gesù di nazareth era figlio di un soldato romano?
I recenti studi nel campo religioso, storico e filologico hanno messo in luce talune verità che i cristiani hanno cercato di nascondere o di travisare totalmente. Tutti i principali scritti degli autori pagani contro Gesù sono stati distrutti, o, in molti casi, alterati e falsificati. Di recente ha visto la luce "II discorso vero" di Celso: una ricostruzione del suo pensiero e del suo scritto contro Gesù, accusato di essere un simulatore, tratto da Origene (f 'Contro Celso1'), in modo da accostarne i frammenti e trame un nesso logico. Tale è stato il livore dei cristiani che persino di Celso si sono perse le tracce. Ed ancora oggi non si sa con precisione chi egli sia stato. Sembra che due filosofi epicurei di tale nome fossero vissuti sotto Nerone prima, e poi all'epoca di Adriano. Ma si conosce il nome di un altro Celso che scrisse libri contro le pratiche magiche. E si sa ancora di un altro Celso che scrisse due libri contro i cristiani.
Comunque, pare assodato, ci dice Giuliana Lanata, che ha curato la traduzione ed il commento de "II discorso vero" di Celso (ed. Adelphi, Milano, 1987) che il Celso di cui ci occupiamo fosse un filosofo medioplatonico. Scrive la Lanata con sottile arguzia: 'Ter noi egli è solo un nome, il nome dell'autore di un libro arrivato fino a oggi solo per un'ironia, o un'astuzia, della Storia. Esso infatti non è tramontato in modo completo e attraverso una tradizione manoscritta indipendente: l'esemplare o gli esemplari che ne circolavano nel mondo antico furono probabilmente vittime di una caduta d�interesse conseguente all�affermazione del cristianesimo, sia gli interventi con cui l�Impero Romano cristianizzato cercò di assicurare la distruzione dei libri della parte soccombente" (1). Dal contesto si potrebbe arguire (e ci riferiamo al frammento Vili) che il "Discorso vero" di Celso sia stato composto sotto il regno di Marco Aurelio e di Commodo (congiunto dal 171 al 180).
Si tenga presente che l'opera di confutazione di Origene, "Contro Celso", presumibilmente venne scritta tra il 247 ed il 249.
Celso trasse le sue notizie, in parte dall'evangelio di Mat-teo, in parte da fonti giudai-che non cristiane, e da altre che ci sfuggono. In sostanza egli da di Cristo la descrizione del falso profeta, così come Luciano aveva fatto con Alessandro di Abuno-tico.
Egli fornisce, in sostanza, di Gesù di Nazareth alcuni dati che intendono illuminare il retroscena della nascita, chiarire il comportamento dei genitori e mettere in risalto il periodo della predicazione e del-la sua vita avventurosa. Insomma, secondo Celso, dice sempre la Lanata: "Gesù si era rivelato uno stregone, un gòes, ossia, nel linguaggio del tempo di Celso, un uomo di dubbia reputazione che compiva o pretendeva di compiere miracoli e di garantire salute o salvezza sulla base di incantesimi e di pratiche magiche: insomma un impostore" (2). Logicamente il filosofo mette in risalto che di questo passo si potevano ipotizzare uomini divini forniti dalla tradizione. Ma costoro erano apparizioni di Dèi o di Dèmoni, anche se al momento rivestivano forma umana. Eroi che aspiravano, con la morte, a confondersi con la divinità, acquistando poteri paranormali. Anche Filostrato, più avanti nella storia, ben oltre Celso, dirà di Apollonio di Tiana (all'epoca di Domiziano) ch'egli aveva veramente poteri sovrumani. E verrà dai pagani opposto a Gesù di Nazareth.
Porfirio, nella sua opera "Contro i Cristiani", ripete le accuse di Celso. Ma la sua opera composta di quindici libri venne lapidata, e se ne conservano solo frammenti. In sostanza, ogni setta cerca sempre di presentare il proprio profeta di turno come l'ispirato, l'illuminato, il figlio di Dio, se non addirittura il Dio in terra.
