Corriere della sera, venerdi , 05 giugno 1992
Calasso Roberto
MITI . APOLLO E LA NASCITA DELLA CONOSCENZA:
LA CONFERENZA DI ROBERTO CALASSO AL COLLEGE DE FRANCE
Quando gli dèi scesero sulla Terra Ira e passione, menzogne e furti: l'incontro tra un'ambigua divinità e le Ninfe
Anticipiamo qui una parte della conferenza che Roberto Calasso terrà oggi alle 16 al Collège de France di Parigi sul tema "La follia che viene dalle Ninfe".
Il primo essere a cui Apollo parlò sulla Terra fu una Ninfa. Si chiamava Telfusa e subito ingannò il dio. Apollo aveva attraversato la Beozia venendo da Calcide. La vasta piana che fu poi ricca di grano era coperta allora da una densa foresta. Tebe non esisteva. Non c'erano strade, nè sentieri. E Apollo cercava il suo luogo. Voleva fondarvi il suo culto. Secondo l'inno omerico ne rifiutò più d'uno. Poi vide un "luogo intatto" (choros apemon), dice l'inno. Apollo gli rivolse la parola. Nell'inno il passaggio è brusco: quel luogo è un essere. Nel giro di due versi, senza transizione, il maschile choros diventa un essere femminile ("Ti fermasti vicino a lei"). Qui, con la massima rapidità e densità, si mostra che cosa è la Ninfa nell'economia divina dei Greci. Apemon significa "intatto" perchè "incolume", "illeso": si dice di ciò che non ha subito i pemata, le "calamità" che vengono dagli dèi e dagli uomini. Ma Telfusa vide l'arrivo di Apollo come una calamità. E su bito, celando l'ira, lo inganna. Consiglia al dio di andare altrove, perchè il suo maestoso santuario sarà disturbato dal "fragore delle cavalle e dei muli" della Ninfa, che "bevono alle sue sacre sorgenti". I visitatori guarderebbero le cavalle più che il tempio, dice Telfusa con deliziosa, perfida ironia . e aggiunge: più adatto ad Apollo è un luogo aspro, scosceso, là dove le rupi del Parnaso si spaccano in una gola. Apollo, ignaro, segue il consiglio. Scopre il luogo che sarà Delfi . e la su a "fonte dalle belle acque", circondata dalle spire di un'immane draghessa, che uccide "chiunque la incontri". Sarà invece Apollo a ucciderla e lasciarla putrefarsi al sole. È questa la sua grande impresa, la sua grande colpa. Il primo pensiero che v enne ad Apollo dopo aver ucciso Pitone fu che la prima "fonte dalle belle acque" lo aveva ingannato. Tornò sui suoi passi. Provocò una frana di macigni sulla fonte di Telfusa, per umiliarne la corrente. Poi elevò un altare a se stesso e rubò a Telfus a anche il suo nome, facendosi chiamare Apollo Telfusio. Così l'inno omerico. Ma osserviamo alcuni dettagli. Quando Apollo giunge a Telfusa e quando giunge a Delfi pronuncia parole identiche, manifestando la sua volontà di fondare sul luogo un oracol o per quanti abitano il Peloponneso, le isole e "quanti abitano l'Europa": è questo il primo testo dove l'Europa viene nominata come entità geografica, che qui ancora significa soltanto la Grecia del centro e del nord. Inoltre: a Telfusa e a Delfi il dio trova ugualmente . e innanzitutto . una "fonte dalle belle acque", come il testo dice usando identica formula per i due luoghi. Infine: nell'inno Pitone è un essere femminile, come per altro appare anche in altre tradizioni. Tutto questo dà un'impressione, quasi ottica, di sdoppiamento: come se uno stesso evento si fosse manifestato due volte: una volta nel dialogo ingannevole e malizioso fra il dio e una Ninfa, una volta nel silenzioso duello fra il dio.arciere e la draghessa arroto lata. Al centro, nell'uno e nell'altro caso, è una fonte che sgorga. E nell'uno e nell'altro caso si tratta della storia di un potere che viene spodestato. La Ninfa e la Draghessa sono guardiane e depositarie di una conoscenza oracolare che Apollo vi ene ora a sottrargli. In tutti i rapporti fra Apollo e le Ninfe . rapporti tortuosi, di attrazione, persecuzione e fuga, felici soltanto una volta, quando Apollo si trasformò in lupo nel coito con