Thursday, January 24, 2008

Brindisi con Dioniso nei boschi dell'Attica


Un invito ad assaggiare vino novello nella campagna appena fuori Atene, seguito da una lenta danza greca, evoca d'improvviso il dio dell'ebbrezza. Il percorso di un mito che avvicina Oriente e Occidente

Brindisi con Dioniso nei boschi dell'Attica

alla quale un gruppo di uomini beveva e mi osservava.
Quando il piu anziano mi prego di partecipare, ebbi la sensazione di vivere un rito arcaico Il figlio di Zeus e anche lo Sciva dell'India, una combinazione di contrari Asceta devoto e amante eccitato, vaga per le terre nudo, capelli al vento ridendo e piangendo
di ELEMIRE ZOLLA


M'è capitato di ascoltare un raga vespertino di sarod accompagnato dal tamburello, la tabla. Il sarod è una variante eccezionalmente ricca della chitarra. La musica indiana ha un andamento uniforme, incomincia con assaggi lentissimi, enigmatici di c ombinazioni che lentamente si dipanano e come uno strazio emerge a tratti una melodia. Sono spunti come di sogno. Infine la melodia si delinea chiaramente e via via comincia a scatenare esecuzioni su ritmi accelerati, è come se si sbrigliassero furie amorose, fino all'estasi che miracolosamente si mantiene, prolungandosi, variando, fino a gettarci nel silenzio su cui giocava il preludio. Il suonatore di sarod dapprima cadenza il suono aprendo gli occhi e sorridendo al compagno tamburino, che gli risponde con faccia ora seria ora sorridente, con una imprevedibilità di scimmietta. Allo sbrigliarsi del suono, il suonatore sta a testa rovesciata con un sorriso fisso, trafitto. Medito l'esperienza tante volte ripetuta e mi viene in mente che u na figura è sicuramente emersa, Dioniso mite, infantile, giocoso e poi scatenato, rapito. Agl'indiani piacque acquistare quadri occidentali di baccanali, era forse il punto di fusione fra loro e noi. Si è sempre detto che Sciva e Dioniso coincidono. Rammento un incontro con Dioniso, il giorno in cui si assaggia il vino novello, nella campagna greca. Camminavo per i campi, m'ero inoltrato in un boschetto ed ero felice come quando ci s'inoltra in un contado leggiadro, ma a distanza di tempo ne mmeno me ne ricordo, dei caratteri di quel contado. In Grecia, specie nell'Attica, sono i profumi che riempiono l'attenzione, la sfidano con la loro varietà che nemmeno si riesce a fermare con parole. Sono i sentori di quei fiori e quelle erbe che so ltanto su suolo greco allignano e giungono nuovissimi alle narici, appena usciti da Atene, sull'Imetto. Arrivai ad una casetta davanti alla quale un gruppo d'uomini stava degustando il vino nuovo e mi osservarono con attenzione. Finalmente il più anz iano mi pregò di partecipare, con un tono dove mi parve di sentire la forza, di così remote origini, dell'ospitalità. Infatti, i volti seri e benevoli mi diedero la sensazione di quel rito arcaico. Il mio greco miserello bastò, ci si sentì accomunati . Prima che me n'andassi quattro si alzarono a danzare dignitosamente la lenta danza greca in tondo. Ci salutammo in silenzio. E anche in questo caso sentii Dioniso che sta sdraiato a degustare dalla coppa. Un altro incontro mi affiora di tra i ric ordi infantili, dei primissimi. Ma credo appartenga all'esperienza d'ogni bambino: gli si presenta un coetaneo e i due si guardano a vicenda, contraccambiano noia stando immobili e indifferenti l'uno a cospetto dell'altro. Ma tutt'a un tratto una par ola cade nel silenzio o una corrente scatta fra i loro occhi e subito si sentono trasportati in un altro spazio. Distanza, differenza, intervallo di separazione sono svaniti, essi formano un'unità. Corrono furiosamente gridando, eccitandosi: esaltati soffiano fiatoni fitti fitti, come stessero nuotando in un'acqua tumultuante. Dura quel che dura, qualcuno interviene, basta una voce posata e tornano in sé, separati, distinti. Questo trasporto ha un nome proprio, Dioniso, cui Ovidio si rivolgeva esclamando: tu puer aeternus. Avevano subìto la sua possessione i bambini, di lui avevano acquisito conoscenza. Oggi tutto rimane incerto, confuso, disatteso, tuttavia ancora si può avvertire