Sunday, January 27, 2008

«Divino etere e voi venti dalle ali veloci,/ sorgenti dei ...

«Divino etere e voi venti dalle ali veloci,/ sorgenti dei ...

«Divino etere e voi venti dalle ali veloci,/ sorgenti dei fiumi e tu delle onde marine/ infinito sorriso; grande madre terra,/ e cerchio del sole che tutto abbraccia, io vi invoco:/ vedete quali pene io, un dio, patisco per mano di dei». Incatenato a una roccia sui monti del Caucaso per ordine di Zeus, Prometeo, colpevole di aver rubato il fuoco agli dei per donarlo agli uomini e per questo condannato a un eterno supplizio, così si rivolge ai vari elementi della natura nell’omonima tragedia eschilea. Ma per primo invoca il cielo, ampio orizzonte luminoso e numinoso, che da sempre è al centro del mito e della scienza. Se il cielo dei miti è stato da tempo immemorabile un punto nodale della nostra vita, il cielo dell’astronomia (e dell’astrofisica) pare stia prepotentemente tornando di moda. Assetato di mistero e d’immenso non meno dei suoi antenati, l’uomo di oggi chiede al cielo risposte e suggerimenti, non meno che visioni e suggestioni. Forse sa che non crederà fino in fondo a quanto andrà scoprendo, ma non può sottrarsi al fascino dell’indefinito dipinto in grande, «la stanza smisurata e superba» e «quel profondo infinito seren». Il mito tenta, come la scienza, di spiegare l’inspiegabile, ma le sue spiegazioni, a differenza di quelle della scienza, possono essere considerate e riconsiderate alla luce di innumerevoli chiavi di lettura, così da offrire una realtà sempre viva e attuale. Nessuna migliore illustrazione di questo pensiero del bellissimo e dottissimo libro di Giulio Giorello Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del mito (Raffaello Cortina). L’autore si cimenta nell’impresa puntigliosamente astorica, e quindi transtorica, di rintracciare le apparizioni e le trasfigurazioni di alcuni miti portanti della nostra tradizione culturale attraverso i tempi e i testi, con una decisa predilezione per gli autori anglosassoni, da Percy Bysshe Shelley e sua moglie Mary Shelley, a James Joyce ed Ezra Pound, senza tuttavia dimenticare il suo Giordano Bruno.
Pochi miti sono stati nei secoli visitati e rivisitati come quello di Prometeo, simbolo di eroica ribellione contro l’ordine costituito e di ardimento estremo. «Tutto mi era chiaro fin dall’inizio. Di mia scelta, di mia scelta ho peccato» dirà ancora il Prometeo di Eschilo alle figlie di Oceano. Creatura generosa e lungimirante, come vuole il suo nome, e allo stesso tempo sconsiderato fino al sacrificio estremo, costui incarna una delle doppiezze insite nell’animo umano: la bramosia e nello stesso tempo la paura del nuovo, il Prometeo della classicità e la sua maschera tardoromantica, il dottor Frankenstein.
Significativa e ammiccante la versione che del mito dell’origine dà Platone nel Protagora . Dopo aver plasmato gli animali «facendo una mescolanza di terra e di fuoco», gli dei affidarono al fratello di Prometeo, Epimeteo, il compito di distribuire loro le varie facoltà naturali. Costui si affretta a distribuire qua e là tutte le doti biologiche, finché si accorge, arrivato all’uomo, di non averne più nessuna a disposizione. Tutti gli animali insomma avevano avuto qualcosa di essenziale per la loro sopravvivenza - chi la velocità, chi la forza, chi le ali, chi gli artigli e le zanne - «mentre l’uomo era nudo, scalzo, scoperto e inerme». Davanti a tale spettacolo, Prometeo si sente in dovere di offrire agli umani qualcosa di sostitutivo, come la sapienza tecnica, attraverso il dono del fuoco e delle tecnologie a esso associate, che andrà a trafugare dalla dimora degli dei. «In tal modo, l’uomo ebbe la sapienza tecnica necessaria per la vita», ma non ebbe la sapienza civile e politica, perché quando tornò per prendere anche questa, Prometeo trovò sbarrate le porte dell’empireo...
Non c’è dubbio che il nostro tempo sia figlio della diffusione e della progressiva crescita di quella sapienza tecnica e nello stesso tempo vittima sacrificale dell’assenza di una vera sapienza politica e di una saggezza civile. Siamo sempre più capaci, ma non più umani. Migliorare tecnicamente e scientificamente è facile; migliorare interiormente no. A meno di non provare a utilizzare la nostra conoscenza tecnica per trasformare la nostra interiorità, in una manifestazione estrema di hùbris prometeica.
E veniamo al cielo dell’astronomia. Sono usciti in questo periodo diversi bei libri che parlano delle conquiste e delle sorprese di questa scienza antica e sempre giovane. Tra questi voglio ricordarne almeno due che prendono per mano il lettore, lo conducono alla scoperta degli astri e delle loro avventure e che lo portano diversamente lontano. Da un lato Le sette meraviglie del cosmo di Jayant Narlikar (Codice Edizioni); dall’altro La segreta geometria del cosmo di Jean-Pierre Luminet (Raffaello Cortina).
Nella prima opera un astrofisico di origine indiana molto noto e decisamente portato per la divulgazione ci introduce a tutte le questioni più interessanti e rilevanti dell’astronomia di ieri e di oggi, trattando con mano leggera ma sicura una varietà impressionante di temi, dal motivo per il quale il cielo è azzurro a quello per il quale noi vediamo tremare la luce delle stelle, dal cosiddetto paradosso dei gemelli alle curiose proprietà della materia oscura. Non riesco francamente a immaginare un testo che possa appagare meglio di questo il desiderio di informarsi sulle questioni fondamentali della scienza degli astri senza compiere uno sforzo eccessivo.
Di natura e impegno molto diversi è il libro di Luminet. Più che dei corpi e degli eventi del cosmo, qui si parla della sua struttura, cioè delle forme dello spazio e del tempo e della loro relazione con la presenza di materia ed energia. Si tratta di un libro di geometria celeste, splendidamente concepito e confezionato, che culmina con l’illustrazione di un particolare modello, detto dodecaedrico, della struttura dello spazio-tempo proposto molto di recente dall’autore. Secondo questo modello, attraverso un magico gioco di specchi, la struttura «a pallone da calcio» dello spazio-tempo ci farebbe apparire l’universo più grande di quanto sia in realtà. Giunta a certi livelli, la scienza rivaleggia con il mito in quanto a grandiosità e complessità delle spiegazioni che offre.
Si dice spesso che l’uomo moderno ha bisogno di risposte. Di risposte in realtà ne ha avute tante, anche soltanto da parte della scienza. Il problema è che queste non gli piacciono. Ha avuto il fuoco, ma non l’ha interiorizzato. Nonostante tutto, ha ancora «lo sguardo fisso alla sua ultima ora» per usare sempre un’espressione del Prometeo di Eschilo, supremo monumento di poesia e di sofferta saggezza.


"Corriere della Sera" 5.12.2004
Cultura