Wednesday, December 26, 2007

Apollo

Apollo, detto Febo, era – come Artemide – figlio di Zeus e di Leto o Latona.

Narravasi che perseguitata dalla gelosia di Era, la povera Leto fosse stata costretta a peregrinare di terra in terra prima di trovar un luogo sicuro dove dare alla luce i figli suoi. Finalmente ebbe ospitalità nell’isola di Delo, ed ivi alle falde del monte Cinto partorì Apollo (detto perciò Delio, Cinzio) ed Artemide. Delo che prima era un’isola non fissa, divenne d’allora in poi una stabile terra, perché Posidone la assicurò con potenti colonne al fondo del mare.

Febo-Apollo è il Dio raggiante, il Dio della benefica luce, il sole che vien fuori dal grembo della notte (Latona, la nascosta), e Delo, che vuol dire «quella che mostra» è il luogo per questa epifania della luce. E come la luce combatte e disperde le tenebre, così è naturale che Apollo pugnasse contro i tenebrosi nemici; la leggenda ce lo rappresenta fin da giovinetto in lotta contro il gigante Tizio (Tityos), nato dalla terra, che avendo osato offendere Leto fu da Apollo ucciso; e contro il serpente Pitone (Python) mostro parimenti nato dalla terra, che infestava la pianura di Crisa nelle vicinanze di Delfo. Una simile vittoria di un Dio contro un serpente, ricorre in tutte le mitologia, e simbolizza il trionfo del giorno sulle potenze delle tenebre. Apollo avendo colle sue frecce ucciso Pitone, n’ebbe il soprannome di Pizio, e Delfo divenne da allora in poi sede principale del culto di questo Dio.

Molte altre leggende si raccontavano di Apollo, tutte riferibili agli effetti della luce e del calore solare. E, per i benefizi da lui apportati alla vegetazione, Apollo era venerato corna Targello (Thargelios), il calore fecondo che matura i frutti della terra (di qui il nome del mese Targelione, o Maggio); era soprannominato da alcuni Sminteo (Smintheus, da srninthos, topo), come distruttore dei topi che rodono le biade; da altri Parnopio (Parnopios da parnops, cavalletta), perché difesa contro le cavallette.

Nota leggenda era quella che faceva Apollo servo pastore di Admeto re della Tessaglia, e di Laomedonte re della Troade; espressioni allegoriche della sorte cui sembrava condannato il sole nella stagione invernale, la quale pareva in certo modo esiliarlo e renderlo schiavo. Ma la buona stagione ritorna; e il Dio trionfante è detto vincitore del lupo, animale dei paesi freddi e che domina d’inverno; onde il soprannome di Apollo Licio (Lycius, da lycos, lupo). D’altra parte il sole estivo è pur dannoso alle bestie e alle piante col soverchio ardente calore. Espressione di questo pensiero è il mito di Giacinto (Hyacinthus) il bel giovane spartano, amato da Apollo per la sua straordinaria bellezza, e da lui ucciso con un involontario colpo di disco mentre giocava; dal sangue dell’ucciso, Apollo avrebbe fatto nascere il noto fiore che ne porta il nome (il disco del sole dissecca all’esterno la pianta, ma questa rigermoglia e rifiorisce). È adunque palese il significato naturale e il valore fisico di Febo-Apollo.

Di qui si spiegano anche le varie attribuzioni morali di Apollo. Egli è un Dio benefico e datore di ogni felicità ai mortali, ma ha anche il suo carattere bellicoso e funesto. È persino Dio della morte; manda pestilenze ed è cagione di morti improvvise. A Troia, quando i Greci negarono al suo sacerdote Crise i dovuti onori, Apollo si appostò lontano dalle navi, e per nove giorni volarono le sue pestifere saette nel campo greco seminando la morte e la desolazione. Però se apporta questi mali, Apollo sa anche guarirli; ed ecco riappare il carattere benefico del Dio; egli è anzi il Dio salutare per eccellenza, protettore degli armenti e degli uomini, quegli che allontana i mali, il medico; onde la leggenda lo fe’ padre di Asclepio o Esculapio e lo identificò con Peone il medico degli Dei. E non solo dei corpi, ma è anche medico delle anime, che ei guarisce dal male morale colle pratiche della purificazione. Dissipa le tenebre dell’ignoranza e del peccato, come dissipa quelle della notte; e persino i perseguitati dalle Furie sono da lui compassionati e difesi; di che la leggenda di Oreste offre un bellissimo esempio.

