Corriere della Sera, 19/01/2008
Il simbolo Come i pittori hanno interpretato il petto femminile
Dalle Madonne alle muse anoressiche Il seno in pittura ha svelato la Storia
Le «Vergini del Latte», poi la sensualità barocca. E con Munch l'eros è ossessione
Il seno nudo nell'arte? Mai stato un problema. Caso mai, una questione di misure. Secondo Federico Luigini da Udine, che scriveva negli anni 40 del Cinquecento, le forme ideali dei seni dovevano essere «piccole, tonde, sode e crudette, e tutte simili a due rotondi e dolci pomi». Non c'era alcun imbarazzo, nel Rinascimento imbevuto di cultura classica, nel redigere tali ideali muliebri. Del resto il più antico genere di rappresentazione della Vergine col bambino, la «Madonna del Latte», risalente fino al III secolo, mostra Maria che offre una mammella al piccolo Gesù. Il seno era simbolo della misericordia, della divinità pietosa che accudisce, come già lo era stato nelle rappresentazioni pagane della dea egizia Iside mentre allattava il figlio Oro o di Giunone che con il suo latte assicurò l'immortalità a Ercole. Bernardo da Chiaravalle, che nel XII secolo si dedicò ad incoraggiare il culto mariano, veniva spesso rappresentato nella scena del Miracolo della Lattazione, mentre riceve lo schizzo del latte di Maria.
La devozione medievale per la Vergine si estese prima alla venerazione per la donna angelicata e poi, in certi ambienti sofisticati come quello di corte, fuse sacro e mondano senza trovare contraddizione. Un'immagine di passaggio può essere quella di Jean Fouquet: la sua Madonna col Bambino oggi al Musée Royal des Beaux-Arts di Anversa, con un seno rotondo che esce prorompente dal corpetto slacciato, fu dipinta intorno al 1450 per l'ufficiale di corte di Carlo VII Etienne Chevalier e il volto è probabilmente quello di Agnès Sorel, favorita del re, nota per gli abiti che le lasciavano scoperto il seno.
Furono le raffinatezze della cultura cinquecentesca a introdurre la componente erotica che raggiunse il suo apice nel castello di Fontainebleau pullulante di dame dipinte a seno scoperto. Ma di simili donne se ne trovavano in abbondanza anche in palazzi e chiese meno sontuosi: impersonavano l'Amore sacro, la Verità, la Misericordia, la Carità, Sant'Agata (martirizzata con il taglio delle mammelle) o Maria Maddalena. Quest'ultima divenne un ottimo pretesto per raffigurare sotto mentite spoglie religiose un soggetto via via reso in maniera sempre più erotica secondo il fortunato e plurireplicato modello tizianesco dove i seni si intravedono attraverso lunghi capelli.
Le Veneri, le Flore, le Danae diventarono soggetti molto richiesti e i pittori veneti, da Tiziano a Palma, ne offrirono le prove più sensuali. Ma anche Correggio non fu da meno, così come Raffaello che dipinse la propria amante, la Fornarina, in un provocante ritratto a seno scoperto.
Chi invece si trovava in difficoltà era Michelangelo: a lui le donne proprio non piacevano e quando le scolpiva, per esempio nelle statue de «La Notte» e «L'Aurora», applicava dei seni che sembrano aggiunte estranee su corpi mascolini.
Cagnacci, invece, era un maestro nel genere. Da generazioni, nel gergo degli studenti universitari di storia dell'arte è il «pittore delle tette». Facile, quando il professore sottopone per l'attribuzione l'immagine di una Cleopatra o di un'Europa, evocare subito il nome del pittore romagnolo se i seni appaiono più turgidi e invitanti di quelli solitamente ammessi dai canoni delle proporzioni classiche. Quelle bellezze vivaci, per nulla idealizzate, non possono confondersi con le dee esangui di Guido Reni, troppo perfette per essere vere, ma nemmeno con le bionde ragazze di Tiziano che, pur essendo sensuali, rimangono però sempre regine inarrivabili. Le Cleopatre, le Lucrezie, le Sante Mustiole di Cagnacci, invece, per quanto alto fosse stato il loro rango nella storia, tradiscono la robustezza e la spensieratezza accessibile delle modelle romagnole, felici di donarsi agli sguardi, come tante felliniane Gradische.
Però, se tale floridezza ha e aveva i suoi estimatori — per esempio il cardinale Flavio Chigi o Louis d'Orléans — tuttavia a Cagnacci costò la perdita delle committenze ecclesiastiche. Dopo il Concilio di Trento (1563) tutti i nudi di cui si erano riempite le chiese furono infatti rivestiti o banditi e a Cagnacci non restò che lavorare per i collezionisti privati. Rubens fu suo degno rivale, ma l'esuberanza delle maggiorate del pittore fiammingo segnò il declino del modello. Dopo di lui, nel '700 prevalse il genere «vezzosa», tutto ciprie rosa e azzurre, alla Boucher, e i seni poco per volta si appiattirono fino ad arrivare alle misure anoressiche amate da Schiele. Più che di carne, l'erotismo divenne un fatto di testa, e la donna un veleno. Così i piccoli seni della «Madonna» di Edvard Munch finirono per non avere più nulla di salvifico o misericordioso e per incarnare piuttosto la paura della sessualità. Infine, non più santo, né divino, né sottilmente erotico, con il crepuscolo degli dei, il seno femminile si è avviato a diventare oggetto: tornato prorompente, è diventato icona pop pronta per la mercificazione della pubblicità.
