan, infatti, è spinto a recuperare l'unione
perduta con la figlia e, al tempo stesso, a
separarsene, a prendere commiato da lei. Proprio in
questo momento drammaturgico di così forte impatto
emotivo può riassumersi il senso più profondo della
vocazione psicoanalitica di Sinopoli, che lega la
musica all'inconscio delle passioni umane.
La logica degli affetti
Mettere l'inconscio in musica implica, comunque, un
assunto di base che va condiviso: quello secondo cui
la musica non è un puro gioco di forme sonore
sprovvisto di una semantica propria; perché nasce,
invece, come fatto o evento espressivo che trova la
sua materia prima nelle profondità degli affetti umani
a contatto con sensazioni ancora oscure e nebulose:
quelle sensazioni che, come voleva Gustav Mahler,
«aprono la strada all'altro mondo, in cui le cose non
hanno tempo e spazio» e attendono di essere messe in
forma di pensiero.
È stato Matte Blanco, il grande psicoanalista cileno
da alcuni anni scomparso, a dotare, sulla scia di
Freud, questo «altro mondo» - il mondo dell'inconscio
- di una logica propria, che è logica degli affetti e
logica dell'infinito. Ebbene, Sinopoli ha raccolto
questa lezione e l'ha realizzata in musica attraverso
un altro incontro straordinario, che lo ha impegnato
come compositore, come interprete e come uomo: la
musica con cui Wagner - cinquant'anni prima che Freud
scrivesse l'Interpretazione dei Sogni - si era
avventurato, prefigurando le scoperte della
psicoanalisi, nei labirinti dell'inconscio, laddove la
coscienza umana si stratificava e si scopriva
determinata dai livelli del «non-detto» (il rimosso
freudiano) o, più fondamentalmente, dall'
«in-dicibile» che è proprio dei livelli
dell'esperienza emotiva.
Ho vissuto con Sinopoli questa grande avventura che
l'ha portato a intuire come la «discesa»
nell'inconscio avvenga in Wagner tramite quello
straordinario dispositivo - che è tecnica compositiva
ma anche procedura conoscitiva - costituito dal
Leitmotiv o tema conduttore, vero motore della
drammaturgia wagneriana. Il Leitmotiv ha la funzione
non solo di rimandare o richiamare l'attenzione su un
personaggio o su una specifica situazione
psicodinamica (come è il caso della perdita o
dell'amore o della redenzione) ma anche quella più
fondamentale di attrarre o trascinare a sé motivi e
tempi musicali, stabilendo associazioni o contrasti
con altri temi o altri motivi, oppure subendo
trasformazioni più o meno profonde della propria
struttura che lo rendano irriconoscibile.
Ciò dà luogo a una rete o ibrido musicale che
determina una perpetua instabilità armonica e timbrica
e permette di accedere - come una sonda psicoanalitica
- a diversi livelli di coscienza dei personaggi e
delle situazioni: «percorsi labirintici, viaggi
prospettici nella mente e nelle emozioni dove ai
leitmotive più evidenti si intrecciano altri nascosti,
sfuggenti, pronti a segnalare aspetti inconsci».
Il risultato straordinario di questa procedura
continuamente «compromissoria» è che lo spazio lineare
e discreto della narrazione, così come lo spazio della
coscienza in Freud, viene - attraverso la musica dei
Leitmotive - continuamente immerso in un altro spazio,
multidimensionale, che è spazio dell'inconscio e
matrice di emozioni su cui il racconto appare sospeso.
In questa matrice albergano non solo violenti
conflitti pulsionali - di cui la Tetralogia wagneriana
è tutta intessuta - ma anche massicce proiezioni di
desideri e dissoluzioni più o meno ampie
dell'identità, che nessuna realizzazione scenica
tridimensionale avrebbe potuto portare in piena luce;
compresa la raffigurazione onirica sebbene, per Freud,
essa fosse la «via regia verso l'inconscio». Questa
impossibilità strutturale aveva convinto Wagner a
auspicare per il suo dramma musicale, dopo l'orchestra
invisibile, una scena invisibile finalmente liberata
dal sensibile per raggiungere una «comprensione più
esaltante, più visionaria del tutto».
Pierre Boulez, introducendo la sua ormai storica
esecuzione di Bayreuth, disse al riguardo - e in
sintonia con Sinopoli - che il concatenarsi dei motivi
nel tessuto strumentale «viene a creare un mondo la
cui indipendenza nei confronti della scena si
manifesta in modo crescente», fino al punto in cui è
possibile osservare «quasi una dualità fra l'universo
drammatico e quello musicale, poiché quest'ultimo
diviene infinitamente più ricco dell'altro e tende,
con la sua stessa proliferazione, ad accaparrare tutta
la nostra attenzione».
La musica sopprime il tempo
Nella Valchiria - afferma Sinopoli - questo sviluppo
del Leitmotiv trova il suo acme espressivo «grazie a
una tecnica meravigliosa di variazione aperta,
continua, cellulare, tipica del Wagner maturo, che
consente alla memoria di interagire con il presente:
un «procedere multiforme di passato e presente» che ha
portato un grande studioso di Wagner come Ernst Bloch
a parlare di «psicoanalisi del Leitmotiv onnisciente».
Tecnica, questa, che si realizza in modo assai
significativo nel finale dell'opera, quando la musica
sublime che Wagner costruisce intrecciando i motivi
dell'addio di Wotan con quelli del sonno e del suo
incantesimo permette di dare espressione a
quell'indicibile antinomia di affetti che agita
l'animo del dio-padre nel momento in cui, in
obbedienza alla legge istituita, egli deve separarsi
dalla figlia Brunilde: la figlia che incarna (e
incarnerà) il suo più profondo desiderio di amore.
E così la musica, arte del tempo, ritrova la sua
funzione originaria che è, come afferma Levi-Strauss,
quella di sopprimere il tempo. Un legame con
l'in-divisibile e con l'infinito che è anche
all'origine della sua capacità di influenzare gli
animi, così come le riconosceva Platone, e che si
attualizza nel momento dell'ascolto.