Thursday, January 24, 2008

CASTORE E POLLUCE PROTETTORI DALLE TEMPESTE

da "il giornale di Brescia", 24/06/2002

La scoperta dei resti di Dioscuria
CASTORE E POLLUCE PROTETTORI DALLE TEMPESTE

Il mito degli Argonauti e del vello d’oro dietro il nome della città sul Mar Nero
Gian Enrico Manzoni

Anche il nostro Giornale ha dato notizia, nei giorni scorsi, del ritrovamento dei resti dell’antica e misteriosa città di Dioscuria, un sito di fondazione greca sulle coste caucasiche del Mar Nero, nella regione che gli Antichi chiamavano Colchide. La scoperta archeologica è avvenuta nella Repubblica dell’Abkhazia dell’ex-impero sovietico, al centro dell’attuale capitale Sukhumi. Secondo gli studiosi locali, lo strato urbano scavato due metri e mezzo sotto il livello odierno della città corrisponde all’insediamento greco, la cui origine più remota viene fatta risalire all’arrivo di coloni dalla fiorente città di Mileto; sarebbero qui giunti tra il VI e il V secolo a.C., nel quadro del movimento migratorio suscitato a più riprese dalla città milesia. Naturalmente la notizia ha riproposto anche quesiti di natura storica e mitologica, legati innanzitutto al nome stesso della città: è comunque evidente che è modellato su quello dei mitici Dioscuri, cioè Castore e Polluce, figli di Zeus e di Leda. Ma perché proprio ai gemelli, nati dall’unione di Zeus sotto forma di cigno con la bellissima moglie di Tindaro, sarebbe stata intitolata la città, collocata alla foce del fiume Fasi, di cui si parla nella saga degli Argonauti? La risposta è di natura mitologica, legata proprio alla spedizione degli Argonauti, partiti dalla Tessaglia per recuperare il vello d’oro dell’ariete volante, col quale i fratelli Frisso ed Elle erano sfuggiti alle insidie della matrigna e avevano cercato la strada dell’Oriente. L’animale era stato poi sacrificato, una volta terminato il grande viaggio con cui era giunto nella Colchide, alle foci del Fasi. Il suo vello era stato inchiodato a una quercia sacra ed era così divenuto un bottino prezioso, che i giovani greci cercavano di recuperare e riportare in patria. Gli antropologi hanno letto in questo mito degli Argonauti il significato di un’esperienza iniziatica, necessaria ai giovani eroi per dimostrare di aver raggiunto l’età adulta. Si trattava di attraversare le acque dell’Egeo prima e del Ponto Eusino (Mar Nero) poi, per giungere nella città dei morti, cioè nell’Aldilà dei defunti, ed essere in grado di ritornare in vita sulla terra. L’oro infatti è simbolo di morte nel mito greco, e il vello d’oro dell’ariete ci reca proprio questo significato; le acque poi separano la terra dei viventi dal regno dei morti, per cui i mari degli Argonauti equivalgono al mare attraversato dagli eroi della guerra troiana per giungere a Ilio, o al mare sul quale ondeggia la cassa che contiene il giovane Perseo, nato da Zeus unitosi in forma di pioggia d’oro alla bella Danae. Il mito degli Argonauti e del loro viaggio orientale ha dunque il significato di esperienza eccezionale: un modo di affrontare la morte e di riuscirne vittoriosi, recuperando l’oggetto d’oro (come i tesori aurei di Elena di Troia) che ne è simbolo. Ritorniamo ora all’antica Dioscuria. Della famosa spedizione, detta degli Argonauti perché imbarcati sulla nave Argo, facevano parte i Dioscuri, insieme al fior fiore della gioventù achea dell’epoca: il loro catalogo completo è leggibile nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, ovvero nella Biblioteca di Apollodoro, un tardo compilatore di raccolte mitologiche. Resta però da spiegare un punto importante, cioè il motivo per cui proprio a Castore e Polluce, tra i 50 Argonauti della spedizione, sia stata intitolata la città. Possiamo procedere solo per congetture. Un indizio importante ce lo fornisce il geografo greco Strabone, che in più passi della sua opera descrive la Colchide e accenna a Dioscuria. In uno di questi ci ricorda il carattere salvifico attribuito dal mito ai Dioscuri: essi spesso intervengono, di solito biancovestiti o su cavalli bianchi, a salvare chi è nel pericolo o in difficoltà sul campo di battaglia. Castore e Polluce intervengono anche sul mare, a proteggere i marinai nelle tempeste e a indirizzarli su rotte sicure: lo canta anche l’eolico Alceo, nell’Inno dedicato appunto ai Dioscuri. Essi sono dunque i salvatori, e Strabone ne ricorda gli appellativi come guardiani del mare e salvezza dei marinai. È dunque in relazione a qualche intervento miracoloso attribuito ai Dioscuri che deve immaginarsi originato il nome della città omonima. Per giungere nella Colchide i Greci dovevano attraversare quel mare così tempestoso e pericoloso, quale era il Mar Nero. Ed esso era stato chiamato dai Greci Eusino, che significava benevolo, accogliente con valenza apotropaica, cioè atta a stornarne il pericolo reale, proprio perché quel mare costituiva una minaccia costante per le navi. Però su quelle acque vegliavano i benevoli Dioscuri, e un loro intervento salvifico nel mezzo della tempesta doveva essere all’origine del nome della città.