È recente la pubblicazione (1986) dei ricordi di Hugh Milne ("II Dio che fallì") che fu il capo delle guardie di sicurezza di Bhagwan Shree Rajneesh a Poona (in India) e poi nell'Oregon (negli Stati Uniti), il famoso guru che sviluppò il tantrismo come via all'illuminazione: un itinerario spirituale.
Egli ci da la visione totale di come si crea un Dio. Le illusioni, i suggerimenti, la farneticazione della propaganda fi-de, e poi, il fanatismo delle masse.
Bhagwan Shree Rajneesh crollò non perché non fosse degno di essere un maestro spirituale, ma perché le sue segretarie esagerarono nell'ammassare gioie e dollari, automobili di lusso e poderi, trattando da schiavi i poveri illusi che rivestivano la veste arancione. Eppure la dottrina era giusta!
Come è fallito un Dio?
Che bisogno c'era, lascia capire Celso, di reputarlo un Dio quando "in base alle testimonianze stesse dei suoi adepti, al più screditato dei taumaturghi itineranti e dei presunti operatori di miracoli" (3) risulta accertato che in fondo" il "Cristo non è un Dio, ma solo un mago, e della peggiore specie" (4).
Questa è in sintesi il tema del suo discorso, anche se l'abbiamo evidenziato dal contesto della Lanata.
Quando i cristiani se la prendevano con i pagani per i loro miti, era chiaro per Celso che ci si riferiva ad un periodo -diciamo noi - prelogico, in cui l'allegoria dominava sovrana. E non s'era mai visto che un Dio mandasse il proprio figlio, sconvolgendo l'ordine cosmico e l'immanenza delle cose, per accondiscendere alle attese messianiche di una parte minima dei giudei, visto che gli stessi ebrei non credevano alla divinità di Cristo, e stigmatizzavano la sua opera. In fondo, lascia capire Celso, tutti gli enigmi delle religioni iniziatiche, come i misteri di Mithra, si rifacevano a concetti irrazionali; in sostanza: ad una "comunicazione allusiva",
'"I Cristiani pretendevano di sostituirsi a tutta la tradizione, sia a quella giudaica da cui provenivano, sia a quella ellenistica in cui si stavano installando; e al contempo si appropriavano, in modo distorto e contraffatto, di tutto il meglio che il passato poteva offrire, tentavano di rivendicare al cristianesimo l'intero patrimonio della tradizione giudaica e di quella ellenistica. E questo suscitava lo sdegno di Celso" (5).
Era chiaro per Celso che il modo di comportarsi dei cristiani, che si opponevano a sacrificare alla statua dell'imperatore, sprezzavano le leggi di Roma, si rifiutavano di giurare nel nome dei Cesari, era asociale, sedizioso ed anticostituzionale al massimo.
Allorché il proconsole d'Africa Saturnino sta giudicando uno degli Scillitani, alle argomentazioni di costui, esclama alla fine spazientito: "Anche noi siamo religiosi!" (Atti degli Scillitani, 3) per sottolineare come la pazienza avesse un limite, e che i cristiani non avevano scoperto nulla di nuovo in fatto di religiosità.
Ma lasciamo tutte le sottigliezze teologiche per addentrarci nella figura di Gesù di Nazareth, così come lascia intravvedere Celso. Abbiamo messo in risalto come i frammenti ci siano giunti attraverso l'opera di Origene, che li cita per confutarli. Ebbene, nel primo libro, frammento 28, dice chiaramente Celso come Gesù si sia inventato il fatto d'essere nato da una vergine. Aggiunge che ha visto la luce in un villaggio della Giudea, e che sua madre era una filatrice che si era accasata con un carpentiere. E che costui la scacciò per adulterio. Pare assodato che il futuro messia nascesse da un soldato, certo Panthera, e che il suo noviziato venne compiuto in Egitto dove apprese le arti magiche, ..." e insuperbito per questi poteri, proprio grazie ad essi ti sei proclamato figlio di Dio" (6). Da iscrizioni latine risulta come tale soprannome sia tipico di soldati romani ch'erano stanziati in Palestina. Anzi, l'appellativo di Ben Pondera lo si ritrova nella traduzione talmudica (7).
