Wednesday, December 26, 2007

Quando regnava la Madre Eterna

Corriere della sera, giovedi , 08 agosto 1996

LIBRI Ristampato lo studio che Pestalozza pubblico nel 1954, dedicato alle antiche civilta matriarcali mediterranee
Quando regnava la Madre Eterna
di ELEMIRE ZOLLA


Negli anni '30 e in due o tre decenni successivi vissero in Italia alcuni maestri di storia delle religioni; con il Pettazzoni, che aveva dato l'avvio alla materia, Macchioro e Pestalozza. Se ne coglie l'influsso al Convegno di storia delle religioni del dopoguerra a Roma, che verteva sulla regalità sacra. Quel gruppo di maestri era sorto a stretto contatto delle maggiori scuole europee ed era rimasto esente dai soprusi di un'ideologia, a differenza dei loro allievi, sommersi nel fango politico. Ciò che li distanzia da noi è il metodo, che ebbero in comune con la scuola di Vienna, sopratutto lo stile togato, pesantemente aulico, che ci fa sorridere. Oggi Neri Pozza ripresenta di Pestalozza l'opera che pubblicò nel 1954: L'eterno femmineo me diterraneo. La forma è dannunziana e pedante nello stesso tempo, ma vale la pena di affrontarne il fastidio. Pestalozza ci conduce al di là della storia mediterranea a noi nota, entro quello strato che si può soltanto ricostruire e intuire, precedent e alla documentazione, a suo parere un matriarcato. Bachofen aveva fatto scuola. Oggi le ricerche archeologiche dalla Gimbutas hanno fornito la prova dell'esistenza di una civiltà matriarcale precedente alle invasioni indoeuropee. Pestalozza se le im maginava dalle testimonianze sparse sopravvissute in periodi di sempre più aspra patriarcalità. Egli evoca il periodo matriarcale dominato dalla suprema Signora (pòtnia in greco) o dèa bianca (Leukothéa in greco). Era il cosmo come vagina, si manifes tava nelle caverne dei monti prossime alle acque sorgive (Pestalozza pare ignorare che anche Iside era dea della montagna), nei fiori, nei grembi delle fiere e delle donne e nel seno della terra scoperta e disseminata dall'aratore. Su questa potenza cosmica tutto era fondato, la si percepiva con intensità e stupore, esultanza e pena. Era il principio di ogni vita, quella d'un sasso come quella d'un bocciolo e soprattutto della danza d'una fanciulla attraente. L'ordine politico ne traeva s punto: la donna era venerata e temuta, teneva stretto il potere con la forza del fascino. Viveva abbandonata alla sua natura, protesa alle voci allucinatorie di dèi, di dèmoni, di morti, pronta al combattimento (ne testimonieranno le coorti di amazzo ni alle corti dei re africani). In questo ordinamento gli uomini non si sentono superiori alle bestie, alle piante, alle pietre, ai venti. In ogni realtà si mescolavano intimamente e certe fiere, piante e selci le adoravano. Ne testimoniano alcuni re litti preservati nelle civiltà successive: la quercia oracolare Dodona, attribuita a Zeus, era stata di Gaia, la Terra, e l'alloro di Apollo era stato in precedenza Artemide Daphnaia. Dice con enfasi Pestalozza: «E la dea delle millenarie foreste, de lle idai intatte, solenni, misteriose, taciturne verso i grandi cieli, di cui si ammantavano gli altipiani dell'Asia Minore e del Libano, i massicci montuosi di Creta e dell'Arcadia, con le gole impervie, con gli altri profondi, con la copia scroscia nte delle acque, con la densa fauna selvatica che di lei sperimenta volta a volta l'impeto crudele e la carezza materna». Infine la dea è donna, giumenta, serpe, delfina, colomba. Coincide con ogni albero o giardino, dei quali è lei a proporre i fa rmaci, largendo alle sue cultrici la potenza, commutandole in Circi. Ma appare soprattutto come ape regina o sacra prostituta e come tale sopravvisse a Erice in Sicilia, a Corinto in Grecia oltre che a Cipro, in Palestina, e perfino nell'India preari a. Dal contatto con le prostitute sacre si traeva l'essenza della dea. Ma essa è anche una vergine, in lei c'è tanto la madre che la libera figliola. Accogliendo l'amante essa formava l'Androgino, figura dovunque presente. I popoli mediterranei, per attingere questa esperienza sublime, non rifuggivano dall'incesto. Era il giovinetto suo figlio che diventava l'amante ideale della dea e, se lui moriva, lei ne pativa lo strazio come una donna privata del suo massimo tesoro. Zeus cretese fu un giova ne di tal genere, identico all'Adone siriaco. Si celebrava la dea con un rito particolare: lanciando verso l'alto, seduta sull'altalena appesa ad un albero sacro, la sacerdotessa, esaltandola. Il mito di Iside e Osiride trasporrà il congiungimento e la morte nei secoli storici, anche se Osiride è fratello e non figlio. Il congiungimento può anche finire in una castrazione, come nel caso di Kybele e Attis, donde i sacerdozi di Eunuchi. Di questo universo travolto dalle invasioni indoeuropee rimas e in Grecia la processione delle thesmophòriai, le donne che recano il thesmos o diritto sacro, ciò che i Latini chiameranno fas, distinto dal diritto civile o ius. UBERTO PESTALOZZA L'eterno femmineo mediterraneo Editore Neri Pozza Pagine 20 0, lire 28.000