la Ninfa Cirene . rimarrà questo sottinteso: che Apol lo è stato il primo invasore e usurpatore di un sapere che non gli apparteneva, un sapere liquido, fluido, al quale il dio imporrà il suo metro. Ma non solo nella conoscenza oracolare, anche nell'uso della sua arma Apollo è debitore delle Ninfe: furo no loro a insegnargli a tendere l'arco. Quanto alla divinazione, nell'Inno a Hermes si accenna a certi esseri femminili che ne furono per lui "maestre": tre fanciulle alate, sorelle venerabili, dalla testa cosparsa di bianca farina, che svolazzano su l Parnaso nutrendosi di miele. Sono chiamate Trie e molti tratti ci inducono a identificarle con le tre Ninfe dell'Antro Coricio, sull'alto Parnaso. Le Trie dicono il vero se hanno potuto mangiare miele, ma mentono e turbinano nell'aria se ne sono pr ive. Apollo si mostrò impaziente di sbarazzarsi di loro. Voleva cancellare ogni richiamo alle origini del suo potere sovrano. Così le donò a Hermes, dono avvelenato, con parole che le umiliavano, come se le Trie rappresentassero le basse opere della divinazione e dovessero rimanere per sempre, con i loro dadi e le loro pietruzze, in un recinto infantile della conoscenza. Verso Telfusa come verso le Trie, Apollo seguì lo stesso impulso: deprezzare, umiliare esseri femminili portatori di un sapere a lui precedente. Così gli rimase accanto un vuoto. E si può ipotizzare che il luogo lasciato libero dalle Trie dovesse essere, un giorno, occupato dalle Muse. Di fatto, quando abitavano ancora l'Elicona, le Muse erano appunto tre. E, quando parlano a Esiodo, all'inizio della Teogonia, si dichiarano enunciatrici sia della verità sia della menzogna, esattamente come le Trie. Ma tacendo su un dettaglio, si può supporre per ingiunzione di Apollo: il miele. Eppure, secondo Filostrato, quando gli At eniesi mossero per fondare colonie in Ionia, le Muse guidarono la flotta sotto forma di api. E la Pizia veniva chiamata "l'ape delfica". Ma Apollo è tenuto a cancellare ogni ricordo del miele, così come volle sostituire il secondo tempio di Delfi, co struito dalle api stesse in cera e piume, con un tempio di bronzo. Ora avrebbe potuto rivendicare a sè solo di conoscere il pensiero di Zeus. Questa fu la prima e la più pura menzogna di Apollo. Che Apollo mentisse ci aiutano a scoprirlo innanzitut to scoliasti e lessicografi, questa legione di spie che ci ragguagliano sulla vita segreta degli dèi. Così veniamo a sapere che ben prima di Apollo era stato lo stesso serpente Pitone a praticare la mantica a Delfi. E che, prima di Apollo, già Dionis o vi pronunciava oracoli. Infine Plutarco, sacerdote del santuario, ci assicura che la sovranità delfica era divisa in parti uguali fra Apollo e Dioniso. Dietro tutte queste vicende si profilava un evento oscuro. In attesa che apparisse il "figlio pi ù forte del padre" vaticinato da Themis, che lo avrebbe spodestato, Zeus volle spartire la sovranità fra due suoi figli, Apollo e Dioniso. E il modo della conoscenza che affidò loro fu lo stesso: la possessione. Nell'era della pienezza di Zeus regnav a la metamorfosi come statuto normale della manifestazione. Mentre nell'era già intaccata della profezia di Themis la realtà si irrigidiva, gli oggetti si fissavano. Ora la metamorfosi sarebbe migrata nell'invisibile, nel regno sigillato della mente. Sarebbe divenuta conoscenza. E quella conoscenza metamorfica si sarebbe addensata in un luogo, che era insieme una fonte, un serpente e una Ninfa. Che questi tre esseri fossero tre modalità nell'apparire di un essere solo è ciò che, attraverso tracc e sparse con avarizia nei testi e nelle immagini, ci viene intimato per secoli . e ancora oggi. In un'appendice del suo imponente studio sul mito delfico, Python, Fontenrose osserva che uno scrittore, il nomade libertino Norman Douglas, aveva antic ipato scoperte a cui Fontenrose stesso e altri