Il fatto che Celso ritenga Gesù esperto nelle arti magiche, perché vissuto in Egitto, fa parte della tradizione biblica (cfr. Esodo, 7, 11-12). Anche Luciano inserisce immagini magiche egizie e prodigi nella sua opera "L'amico della menzogna" (33 sg.). Ed è proprio per vari accostamenti ed analogie che c'è chi ritiene Celso il personaggio amico di Luciano, filosofo epicureo, che aveva composto un'opera contro la magia ed era appassionato studioso di problemi culturali - diciamo impropriamente - esoterici. Per Celso, Gesù è un impostore che si inventa tutto, e che non ha un gran seguito. Dieci od undici seguaci che poi lo rinnegheranno (libro I, frammento 62, libro II, frammento 12).
Ammesso che siano veri i miracoli, le guarigioni, le resurrezioni, la moltiplicazione dei pani, (sempreché non siano "fanfaronate" dei seguaci), c'è una evidente analogia con quanto fanno gli stregoni. E c'è bisogno per tutto questo clamore di proclamarsi figli di Dio? "O non bisogna dire piuttosto che queste sono pratiche di uomini spregevoli e posseduti da demoni malvagi?" (8).
Accusa poi i cristiani di aver preparato a bella posta la sua onniscienza e la sua onniveggenza. Egli sapeva tutto, aveva previsto tutto ciò che gli sarebbe accaduto (libro II, fram. 13, 15, 16, 17, 18, 19, 20 sgg.).
"Perché con altrettanta sfrontatezza anche sul conto di un bandito o di un assassino raggiunto dalla giustizia si potrebbe affermare che non era affatto un bandito, ma un Dio; infatti aveva predetto ai suoi compari che gli sarebbe successo quel che appunto gli successe" (9).
Celso poi si diverte a ricordare che altri riferirono di essere risorti dopo la morte. E cita il caso di Scizia di Zaimoxis (schiavo di Pitagora), dello stesso Pitagora, e di Rampsi-nito in Egitto. Ma che addirittura siano risorti col corpo - lascia intendere Celso - questa pare un po' grossa.
Insomma i cristiani cercano di darla a bere che quello che dicono gli altri siano favole, ma che quello che è successo al loro Gesù è vero.
Riassumiamo con nostre parole, ma questo è il senso che traluce tra rigo e rigo.
Non crede, dunque, alla resurrezione (vista da pochi fedeli, tra i quali la Maddalena), perché "Se Gesù voleva davvero manifestare un potere divino, avrebbe dovuto farsi vedere da quelli che lo avevano oltraggiato e da chi lo aveva condannato: in una parola, da tutti" (10).
In sostanza, tutta la polemica di Celso è una demolizione totale di taluni princìpi cristiani, l'incarnazione e la redenzione, per far capire come appaia assurdo che un Dio, ch'è inaccessibile ed inconoscibile, senta la necessità di mandare suo figlio per redimere l'umanità. Ragionamento fuori della ragione (infatti i cristiani sosterranno che solo per fede bisogna credere) che "appare insostenibile al platonico Celso, per il quale la rivelazione contenuta nella Scrittura altro non è che un cumulo di grossolani antropomorfismi. Decisamente assurda gli pare la credenza nell'incarnazione: i fatti della vita di Gesù sono da Celso passati al vaglio di una critica corrosiva - scrive Eugenio Corsini (11) - che attinge da una parte all'arsenale della letteratura anticristiana del giudaismo e dall'altra al razionalismo filosofico ellenistico. L'ideale di Celso rimane quello di un universo rigidamente gerarchico, in cui alla gerarchia divina, incentrata su un Dio, sommo con molte divinità minori intermediarie tra lui e il mondo, corrisponde quella di un impero sempre più avviato sulla via dell'assolutismo, con l'imperatore in funzione di rappresentante del Dio sommo sulla terra, a cui fanno capo i governatori quali rappresentanti dei vari popoli dell'impero e delle loro divinità".