E poiché tra le cose che più calmano lo spirito e gli infondono una tranquilla pace è la musica, niuna meraviglia che Apollo sia stato anche pensato come inventore della musica. Il suo istrumento era la cetra o forminx, ed ei la sonava con grande abilità a sollazzo degli dei immortali, durante i loro conviti. Dirigeva anche il coro delle Muse, figlie di Zeus e Mnemosine; di qui il titolo di Apollo Musagete (Mousagetes, conduttore delle Muse); e celebri cantori dell’età mitica, come Orfeo e Lino, furono detti suoi figliuoli.

Ma la più grande importanza presso tutte le stirpi greche e fino ai più tardi tempi l’acquistò Apollo per l’attribuitogli potere divinatorio. Era creduto il profeta di Giove, e i suoi oracoli, considerati come l’espressione infallibile della segreta volontà del supremo Iddio, ebbero una notevole efficacia e nella politica degli Stati, e altresì nei destini delle famiglie. Di oracoli d’Apollo in antico ve n’erano parecchi, ad es., uno nelle vicinanze di Colofone, un altro presso Mileto, altri nella Troade, nella Licia e in più luoghi del continente ellenico; ma il più celebre senza contrasto era l’oracolo di Delfo. Ivi la Pizia, sacerdotessa del Dio, assisa su un tripode sopra un’apertura del terreno da cui esalava un vapore inebriante, era invasa da una specie di estasi, durante la quale, in mezzo a moti convulsivi del corpo, la schiuma alla bocca, articolava oscure sillabe, da cui poi i sacerdoti ricavavano il responso. L’oracolo di Delfo, sebbene fosse già scaduto d’importanza fin dal primo secolo avanti Cristo, continuò però a godere riputazione anche nei primi secoli del Cristianesimo, e ancora Giuliano l’Apostata lo consultò.

Il culto di Apollo era diffusissimo fra i Greci, come generale doveva essere la venerazione verso una divinità datrice di tanti beni fisici e morali. La città di Delfo però era il luogo principale di questo culto. Ivi sorgeva uno splendido tempio che, rifatto al tempo dei Pisistratidi in seguito ad un incendio, vide accumularsi, per donativi dei fedeli, ingenti ricchezze che si calcolavano a 10.000 talenti. Nelle vicinanze di Delfo, al terzo anno delle Olimpiadi, avevano luogo i giuochi Pizii. Non meno celebre pel culto di Apollo, era l’isola di Delfo, dove il Dio era nato. Il terreno dell’isola era considerato come sacro e nessun morto poteva esservi seppellito. Una città sacra trovavasi ai piedi del monte Cinto. Anche quivi si celebravano ogni quattro anni feste solenni con vari giochi, che dicevansi istituiti già da Teseo.

L’Apollo della mitologia romana non è una deità italica, ma è lo stesso Apollo greco, molto per tempo accolto nel Pantheon di Roma. Le colonie greche dell’Italia meridionale furono il tramite per cui il greco Apollo penetrò fra i Latini. E vi penetrò prima come Dio della divinazione, poi come medico e musico. Da lui si credettero ispirati gli oracoli Sibillini che cominciarono a diffondersi ed essere oggetto di culto fin dal tempo di Tarquinio Superbo; e del resto si diffuse presto la fama anche nell’oracolo di Delfo, che in solenni occasioni si mandava a consultare. Ad Apollo come medico si eresse un tempio fin dal 429 a. C. (325 di R.), in occasione d’una grave epidemia. E da allora si estese il culto sempre più. Al tempo della guerra annibalica, e precisamente l’anno 212 a. C. (542 R.) vennero istituiti i giochi in onore d’Apollo (Ludi Apollinares) a imitazione dei giochi pitici. Più tardi un vero slancio ebbe il culto Apollineo per opera di Augusto, che attribuiva la vittoria d’Azio principalmente all’aiuto dato da questo Dio; onde gli eresse uno splendido tempio sul Palatino cui adornò colla celebre statua di Scopa rappresentante Apollo Citaredo.

