Repubblica 3.1.08
La scienza. Così i rimpianti fanno ammalare
di Benedict Carey
È difficile sopportare le proprie rinunce. Gli psicologi: pensate alle cose positive
Le scelte perdute fanno ammalare corpo e mente
Pensare sempre a ciò che si è perduto conduce soltanto in un vicolo cieco
Da una quindicina di anni a questa parte gli psicologi stanno studiando in che modo i rimpianti piccoli e grandi, recenti e lontani possano influire sul benessere mentale delle persone. Hanno dimostrato che recriminare sulle strade che non si sono scelte è un esercizio emotivamente logorante e sterile. Pare che altrettanto vero, quanto meno nel lungo periodo, sia ciò che in fatto di rimpianti è risaputo, ovvero che a fare più male è ciò che non si è fatto.
La festa di fine anno ideale dovrebbe prevedere un voucher psicologico da utilizzare il giorno seguente per una sessione post-mortem con gli amici. Una chance per assaporare le figuracce della serata, scommettere su chi è andato a casa con chi, eleggere l´ospite che ha maggiormente bisogno di entrare in terapia, presenti inclusi. Un´opportunità per prevenire il tradizionale tracollo del mattino dopo nell´auto-analisi. Lì, dopo tutto, si aggirano veri fantasmi, quelli della peggior specie, le versioni alternative del nostro Io. L´Io che non ha lasciato gli studi ed è arrivato alla laurea, per esempio. L´Io che è riuscito a far funzionare il proprio matrimonio. O l´Io che ha insistito a cantare, scrivere commedie e dipingere facendone una carriera. Alcuni psicologi chiamano questi fantasmi i "possibili Io perduti".
Da una quindicina di anni a questa parte gli psicologi stanno studiando in che modo i rimpianti - piccoli e grandi, recenti e lontani nel tempo – influiscono sul benessere mentale delle persone. Hanno dimostrato che ruminare sulle strade che non si sono scelte è un esercizio emotivamente logorante e sterile. Pare che altrettanto vero, quanto meno nel lungo periodo, sia ciò che in fatto di rimpianti è risaputo, ovvero che a fare più male è ciò che non si è fatto.
Tuttavia, studiando i possibili Io perduti gli psicologi sono arrivati a capire in modo più esaustivo ed esauriente in che modo i rimpianti plasmino la personalità. I ricercatori hanno scoperto che la gente ripensa ai propri errori passati o alle occasioni perdute in molti modi: alcuni tendono a fissarvisi e corrono un elevato rischio di soffrire di problemi d´umore, altri invece hanno imparato a ignorare i rimpianti e paiono vivere vite più a cuor leggero, anche se più superficiali. A metà strada tra questi comportamenti, vi sono poi coloro che camminano con circospezione sul campo minato delle scelte passate, dissotterrando con coraggio gli ordigni ancora innescati e facendo il possibile per disinnescare quelli ancora attivi.
Uno studio del 2003 della Concordia University di Montreal e dell´Università della California a Irvine ha evidenziato che i giovani adulti che avevano ottenuto un alto punteggio in fatto di misurazione del loro benessere psicologico tendevano a pensare alle decisioni rimpiante come a qualcosa di imputabile soltanto a loro stessi. Al contrario, i più anziani tendevano a rimpiangere alcune decisioni prese, secondo loro, insieme ad altri.
Laura A. King, psicologa dell´Università del Missouri, ha fatto descrivere ad alcuni soggetti il futuro che si immaginavano di avere prima che un evento alterasse il corso della loro vita, per esempio un divorzio. Da questa ricerca è emerso che coloro che erano in grado di scrivere o parlare del loro futuro perduto senza precipitare nella disperazione tendevano ad aver sviluppato un´altra qualità, detta complessità. La dottoressa King ha seguito per anni vari gruppi di persone, scoprendo che questa abilità ad auto-analizzarsi si sviluppa col tempo. I bravi terapeuti conoscono da sempre il valore che ha considerare le scelte rimpiante collocandole nel contesto di ciò che si è guadagnato, oltre che di ciò che si è perduto. «L´idea di fondo è quella di far sì che la gente prenda le distanze da quel ruminare continuo "se i miei genitori avessero fatto questo…se io non avessi fatto quell´altro, allora avrei davvero quello che voglio"» esemplifica il dottor Gary Kennedy, direttore del dipartimento di psichiatria geriatrica del Montefiore Medical Center nel Bronx. «Procedere così è come cacciarsi in un vicolo cieco».