studiosi sarebbero giunti "dopo un duro lavoro di ricerca erudita". Apriamo il capitolo Dragons di Old Calabria. Qui Douglas si era posto, con improntitudine infantile, la domanda brutale che schiude le porte: "Che cos'è un drago?". E aveva risposto: "Un animale che guarda e osserva". Di fatto, drakon deriva da derkomai, che significa "avere vista acutissima". Ma qual è l'occhio del drago? Douglas risponde: la sorgente. Più che connessi, drago e sor gente sono parti di uno stesso corpo. Disparati esempi raccolti da Douglas, ai quali Fontenrose aggiunge "la parola ebraica ayin, che significa "occhio" e "sorgente"", concordano in un punto: l'acqua vitrea della sorgente non soltanto viene protetta dalle spire del drago, ma è il suo sguardo micidiale, che scruta ogni estraneo. Per conquistare la sovranità sulla possessione, Apollo aveva dovuto battersi innanzitutto con un altro occhio, con uno sguardo che avrebbe incorporato in sè uccidendo Pit one, così come Atena portava sul petto, nell'egida, lo sguardo della sua vittima, la Gorgone. La conoscenza attraverso la possessione, la scoperta in cui convergono Dionise e Apollo, non è qualcosa che si può aggiungere a una concezione già stabili ta quale appendice, fenomeno marginale o eccentrica variazione. Se la si accetta, essa scardina dall'interno ogni ordine preesistente, così come Dioniso scosse i muri dell'incredula Tebe. Se la conoscenza su cui si fonda Delfi non è soltanto inganno di astuti sacerdoti, allora la voce del soggetto che conosce sarà sempre almeno una voce doppia, la voce della phronesis che controlla ma anche una parola che accoglie in sè un dio, entheos, parola che, con lo stesso carattere abrupto, prima si impon e, poi ci abbandona. E quella voce dopia è tale perchè corrisponde a uno sguardo doppio, lo sguardo che osserva e lo sguardo che contempla colui che osserva, l'occhio di Apollo e l'occhio di Pitone celato in lui, la Ninfa che sgorga nell'invisibile. Se intendiamo il verbo essere come segnale di ciò che i veggenti vedici chiamavano bandhu, le "connessioni" che sole danno un significato a ciò che esiste, si può dire che la fonte è il serpente, ma la fonte è anche la Ninfa, quindi la Ninfa è il s erpente. Ciò che in Melusina si riunirà in un solo corpo, a Delfi si spartì in tre esseri: Pitone, Telfusa, la fonte, perchè apollineo è innanzitutto ciò che scandisce e separa: il metro. Ma unica era la sostanza. Perciò le Ninfe possono essere sia s alvatrici sia devastatrici . o l'uno e l'altro insieme. Già seguendo le scarse testimonianze sulla vita di Telfusa scopriamo che era chiamata Telfusa Erinys . e allora ricordiamo come, nella Teogonia di Esiodo, le misteriose Ninfe dei frassini, le Me liai, erano nate insieme alla Erinni dal sangue che sgorgava dalla piaga aperta nel ventre del padre Urano dal falcetto di Crono. Le Ninfe eufemizzate che occhieggiano dagli angoli di un soffitto barocco sono pur sempre sorelle di sangue, e nel sen so più letterale, delle funeste giustiziere. Anche altri tratti ci appaiono ora in una nuova luce. Perchè mai le Ninfe dovrebbero essere akoimetoi, "insonni"? Ma perchè tali sono appunto i draghi, perchè la fonte sgorga senza interruzione e il suo sguardo non cessa di vegliare. Roberto Calasso La Ninfa e la Draghessa sono guardiane e depositarie di una conoscenza oracolare che Apollo viene ora a sottrargli Ciò che in Melusina si riunirà in un solo corpo, a Delfi si spartì in tre esseri: Pitone, Telfusa, la fonte
Calasso Roberto
MITI . APOLLO E LA NASCITA DELLA CONOSCENZA:
LA CONFERENZA DI ROBERTO CALASSO AL COLLEGE DE FRANCE
Quando gli dèi scesero sulla Terra Ira e passione, menzogne e furti: l'incontro tra un'ambigua divinità e le Ninfe
Anticipiamo qui una parte della conferenza che Roberto Calasso terrà oggi alle 16 al Collège de France di Parigi sul tema "La follia che viene dalle Ninfe".