Celso se la prende poi col programma.
È veramente rivoluzionario perché fa leva sui diseredati. A chi si rivolgono i cristiani? "Se uno è peccatore, se è incapace di capire, se è puerile, se, in una parola, è un disgraziato, il regno di Dio lo accoglierà". Forse voi non chiamate peccatore l'ingiusto, il ladro, lo scassinatore, lo spacciatore di filtri, lo spogliatore di templi, il violatore di tombe? Chi altri tipi di persone convocherebbe un pirata con un suo bando?" (12). Tutto il cristianesimo è "spirito di rivolta" (cfr. libro II, 5-10; libro Vili, 2 e 14-15; Vili, 49).
Come si vede Celso non aveva peli sulla lingua, e la sua dialettica incalza, non da requie all'avversario, lascia capire che i cristiani agiscono così perché i giusti e gli onesti non li seguono, ed allora debbono rifarsi - per avere seguaci -"agli uomini più empi e più depravati" (13). Per concludere, il Dio dei cristiani è fallace, la setta è oscura e se l'Onnipotente vuoi trasmettere i suoi messaggi lo fa in altri modi: per mezzo degli Astri, ad esempio, che sono Dèi visibili; e poi, la natura tutta (14). I fulmini, la calura, le piogge, i tuoni, i frutti, e tutto ciò che nasce. Immanenza nella trascendenza, rispecchiando chiaramente il principio teologico platonico, sposato allo stoicismo. Per secoli Celso venne obliato, ed il suo verbo gettato alle ortiche.
Ora per la prima volta la verità antica prende consistenza ed acquista il sapore di una condanna verso coloro che in tanti secoli hanno fatto schiavi gli uomini in nome di uno pseudo Dio umano che qualunque filosofia avrebbe condannato, perché contrario alla ragione ed all'ordine delle cose.
Antonino De Bono
(1) Celso, "II discorso vero", ed. Adelphi, Milano, 1987, intr. Giuliana Lanata, pag. 10.
(2)ib. pag. 18 (37 Ìb. pag. 16
(4) ib.
(5) ib. pagg. 27-28
(6) Celso, op. cit. I, fr. 33, pag. 66
(7) op. cit. note, pag. 187
(8) op. cit. I, fr. 68, pag. 69
(9) op. cit. II, fr. 44, pag. 77
(10) op. cit. II, fr. 63, pag. 80
(11) Origene, "Commento al Vangelo di Giovanni" a cura di Eugenio Corsini, Utet, Torino, 1968, pagg. 19-20
(12) Celso, op. cit. II, fr. 59, pagg. 89-90
(13) op. cit. Ili, fr. 65, pag. 90
(14) op. cit. V, fr. 6, pag. 107
Nota: l'opera citata "Bhagwan, il Dio che falli" di Hugh Milne, è stata pubblicata da Armenia Editore, Milano, 1987.
Gesù "... a quanto affermano, era piccolo, brutto e volgare" (cfr. Cel-so, "II discorso vero", a cura di Giuliana Lanata, ed. Adelphi, Milano, 1987, libro VI, fr. 75,pag. 134). Dice la Lanata nelle note: "la bruttezza e la meschinità della figura di Cristo erano accettate nel cristianesimo primitivo sulla base di Is., 52,14; 53, 2-3. Secondo Paolo, Fil., 2,7, Cristo avrebbe preso l'aspetto (morphé) di uno schiavo", op. cit. pag. 234.
Uno dei più antichi volti di Gesù, il "Christus Docens", prima metà del sec. Ili, pittura murale. Roma, ipogeo degli Aureli (riproduzione ad acquerello): da "Enciclopedia Universale dell'Arte", voi. IV. tav. 77.