Il simbolo Come i pittori hanno interpretato il petto femminile
Dalle Madonne alle muse anoressiche Il seno in pittura ha svelato la Storia
Le «Vergini del Latte», poi la sensualità barocca. E con Munch l'eros è ossessione
Il seno nudo nell'arte? Mai stato un problema. Caso mai, una questione di misure. Secondo Federico Luigini da Udine, che scriveva negli anni 40 del Cinquecento, le forme ideali dei seni dovevano essere «piccole, tonde, sode e crudette, e tutte simili a due rotondi e dolci pomi». Non c'era alcun imbarazzo, nel Rinascimento imbevuto di cultura classica, nel redigere tali ideali muliebri. Del resto il più antico genere di rappresentazione della Vergine col bambino, la «Madonna del Latte», risalente fino al III secolo, mostra Maria che offre una mammella al piccolo Gesù. Il seno era simbolo della misericordia, della divinità pietosa che accudisce, come già lo era stato nelle rappresentazioni pagane della dea egizia Iside mentre allattava il figlio Oro o di Giunone che con il suo latte assicurò l'immortalità a Ercole. Bernardo da Chiaravalle, che nel XII secolo si dedicò ad incoraggiare il culto mariano, veniva spesso rappresentato nella scena del Miracolo della Lattazione, mentre riceve lo schizzo del latte di Maria.
La devozione medievale per la Vergine si estese prima alla venerazione per la donna angelicata e poi, in certi ambienti sofisticati come quello di corte, fuse sacro e mondano senza trovare contraddizione. Un'immagine di passaggio può essere quella di Jean Fouquet: la sua Madonna col Bambino oggi al Musée Royal des Beaux-Arts di Anversa, con un seno rotondo che esce prorompente dal corpetto slacciato, fu dipinta intorno al 1450 per l'ufficiale di corte di Carlo VII Etienne Chevalier e il volto è probabilmente quello di Agnès Sorel, favorita del re, nota per gli abiti che le lasciavano scoperto il seno.
Furono le raffinatezze della cultura cinquecentesca a introdurre la componente erotica che raggiunse il suo apice nel castello di Fontainebleau pullulante di dame dipinte a seno scoperto. Ma di simili donne se ne trovavano in abbondanza anche in palazzi e chiese meno sontuosi: impersonavano l'Amore sacro, la Verità, la Misericordia, la Carità, Sant'Agata (martirizzata con il taglio delle mammelle) o Maria Maddalena. Quest'ultima divenne un ottimo pretesto per raffigurare sotto mentite spoglie religiose un soggetto via via reso in maniera sempre più erotica secondo il fortunato e plurireplicato modello tizianesco dove i seni si intravedono attraverso lunghi capelli.
Le Veneri, le Flore, le Danae diventarono soggetti molto richiesti e i pittori veneti, da Tiziano a Palma, ne offrirono le prove più sensuali. Ma anche Correggio non fu da meno, così come Raffaello che dipinse la propria amante, la Fornarina, in un provocante ritratto a seno scoperto.
Chi invece si trovava in difficoltà era Michelangelo: a lui le donne proprio non piacevano e quando le scolpiva, per esempio nelle statue de «La Notte» e «L'Aurora», applicava dei seni che sembrano aggiunte estranee su corpi mascolini.
Cagnacci, invece, era un maestro nel genere. Da generazioni, nel gergo degli studenti universitari di storia dell'arte è il «pittore delle tette». Facile, quando il professore sottopone per l'attribuzione l'immagine di una Cleopatra o di un'Europa, evocare subito il nome del pittore romagnolo se i seni appaiono più turgidi e invitanti di quelli solitamente ammessi dai canoni delle proporzioni classiche. Quelle bellezze vivaci, per nulla idealizzate, non possono confondersi con le dee esangui di Guido Reni, troppo perfette per essere vere, ma nemmeno con le bionde ragazze di Tiziano che, pur essendo sensuali, rimangono però sempre regine inarrivabili. Le Cleopatre, le Lucrezie, le Sante Mustiole di Cagnacci, invece, per quanto alto fosse stato il loro rango nella storia, tradiscono la robustezza e la spensieratezza accessibile delle modelle romagnole, felici di donarsi agli sguardi, come tante felliniane Gradische.
Però, se tale floridezza ha e aveva i suoi estimatori — per esempio il cardinale Flavio Chigi o Louis d'Orléans — tuttavia a Cagnacci costò la perdita delle committenze ecclesiastiche. Dopo il Concilio di Trento (1563) tutti i nudi di cui si erano riempite le chiese furono infatti rivestiti o banditi e a Cagnacci non restò che lavorare per i collezionisti privati. Rubens fu suo degno rivale, ma l'esuberanza delle maggiorate del pittore fiammingo segnò il declino del modello. Dopo di lui, nel '700 prevalse il genere «vezzosa», tutto ciprie rosa e azzurre, alla Boucher, e i seni poco per volta si appiattirono fino ad arrivare alle misure anoressiche amate da Schiele. Più che di carne, l'erotismo divenne un fatto di testa, e la donna un veleno. Così i piccoli seni della «Madonna» di Edvard Munch finirono per non avere più nulla di salvifico o misericordioso e per incarnare piuttosto la paura della sessualità. Infine, non più santo, né divino, né sottilmente erotico, con il crepuscolo degli dei, il seno femminile si è avviato a diventare oggetto: tornato prorompente, è diventato icona pop pronta per la mercificazione della pubblicità.