che ogni comparsa dionisiaca è un evento glorios o, e una voragine che squarcia l'esistenza. Ho raccontato una storiellina infantile, ma l'incontro con Dioniso può nascere da un vinello qualunque che precipiti all'improvviso in un'esuberante risata e ogni parola solletica, ogni mossa fa piegare i n due dai singulti, tutto si palesa per un immenso scherzo. Gli antichi avrebbero detto: Dioniso s'è presentato, ha illuminato la terra, mosso i venti, sconvolto i cuori, infondendo un'energia inattesa o sfibrando in un languido abbandono o ge ttando in una scurrile ilarità. Ha comunque spezzato leggi e costumanze, ha immerso nella natura animale e vegetale, ha infranto l'identità personale. S'è detto, Dioniso è anche Sciva, anche lui un provocatore che attacca spietato chi crede di poterlo ignorare. È una combinazione di contrari, un asceta devoto e un amante eccitato, vaga per le terre nudo, sparso di cenere, capelli al vento, ridendo e piangendo. I suoi adoratori lo imitano e li vedi grigi di polvere, occhi rossi, per le stra de dell'India. Guai a proscrivere Sciva, come osarono fare i sapienti severi. Umilia gli asceti, li costringe a scoprire l'androginia, affascina le donne. Può sembrare uomo o donna, si può dividere in due metà, maschio a destra, femmina a sinistra, p rendendo il nome di Ardhan-ar-iévara perché la sua essenza è la voluttà sconfinata, in cui estasi virile e femminile si confondono. Ha il collo azzurro perché ha inghiottito il veleno, i cui principi distruttivi tramuta in esultanza. Come in una zang ola in lui ogni coppia di opposti, conscio-inconscio, amabilità-terrore, piacere-sofferenza, si fonde in un'unità. Sono caratteri che in parte sembrano tornare in Krishna, che si aggira ruzzando fra le bovare che si sono innamorate di lui alla follia , abbandonando le loro famiglie. Di primavera Krishna e le bovare intrecciano i loro giochi e la gente li imita celebrando la festa di hol-i o hol-ak-a, inebriandosi delle fioriture, cantando facezie impudiche, saltando sui falò accesi, masticando hashish in famiglia per gettarsi poi fuori a innaffiare con gli spruzzatori chiunque passi per strada. Quei liquidi variopinti celebrano hol-i. Alla fine del Durga p-uj-a, la cerimonia in onore della dea nera, il capofamiglia offre foglie e radici di hashish agli ospiti. Ma in qualunque notte nel cuore della foresta, dove divampino le fiaccole e si vendano cinnamomi, canfora e cannella, curry, zenzero, dolci mielati dai tanti sapori sovrapposti, betel, tè pimentati e tutto con movimenti f ebbrili, vibra l'aura dionisiaca. In certi templi l'elefante sacro barrisce per il desiderio di frutta fermentata: soffia Dioniso. A Kanchipuram i sacerdoti, avvertiti dell'arrivo, si precipitano incontro, occhi luccicanti e arrossati dall'hashish, pelli spalmate di olii aromatici, rapidissimi, inondano d'incenso. Dioniso fu dio della terra vegetante, degli alberi sempreverdi, di fiori e di frutti. Ebbe come culla uno staccio per il grano, simbolo di purificazione. Presiedeva a pigiature, to rchiature, sgranature, a metamorfosi dolorose. È, s'è detto, dio della fatica giuliva, il sudore è leccato via dai serpenti avvinghiati; ma è anche mortuario: pigia, torchia, sgrana, rode come un capro. I vasi greci instancabilmente mostrano sile ni o satiri che calpestano grappoli nel tino: è in gioco Dioniso, che si sta smembrando. I suoi seguaci addentavano animali vivi che lo rappresentavano, strappavano a brani capri e cerbiatti e tori, innamorati distruttori delle vigne. Tutto confluisce: il capro che la seconda Georgica chiama l'innamorato della vigna, su cui si avventa straziandola e trangugiandola, è a sua volta assalito dalla baccante che lo fa a pezzi e lo ingoia sbavandone il sangue, ma Dioniso è tutt'insieme vite, c apro e baccante, graspo spremuto e vino che ne nasce, il morto che risorge e l'anno sempre risorgente. L'ebbrezza del vino accosta ad Afrodite. La sposa di Dioniso fu Arianna era destinata a diventare madre dei figli di Dioniso, ma anche ad ammazza rsi, forse perché non resse all'indole di Dioniso. Ma Arianna fu anche