Nelle opere letterarie frequentissima è la menzione di Apollo, come ispiratore di ogni bellezza poetica e reggitore del coro delle Muse. Antichissimo è l’inno omerico ad Apollo, che contiene molti e interessanti particolari tolti dalle leggende del Dio. Con esso si può confrontare l’inno di Callimaco a Delo, perché contiene cenni delle stesse leggende, nella loro forma ammodernata. Del divino suono della cetra di Apollo dà una bella descrizione Pindaro nella prima Pitica, ricordando come a quel suono si spegne il fulmine, l’aquila vinta dalle cadenze si addormenta sullo scettro di Zeus, Ares lascia in disparte le lance e tutti gli Dei sentono molcersi il cuore. Dei poeti latini ricordisi Orazio, che nel Carme Secolare inneggia appunto a Febo e alla sorella Diana, pregando concedano buoni costumi alla docile gioventù, placidi riposi alla vecchiaia, e a tutta Roma eterna pace e grande gloria. Ricordisi Ovidio, che nel primo delle Metamorfosi, racconta con soavi versi la leggenda dell’amore di Febo-Apollo per Dafne ritrosa, e il mutamento di costei nella pianta di lauro, da quel momento divenuta sacra al Dio. Così lo fa parlare di se stesso:

… mihi Delphica tellus et Claros et Tenedos Patareaque regia servit;

Iuppiter est genitor; per me quod eritque fuitque

Estque patet: per me concordant carmina nervis…

Inventum medicina meum est, opiferque per orbem

Dicor et herbarum subjecta potentia nobis…

«Impero ho io sulla terra di Delfo e su Claro (nella lonia, presso Colofone) e su Tenedo (isola dell’Egeo dirimpetto alla Troade) e su Pàtara (città della Licia).

Giove m’è padre; per me è palese quel che sarà, e quel che è stato e quel che è al presente; per me si disposa la poesia al suon della lira… La medicina è un mio trovato, e nel mondo son detto il soccorritore, e soggetta a noi è la potenza dell’erbe».

All’arte statuaria offriva Apollo un magnifico tema, solendo essere rappresentato in figura di un giovane bello di forme, accoppiante la grazia alla forza. Si segnalò in questa rappresentazione specialmente la giovane scuola Ateniese, a cui appartennero Scopa e Prassitele, fioriti dalla fine della guerra peloponnesiaca all’età d’Alessandro Magno. Scopa compose un Apollo Citaredo, ammirato per la sua bellezza nei secoli seguenti e da Augusto trasportato a Roma dopo la vittoria di Azio, per collocarlo nel nuovo tempio sul Palatino, onde ebbe anche il nome di Apollo Actius, o Palatinus. Si crede che di esso fosse una riproduzione la statua di Apollo Musagete che conservasi in Vaticano; il nume in lunga veste fluente fino ai piedi, coronato d’alloro, toccante le corde della cetra, ha un volto di femminea bellezza, esprimente entusiastico rapimento. Non meno bella è una statua del Museo Capitolino, rappresentante Apollo in piedi e in atto di riposarsi dal suono della cetra. Prassitele ideò un Apollo in nuovo atteggiamento, cioè in atto di uccidere una lucertola e compose la statua detta Apollo Sauroctonos, di cui è copia una statua ora conservata in Vaticano.

«Un adolescente di bellissime forme si appoggia col braccio sinistro ad un tronco; la mano destra armata di una punta, mira una lucertola che striscia sul tronco; lo sguardo accompagna la direzione della mano» (Gentile Ricci, pagg. 110-111). Ma la statua più celebre d’Apollo è il così detto Apollo di Belvedere, che pure è in Vaticano; fu trovata alla fine del XV secolo e restaurata dal Montorsoli, il quale aggiunse di suo il mozzicone d’arco nella mano sinistra; ma non si è ben certi rispetto alle opportunità di questo restauro e rispetto all’idea generale del lavoro. Mirabile la bellezza della figura in quella disdegnosa coscienza di sé che mostra avere il Dio vittorioso. Delle altre più celebri statue di Apollo citiamo qui l’Apollo Citaredo dalle vesti dignitosamente fluenti del Museo Vaticano e l’altro Apollo Citaredo dalle vesti leggermente ondeggianti, che si trova nello stesso Museo, anch’esse colla testa coronata d’alloro e raggianti di nobile bellezza.

Tra le produzioni moderne, che raffigurano le attribuzioni fisiche di Apollo, ricordiamo nella la magnifica pittura della Pinacoteca di Brera (Milano) con cui l’Appiani (sec. XIX) rappresenta Febo-Apollo che su di un carro tirato da quattro focosi destrieri riconduce sulla terra l’astro del giorno.

I simboli di Apollo sono per lo più l’arco e le saette, riferentisi al Dio solare che ferisce col dardo de’ suoi raggi (cfr. l’espressione lucida tela diei di Lucrezio); oppure la cetra e la corona d’alloro, quali ben s’adattano al Dio musicale; o infine in tripode proprio del Dio augure e divinatore. Fra gli animali erano a lui sacri il lupo, il cervo, il cigno, il delfino.

P. Ramorino