Il primo essere a cui Apollo parlò sulla Terra fu una Ninfa. Si chiamava Telfusa e subito ingannò il dio. Apollo aveva attraversato la Beozia venendo da Calcide. La vasta piana che fu poi ricca di grano era coperta allora da una densa foresta. Tebe non esisteva. Non c'erano strade, nè sentieri. E Apollo cercava il suo luogo. Voleva fondarvi il suo culto. Secondo l'inno omerico ne rifiutò più d'uno. Poi vide un "luogo intatto" (choros apemon), dice l'inno. Apollo gli rivolse la parola. Nell'inno il passaggio è brusco: quel luogo è un essere. Nel giro di due versi, senza transizione, il maschile choros diventa un essere femminile ("Ti fermasti vicino a lei"). Qui, con la massima rapidità e densità, si mostra che cosa è la Ninfa nell'economia divina dei Greci. Apemon significa "intatto" perchè "incolume", "illeso": si dice di ciò che non ha subito i pemata, le "calamità" che vengono dagli dèi e dagli uomini. Ma Telfusa vide l'arrivo di Apollo come una calamità. E su bito, celando l'ira, lo inganna. Consiglia al dio di andare altrove, perchè il suo maestoso santuario sarà disturbato dal "fragore delle cavalle e dei muli" della Ninfa, che "bevono alle sue sacre sorgenti". I visitatori guarderebbero le cavalle più che il tempio, dice Telfusa con deliziosa, perfida ironia . e aggiunge: più adatto ad Apollo è un luogo aspro, scosceso, là dove le rupi del Parnaso si spaccano in una gola. Apollo, ignaro, segue il consiglio. Scopre il luogo che sarà Delfi . e la su a "fonte dalle belle acque", circondata dalle spire di un'immane draghessa, che uccide "chiunque la incontri". Sarà invece Apollo a ucciderla e lasciarla putrefarsi al sole. È questa la sua grande impresa, la sua grande colpa. Il primo pensiero che v enne ad Apollo dopo aver ucciso Pitone fu che la prima "fonte dalle belle acque" lo aveva ingannato. Tornò sui suoi passi. Provocò una frana di macigni sulla fonte di Telfusa, per umiliarne la corrente. Poi elevò un altare a se stesso e rubò a Telfus a anche il suo nome, facendosi chiamare Apollo Telfusio. Così l'inno omerico. Ma osserviamo alcuni dettagli. Quando Apollo giunge a Telfusa e quando giunge a Delfi pronuncia parole identiche, manifestando la sua volontà di fondare sul luogo un oracol o per quanti abitano il Peloponneso, le isole e "quanti abitano l'Europa": è questo il primo testo dove l'Europa viene nominata come entità geografica, che qui ancora significa soltanto la Grecia del centro e del nord. Inoltre: a Telfusa e a Delfi il dio trova ugualmente . e innanzitutto . una "fonte dalle belle acque", come il testo dice usando identica formula per i due luoghi. Infine: nell'inno Pitone è un essere femminile, come per altro appare anche in altre tradizioni. Tutto questo dà un'impressione, quasi ottica, di sdoppiamento: come se uno stesso evento si fosse manifestato due volte: una volta nel dialogo ingannevole e malizioso fra il dio e una Ninfa, una volta nel silenzioso duello fra il dio.arciere e la draghessa arroto lata. Al centro, nell'uno e nell'altro caso, è una fonte che sgorga. E nell'uno e nell'altro caso si tratta della storia di un potere che viene spodestato. La Ninfa e la Draghessa sono guardiane e depositarie di una conoscenza oracolare che Apollo vi ene ora a sottrargli. In tutti i rapporti fra Apollo e le Ninfe . rapporti tortuosi, di attrazione, persecuzione e fuga, felici soltanto una volta, quando Apollo si trasformò in lupo nel coito con la Ninfa Cirene . rimarrà questo sottinteso: che Apol lo è stato il primo invasore e usurpatore di un sapere che non gli apparteneva, un sapere liquido, fluido, al