I recenti studi nel campo religioso, storico e filologico hanno messo in luce talune verità che i cristiani hanno cercato di nascondere o di travisare totalmente. Tutti i principali scritti degli autori pagani contro Gesù sono stati distrutti, o, in molti casi, alterati e falsificati. Di recente ha visto la luce "II discorso vero" di Celso: una ricostruzione del suo pensiero e del suo scritto contro Gesù, accusato di essere un simulatore, tratto da Origene (f 'Contro Celso1'), in modo da accostarne i frammenti e trame un nesso logico. Tale è stato il livore dei cristiani che persino di Celso si sono perse le tracce. Ed ancora oggi non si sa con precisione chi egli sia stato. Sembra che due filosofi epicurei di tale nome fossero vissuti sotto Nerone prima, e poi all'epoca di Adriano. Ma si conosce il nome di un altro Celso che scrisse libri contro le pratiche magiche. E si sa ancora di un altro Celso che scrisse due libri contro i cristiani.
Comunque, pare assodato, ci dice Giuliana Lanata, che ha curato la traduzione ed il commento de "II discorso vero" di Celso (ed. Adelphi, Milano, 1987) che il Celso di cui ci occupiamo fosse un filosofo medioplatonico. Scrive la Lanata con sottile arguzia: 'Ter noi egli è solo un nome, il nome dell'autore di un libro arrivato fino a oggi solo per un'ironia, o un'astuzia, della Storia. Esso infatti non è tramontato in modo completo e attraverso una tradizione manoscritta indipendente: l'esemplare o gli esemplari che ne circolavano nel mondo antico furono probabilmente vittime di una caduta d�interesse conseguente all�affermazione del cristianesimo, sia gli interventi con cui l�Impero Romano cristianizzato cercò di assicurare la distruzione dei libri della parte soccombente" (1). Dal contesto si potrebbe arguire (e ci riferiamo al frammento Vili) che il "Discorso vero" di Celso sia stato composto sotto il regno di Marco Aurelio e di Commodo (congiunto dal 171 al 180).
Si tenga presente che l'opera di confutazione di Origene, "Contro Celso", presumibilmente venne scritta tra il 247 ed il 249.
Celso trasse le sue notizie, in parte dall'evangelio di Mat-teo, in parte da fonti giudai-che non cristiane, e da altre che ci sfuggono. In sostanza egli da di Cristo la descrizione del falso profeta, così come Luciano aveva fatto con Alessandro di Abuno-tico.
Egli fornisce, in sostanza, di Gesù di Nazareth alcuni dati che intendono illuminare il retroscena della nascita, chiarire il comportamento dei genitori e mettere in risalto il periodo della predicazione e del-la sua vita avventurosa. Insomma, secondo Celso, dice sempre la Lanata: "Gesù si era rivelato uno stregone, un gòes, ossia, nel linguaggio del tempo di Celso, un uomo di dubbia reputazione che compiva o pretendeva di compiere miracoli e di garantire salute o salvezza sulla base di incantesimi e di pratiche magiche: insomma un impostore" (2). Logicamente il filosofo mette in risalto che di questo passo si potevano ipotizzare uomini divini forniti dalla tradizione. Ma costoro erano apparizioni di Dèi o di Dèmoni, anche se al momento rivestivano forma umana. Eroi che aspiravano, con la morte, a confondersi con la divinità, acquistando poteri paranormali. Anche Filostrato, più avanti nella storia, ben oltre Celso, dirà di Apollonio di Tiana (all'epoca di Domiziano) ch'egli aveva veramente poteri sovrumani. E verrà dai pagani opposto a Gesù di Nazareth.
Porfirio, nella sua opera "Contro i Cristiani", ripete le accuse di Celso. Ma la sua opera composta di quindici libri venne lapidata, e se ne conservano solo frammenti. In sostanza, ogni setta cerca sempre di presentare il proprio profeta di turno come l'ispirato, l'illuminato, il figlio di Dio, se non addirittura il Dio in terra.