un'Afrodite, ad Amatura cipriota si adorava Ariannafrodite. Plutarco dice che Arianna era figlia d'Afrodite. Comunque Afrodite è pronuba fra Dioniso e Arianna. Ma forse il nucle o del dionisismo era il ballo in vortice che imitava un prillo, chi lo eseguiva si smarriva. Un romanzo russo, Nei boschi (V losach) di Mel'nikov Pecerskji, espone una consuetudine contadina assai prossima alle scorribande dionisiache: si formano g ruppi di ragazze che dopo la Pasqua corrono su per una montagna a coglier funghi. I ragazzi che le accompagnano devono lasciarsi torcere l'orecchio finché sanguini, al primo fungo che mangiano. L'entrata nella foresta, come nel dionisismo, avviene co n un clamore assordante, la sera si appartano le coppie. È in piccolo un'educazione a ménadi. Le ménadi ovvero folli si gettavano di corsa in punta di piedi su per i costoni di montagna nel cuore della notte invernale ululando, ebbre di edera mas ticata, rovesciando la testa. Vestivano pelli di volpe (bassàre) e una pelle di capriolo (nébris) in spalla o sopra il braccio proteso. Portavano corna di toro, formicolavano di serpenti la testa e il tronco. Talvolta i serpenti li inghiottivano, com e aveva fatto Dioniso durante la follia inflitta da Hera. Rohde diceva che le ménadi si costringevano alla manìa efferata. Le loro bocche agognavano di maciullare e di schiumare sangue caldo. Roteavano il tirso finché le trainava con furia. Ruotava no la testa a far scoppiare l'esperienza naturale e comune. Ed ecco l'allucinazione, si vedevano davanti Dioniso uomo o Dioniso toro. Ben di rado le scortavano uomini, ma c'è da pensare che si portassero dietro i figli. Oggi le donne brasiliane del c andomblé si accompagnano ai loro ragazzini, che aiuteranno durante la cerimonia a entrare in trance. Era però un convegno rischioso, il tumulto poteva imbroccare qualunque strada, il profeta dionisiaco Orfeo fu straziato dalle ménadi come un cerbia tto. Quando dominava la rappresentazione di Dioniso come toro, la schiera delle ménadi diventava uno stuolo di mandriane, i baccanti si chiamavano anche boukoloi, bovari, mestiere associato al nomadismo e a poteri magici: Tutsi, butteri e bifolchi, gauchos, cow-boys, b'né Rahel, centauri-picadores, aramauni di Macedonia, mongoli capi d'armenti. Le ménadi fra loro si chiamavano cagne e risorgerà il nome nei raduni massonici egizi istituiti da Cagliostro per le sue «sorelle». Talvolta, al colm o del loro trasporto, esse si sentivano librate in volo e celavano le mani nelle maniche che facevano da ali. Il loro frastuono si alzava terribile nella foresta, accompagnavano l'ululìo battendo nacchere, piatti e tamburelli. Da Bacco, baccano. Se s i fosse tentati di dire che oggi nel chiasso delle discoteche si ricerca il clamore dionisiaco, Ceronetti ha approntato la sua maledizione: Dioniso liberava, quel chiasso calca e vincola. Carl A.P. Ruck osserva su certi vasi ménadi armate di pestel li. A che potevano servire se di fatto non si fossero raccolti nei tirsi funghi e semplici da pestare? Al baccanale si aggregavano, dicono i testi, gli spiriti del bosco, sàtiri dallo zoccolo equino, dal fallo sempre erto, sbrigliati ballerini; cen tauri sapienti e incontenibili; fauni o pani che diffondevano il pànico e, infine, geni dei monti, i sileni piè di capra, dèditi agli spassi, flautisti festosi, ammaliaserpenti, la cui sapienza si celava dietro l'aspetto bonaccione, ebbro dall'occhio acquoso. Essi incantavano la natura intera con le loro canzoni, che erano, dice la sesta Egloga di Virgilio, racconti cosmogonici sui quattro elementi che nel vuoto si uniscono a formare ogni seme; quando Mida catturò Sileno, lo mise alle strette ed ebbe il responso: con un risolino egli proclamò che era meglio non essere che vivere. La filosofia schopenhaueriana riesprimerà questa arcaica professione silenica, di cui Devereux scoprì che i Mohave americani ritenevano convinti gli sciamani da prima della nascita: potendo, essi ammazzavano la madre venendo al mondo e, se sopravvivevano, lottavano per farsi uccidere.*

dal "corriere della sera" di mercoledi' 13 agosto 1997