quale il dio imporrà il suo metro. Ma non solo nella conoscenza oracolare, anche nell'uso della sua arma Apollo è debitore delle Ninfe: furo no loro a insegnargli a tendere l'arco. Quanto alla divinazione, nell'Inno a Hermes si accenna a certi esseri femminili che ne furono per lui "maestre": tre fanciulle alate, sorelle venerabili, dalla testa cosparsa di bianca farina, che svolazzano su l Parnaso nutrendosi di miele. Sono chiamate Trie e molti tratti ci inducono a identificarle con le tre Ninfe dell'Antro Coricio, sull'alto Parnaso. Le Trie dicono il vero se hanno potuto mangiare miele, ma mentono e turbinano nell'aria se ne sono pr ive. Apollo si mostrò impaziente di sbarazzarsi di loro. Voleva cancellare ogni richiamo alle origini del suo potere sovrano. Così le donò a Hermes, dono avvelenato, con parole che le umiliavano, come se le Trie rappresentassero le basse opere della divinazione e dovessero rimanere per sempre, con i loro dadi e le loro pietruzze, in un recinto infantile della conoscenza. Verso Telfusa come verso le Trie, Apollo seguì lo stesso impulso: deprezzare, umiliare esseri femminili portatori di un sapere a lui precedente. Così gli rimase accanto un vuoto. E si può ipotizzare che il luogo lasciato libero dalle Trie dovesse essere, un giorno, occupato dalle Muse. Di fatto, quando abitavano ancora l'Elicona, le Muse erano appunto tre. E, quando parlano a Esiodo, all'inizio della Teogonia, si dichiarano enunciatrici sia della verità sia della menzogna, esattamente come le Trie. Ma tacendo su un dettaglio, si può supporre per ingiunzione di Apollo: il miele. Eppure, secondo Filostrato, quando gli At eniesi mossero per fondare colonie in Ionia, le Muse guidarono la flotta sotto forma di api. E la Pizia veniva chiamata "l'ape delfica". Ma Apollo è tenuto a cancellare ogni ricordo del miele, così come volle sostituire il secondo tempio di Delfi, co struito dalle api stesse in cera e piume, con un tempio di bronzo. Ora avrebbe potuto rivendicare a sè solo di conoscere il pensiero di Zeus. Questa fu la prima e la più pura menzogna di Apollo. Che Apollo mentisse ci aiutano a scoprirlo innanzitut to scoliasti e lessicografi, questa legione di spie che ci ragguagliano sulla vita segreta degli dèi. Così veniamo a sapere che ben prima di Apollo era stato lo stesso serpente Pitone a praticare la mantica a Delfi. E che, prima di Apollo, già Dionis o vi pronunciava oracoli. Infine Plutarco, sacerdote del santuario, ci assicura che la sovranità delfica era divisa in parti uguali fra Apollo e Dioniso. Dietro tutte queste vicende si profilava un evento oscuro. In attesa che apparisse il "figlio pi ù forte del padre" vaticinato da Themis, che lo avrebbe spodestato, Zeus volle spartire la sovranità fra due suoi figli, Apollo e Dioniso. E il modo della conoscenza che affidò loro fu lo stesso: la possessione. Nell'era della pienezza di Zeus regnav a la metamorfosi come statuto normale della manifestazione. Mentre nell'era già intaccata della profezia di Themis la realtà si irrigidiva, gli oggetti si fissavano. Ora la metamorfosi sarebbe migrata nell'invisibile, nel regno sigillato della mente. Sarebbe divenuta conoscenza. E quella conoscenza metamorfica si sarebbe addensata in un luogo, che era insieme una fonte, un serpente e una Ninfa. Che questi tre esseri fossero tre modalità nell'apparire di un essere solo è ciò che, attraverso tracc e sparse con avarizia nei testi e nelle immagini, ci viene intimato per secoli . e ancora oggi. In un'appendice del suo imponente studio sul mito delfico, Python, Fontenrose osserva