È recente la pubblicazione (1986) dei ricordi di Hugh Milne ("II Dio che fallì") che fu il capo delle guardie di sicurezza di Bhagwan Shree Rajneesh a Poona (in India) e poi nell'Oregon (negli Stati Uniti), il famoso guru che sviluppò il tantrismo come via all'illuminazione: un itinerario spirituale.
Egli ci da la visione totale di come si crea un Dio. Le illusioni, i suggerimenti, la farneticazione della propaganda fi-de, e poi, il fanatismo delle masse.
Bhagwan Shree Rajneesh crollò non perché non fosse degno di essere un maestro spirituale, ma perché le sue segretarie esagerarono nell'ammassare gioie e dollari, automobili di lusso e poderi, trattando da schiavi i poveri illusi che rivestivano la veste arancione. Eppure la dottrina era giusta!
Come è fallito un Dio?
Che bisogno c'era, lascia capire Celso, di reputarlo un Dio quando "in base alle testimonianze stesse dei suoi adepti, al più screditato dei taumaturghi itineranti e dei presunti operatori di miracoli" (3) risulta accertato che in fondo" il "Cristo non è un Dio, ma solo un mago, e della peggiore specie" (4).
Questa è in sintesi il tema del suo discorso, anche se l'abbiamo evidenziato dal contesto della Lanata.
Quando i cristiani se la prendevano con i pagani per i loro miti, era chiaro per Celso che ci si riferiva ad un periodo -diciamo noi - prelogico, in cui l'allegoria dominava sovrana. E non s'era mai visto che un Dio mandasse il proprio figlio, sconvolgendo l'ordine cosmico e l'immanenza delle cose, per accondiscendere alle attese messianiche di una parte minima dei giudei, visto che gli stessi ebrei non credevano alla divinità di Cristo, e stigmatizzavano la sua opera. In fondo, lascia capire Celso, tutti gli enigmi delle religioni iniziatiche, come i misteri di Mithra, si rifacevano a concetti irrazionali; in sostanza: ad una "comunicazione allusiva",
'"I Cristiani pretendevano di sostituirsi a tutta la tradizione, sia a quella giudaica da cui provenivano, sia a quella ellenistica in cui si stavano installando; e al contempo si appropriavano, in modo distorto e contraffatto, di tutto il meglio che il passato poteva offrire, tentavano di rivendicare al cristianesimo l'intero patrimonio della tradizione giudaica e di quella ellenistica. E questo suscitava lo sdegno di Celso" (5).
Era chiaro per Celso che il modo di comportarsi dei cristiani, che si opponevano a sacrificare alla statua dell'imperatore, sprezzavano le leggi di Roma, si rifiutavano di giurare nel nome dei Cesari, era asociale, sedizioso ed anticostituzionale al massimo.
Allorché il proconsole d'Africa Saturnino sta giudicando uno degli Scillitani, alle argomentazioni di costui, esclama alla fine spazientito: "Anche noi siamo religiosi!" (Atti degli Scillitani, 3) per sottolineare come la pazienza avesse un limite, e che i cristiani non avevano scoperto nulla di nuovo in fatto di religiosità.
Ma lasciamo tutte le sottigliezze teologiche per addentrarci nella figura di Gesù di Nazareth, così come lascia intravvedere Celso. Abbiamo messo in risalto come i frammenti ci siano giunti attraverso l'opera di Origene, che li cita per confutarli. Ebbene, nel primo libro, frammento 28, dice chiaramente Celso come Gesù si sia inventato il fatto d'essere nato da una vergine. Aggiunge che ha visto la luce in un villaggio della Giudea, e che sua madre era una filatrice che si era accasata con un carpentiere. E che costui la scacciò per adulterio. Pare assodato che il futuro messia nascesse da un soldato, certo Panthera, e che il suo noviziato venne compiuto in Egitto dove apprese le arti magiche, ..." e insuperbito per questi poteri, proprio grazie ad essi ti sei proclamato figlio di Dio" (6). Da iscrizioni latine risulta come tale soprannome sia tipico di soldati romani ch'erano stanziati in Palestina. Anzi, l'appellativo di Ben Pondera lo si ritrova nella traduzione talmudica (7).