Copyright New York Times-la Repubblica (Traduzione di Anna Bissanti)
La scienza. Così i rimpianti fanno ammalare
di Benedict Carey
È difficile sopportare le proprie rinunce. Gli psicologi: pensate alle cose positive
Le scelte perdute fanno ammalare corpo e mente
Pensare sempre a ciò che si è perduto conduce soltanto in un vicolo cieco
Da una quindicina di anni a questa parte gli psicologi stanno studiando in che modo i rimpianti piccoli e grandi, recenti e lontani possano influire sul benessere mentale delle persone. Hanno dimostrato che recriminare sulle strade che non si sono scelte è un esercizio emotivamente logorante e sterile. Pare che altrettanto vero, quanto meno nel lungo periodo, sia ciò che in fatto di rimpianti è risaputo, ovvero che a fare più male è ciò che non si è fatto.
La festa di fine anno ideale dovrebbe prevedere un voucher psicologico da utilizzare il giorno seguente per una sessione post-mortem con gli amici. Una chance per assaporare le figuracce della serata, scommettere su chi è andato a casa con chi, eleggere l´ospite che ha maggiormente bisogno di entrare in terapia, presenti inclusi. Un´opportunità per prevenire il tradizionale tracollo del mattino dopo nell´auto-analisi. Lì, dopo tutto, si aggirano veri fantasmi, quelli della peggior specie, le versioni alternative del nostro Io. L´Io che non ha lasciato gli studi ed è arrivato alla laurea, per esempio. L´Io che è riuscito a far funzionare il proprio matrimonio. O l´Io che ha insistito a cantare, scrivere commedie e dipingere facendone una carriera. Alcuni psicologi chiamano questi fantasmi i "possibili Io perduti".
Da una quindicina di anni a questa parte gli psicologi stanno studiando in che modo i rimpianti - piccoli e grandi, recenti e lontani nel tempo – influiscono sul benessere mentale delle persone. Hanno dimostrato che ruminare sulle strade che non si sono scelte è un esercizio emotivamente logorante e sterile. Pare che altrettanto vero, quanto meno nel lungo periodo, sia ciò che in fatto di rimpianti è risaputo, ovvero che a fare più male è ciò che non si è fatto.
Tuttavia, studiando i possibili Io perduti gli psicologi sono arrivati a capire in modo più esaustivo ed esauriente in che modo i rimpianti plasmino la personalità. I ricercatori hanno scoperto che la gente ripensa ai propri errori passati o alle occasioni perdute in molti modi: alcuni tendono a fissarvisi e corrono un elevato rischio di soffrire di problemi d´umore, altri invece hanno imparato a ignorare i rimpianti e paiono vivere vite più a cuor leggero, anche se più superficiali. A metà strada tra questi comportamenti, vi sono poi coloro che camminano con circospezione sul campo minato delle scelte passate, dissotterrando con coraggio gli ordigni ancora innescati e facendo il possibile per disinnescare quelli ancora attivi.
Uno studio del 2003 della Concordia University di Montreal e dell´Università della California a Irvine ha evidenziato che i giovani adulti che avevano ottenuto un alto punteggio in fatto di misurazione del loro benessere psicologico tendevano a pensare alle decisioni rimpiante come a qualcosa di imputabile soltanto a loro stessi. Al contrario, i più anziani tendevano a rimpiangere alcune decisioni prese, secondo loro, insieme ad altri.
Laura A. King, psicologa dell´Università del Missouri, ha fatto descrivere ad alcuni soggetti il futuro che si immaginavano di avere prima che un evento alterasse il corso della loro vita, per esempio un divorzio. Da questa ricerca è emerso che coloro che erano in grado di scrivere o parlare del loro futuro perduto senza precipitare nella disperazione tendevano ad aver sviluppato un´altra qualità, detta complessità. La dottoressa King ha seguito per anni vari gruppi di persone, scoprendo che questa abilità ad auto-analizzarsi si sviluppa col tempo. I bravi terapeuti conoscono da sempre il valore che ha considerare le scelte rimpiante collocandole nel contesto di ciò che si è guadagnato, oltre che di ciò che si è perduto. «L´idea di fondo è quella di far sì che la gente prenda le distanze da quel ruminare continuo "se i miei genitori avessero fatto questo…se io non avessi fatto quell´altro, allora avrei davvero quello che voglio"» esemplifica il dottor Gary Kennedy, direttore del dipartimento di psichiatria geriatrica del Montefiore Medical Center nel Bronx. «Procedere così è come cacciarsi in un vicolo cieco».
Copyright New York Times-la Repubblica (Traduzione di Anna Bissanti)