che uno scrittore, il nomade libertino Norman Douglas, aveva antic ipato scoperte a cui Fontenrose stesso e altri studiosi sarebbero giunti "dopo un duro lavoro di ricerca erudita". Apriamo il capitolo Dragons di Old Calabria. Qui Douglas si era posto, con improntitudine infantile, la domanda brutale che schiude le porte: "Che cos'è un drago?". E aveva risposto: "Un animale che guarda e osserva". Di fatto, drakon deriva da derkomai, che significa "avere vista acutissima". Ma qual è l'occhio del drago? Douglas risponde: la sorgente. Più che connessi, drago e sor gente sono parti di uno stesso corpo. Disparati esempi raccolti da Douglas, ai quali Fontenrose aggiunge "la parola ebraica ayin, che significa "occhio" e "sorgente"", concordano in un punto: l'acqua vitrea della sorgente non soltanto viene protetta dalle spire del drago, ma è il suo sguardo micidiale, che scruta ogni estraneo. Per conquistare la sovranità sulla possessione, Apollo aveva dovuto battersi innanzitutto con un altro occhio, con uno sguardo che avrebbe incorporato in sè uccidendo Pit one, così come Atena portava sul petto, nell'egida, lo sguardo della sua vittima, la Gorgone. La conoscenza attraverso la possessione, la scoperta in cui convergono Dionise e Apollo, non è qualcosa che si può aggiungere a una concezione già stabili ta quale appendice, fenomeno marginale o eccentrica variazione. Se la si accetta, essa scardina dall'interno ogni ordine preesistente, così come Dioniso scosse i muri dell'incredula Tebe. Se la conoscenza su cui si fonda Delfi non è soltanto inganno di astuti sacerdoti, allora la voce del soggetto che conosce sarà sempre almeno una voce doppia, la voce della phronesis che controlla ma anche una parola che accoglie in sè un dio, entheos, parola che, con lo stesso carattere abrupto, prima si impon e, poi ci abbandona. E quella voce dopia è tale perchè corrisponde a uno sguardo doppio, lo sguardo che osserva e lo sguardo che contempla colui che osserva, l'occhio di Apollo e l'occhio di Pitone celato in lui, la Ninfa che sgorga nell'invisibile. Se intendiamo il verbo essere come segnale di ciò che i veggenti vedici chiamavano bandhu, le "connessioni" che sole danno un significato a ciò che esiste, si può dire che la fonte è il serpente, ma la fonte è anche la Ninfa, quindi la Ninfa è il s erpente. Ciò che in Melusina si riunirà in un solo corpo, a Delfi si spartì in tre esseri: Pitone, Telfusa, la fonte, perchè apollineo è innanzitutto ciò che scandisce e separa: il metro. Ma unica era la sostanza. Perciò le Ninfe possono essere sia s alvatrici sia devastatrici . o l'uno e l'altro insieme. Già seguendo le scarse testimonianze sulla vita di Telfusa scopriamo che era chiamata Telfusa Erinys . e allora ricordiamo come, nella Teogonia di Esiodo, le misteriose Ninfe dei frassini, le Me liai, erano nate insieme alla Erinni dal sangue che sgorgava dalla piaga aperta nel ventre del padre Urano dal falcetto di Crono. Le Ninfe eufemizzate che occhieggiano dagli angoli di un soffitto barocco sono pur sempre sorelle di sangue, e nel sen so più letterale, delle funeste giustiziere. Anche altri tratti ci appaiono ora in una nuova luce. Perchè mai le Ninfe dovrebbero essere akoimetoi, "insonni"? Ma perchè tali sono appunto i draghi, perchè la fonte sgorga senza interruzione e il suo sguardo non cessa di vegliare. Roberto Calasso La Ninfa e la Draghessa sono guardiane e depositarie di una conoscenza oracolare che Apollo viene ora a sottrargli Ciò che in Melusina si riunirà in un solo corpo, a Delfi si spartì in tre esseri: Pitone, Telfusa, la fonte