Il fatto che Celso ritenga Gesù esperto nelle arti magiche, perché vissuto in Egitto, fa parte della tradizione biblica (cfr. Esodo, 7, 11-12). Anche Luciano inserisce immagini magiche egizie e prodigi nella sua opera "L'amico della menzogna" (33 sg.). Ed è proprio per vari accostamenti ed analogie che c'è chi ritiene Celso il personaggio amico di Luciano, filosofo epicureo, che aveva composto un'opera contro la magia ed era appassionato studioso di problemi culturali - diciamo impropriamente - esoterici. Per Celso, Gesù è un impostore che si inventa tutto, e che non ha un gran seguito. Dieci od undici seguaci che poi lo rinnegheranno (libro I, frammento 62, libro II, frammento 12).
Ammesso che siano veri i miracoli, le guarigioni, le resurrezioni, la moltiplicazione dei pani, (sempreché non siano "fanfaronate" dei seguaci), c'è una evidente analogia con quanto fanno gli stregoni. E c'è bisogno per tutto questo clamore di proclamarsi figli di Dio? "O non bisogna dire piuttosto che queste sono pratiche di uomini spregevoli e posseduti da demoni malvagi?" (8).
Accusa poi i cristiani di aver preparato a bella posta la sua onniscienza e la sua onniveggenza. Egli sapeva tutto, aveva previsto tutto ciò che gli sarebbe accaduto (libro II, fram. 13, 15, 16, 17, 18, 19, 20 sgg.).
"Perché con altrettanta sfrontatezza anche sul conto di un bandito o di un assassino raggiunto dalla giustizia si potrebbe affermare che non era affatto un bandito, ma un Dio; infatti aveva predetto ai suoi compari che gli sarebbe successo quel che appunto gli successe" (9).
Celso poi si diverte a ricordare che altri riferirono di essere risorti dopo la morte. E cita il caso di Scizia di Zaimoxis (schiavo di Pitagora), dello stesso Pitagora, e di Rampsi-nito in Egitto. Ma che addirittura siano risorti col corpo - lascia intendere Celso - questa pare un po' grossa.
Insomma i cristiani cercano di darla a bere che quello che dicono gli altri siano favole, ma che quello che è successo al loro Gesù è vero.
Riassumiamo con nostre parole, ma questo è il senso che traluce tra rigo e rigo.
Non crede, dunque, alla resurrezione (vista da pochi fedeli, tra i quali la Maddalena), perché "Se Gesù voleva davvero manifestare un potere divino, avrebbe dovuto farsi vedere da quelli che lo avevano oltraggiato e da chi lo aveva condannato: in una parola, da tutti" (10).
In sostanza, tutta la polemica di Celso è una demolizione totale di taluni princìpi cristiani, l'incarnazione e la redenzione, per far capire come appaia assurdo che un Dio, ch'è inaccessibile ed inconoscibile, senta la necessità di mandare suo figlio per redimere l'umanità. Ragionamento fuori della ragione (infatti i cristiani sosterranno che solo per fede bisogna credere) che "appare insostenibile al platonico Celso, per il quale la rivelazione contenuta nella Scrittura altro non è che un cumulo di grossolani antropomorfismi. Decisamente assurda gli pare la credenza nell'incarnazione: i fatti della vita di Gesù sono da Celso passati al vaglio di una critica corrosiva - scrive Eugenio Corsini (11) - che attinge da una parte all'arsenale della letteratura anticristiana del giudaismo e dall'altra al razionalismo filosofico ellenistico. L'ideale di Celso rimane quello di un universo rigidamente gerarchico, in cui alla gerarchia divina, incentrata su un Dio, sommo con molte divinità minori intermediarie tra lui e il mondo, corrisponde quella di un impero sempre più avviato sulla via dell'assolutismo, con l'imperatore in funzione di rappresentante del Dio sommo sulla terra, a cui fanno capo i governatori quali rappresentanti dei vari popoli dell'impero e delle loro divinità".
Celso se la prende poi col programma.
È veramente rivoluzionario perché fa leva sui diseredati. A chi si rivolgono i cristiani? "Se uno è peccatore, se è incapace di capire, se è puerile, se, in una parola, è un disgraziato, il regno di Dio lo accoglierà". Forse voi non chiamate peccatore l'ingiusto, il ladro, lo scassinatore, lo spacciatore di filtri, lo spogliatore di templi, il violatore di tombe? Chi altri tipi di persone convocherebbe un pirata con un suo bando?" (12). Tutto il cristianesimo è "spirito di rivolta" (cfr. libro II, 5-10; libro Vili, 2 e 14-15; Vili, 49).
Come si vede Celso non aveva peli sulla lingua, e la sua dialettica incalza, non da requie all'avversario, lascia capire che i cristiani agiscono così perché i giusti e gli onesti non li seguono, ed allora debbono rifarsi - per avere seguaci -"agli uomini più empi e più depravati" (13). Per concludere, il Dio dei cristiani è fallace, la setta è oscura e se l'Onnipotente vuoi trasmettere i suoi messaggi lo fa in altri modi: per mezzo degli Astri, ad esempio, che sono Dèi visibili; e poi, la natura tutta (14). I fulmini, la calura, le piogge, i tuoni, i frutti, e tutto ciò che nasce. Immanenza nella trascendenza, rispecchiando chiaramente il principio teologico platonico, sposato allo stoicismo. Per secoli Celso venne obliato, ed il suo verbo gettato alle ortiche.
Ora per la prima volta la verità antica prende consistenza ed acquista il sapore di una condanna verso coloro che in tanti secoli hanno fatto schiavi gli uomini in nome di uno pseudo Dio umano che qualunque filosofia avrebbe condannato, perché contrario alla ragione ed all'ordine delle cose.
Antonino De Bono
(1) Celso, "II discorso vero", ed. Adelphi, Milano, 1987, intr. Giuliana Lanata, pag. 10.
(2)ib. pag. 18 (37 Ìb. pag. 16
(4) ib.
(5) ib. pagg. 27-28
(6) Celso, op. cit. I, fr. 33, pag. 66
(7) op. cit. note, pag. 187
(8) op. cit. I, fr. 68, pag. 69
(9) op. cit. II, fr. 44, pag. 77
(10) op. cit. II, fr. 63, pag. 80
(11) Origene, "Commento al Vangelo di Giovanni" a cura di Eugenio Corsini, Utet, Torino, 1968, pagg. 19-20
(12) Celso, op. cit. II, fr. 59, pagg. 89-90
(13) op. cit. Ili, fr. 65, pag. 90
(14) op. cit. V, fr. 6, pag. 107
Nota: l'opera citata "Bhagwan, il Dio che falli" di Hugh Milne, è stata pubblicata da Armenia Editore, Milano, 1987.
Gesù "... a quanto affermano, era piccolo, brutto e volgare" (cfr. Cel-so, "II discorso vero", a cura di Giuliana Lanata, ed. Adelphi, Milano, 1987, libro VI, fr. 75,pag. 134). Dice la Lanata nelle note: "la bruttezza e la meschinità della figura di Cristo erano accettate nel cristianesimo primitivo sulla base di Is., 52,14; 53, 2-3. Secondo Paolo, Fil., 2,7, Cristo avrebbe preso l'aspetto (morphé) di uno schiavo", op. cit. pag. 234.
Uno dei più antichi volti di Gesù, il "Christus Docens", prima metà del sec. Ili, pittura murale. Roma, ipogeo degli Aureli (riproduzione ad acquerello): da "Enciclopedia Universale dell'Arte", voi. IV. tav. 77.