Eva Cantarella
Olimpia. Quel luogo sacro votato ai Giochi che metteva alla prova forza e virtù
Tratto da “Corriere della Sera”, 27 agosto 2007
Olimpia era una città speciale per i greci: sede di uno dei grandi santuari comuni, era il luogo ove, a partire dal 776 avanti Cristo, venivano celebrati a intervalli di quattro anni i giochi panellenici noti come Olimpiadi, sui quali i greci computavano gli anni (questo accadde - dicevano - nel secondo anno della ottantaquattresima Olimpiade...). Ma le Olimpiadi erano molto di più di quello che è oggi un evento sportivo: erano un momento fondamentale nella vita dei greci. Nella competizione, infatti, essi esprimevano uno dei caratteri comuni più forti, la voglia di raccogliere la sfida e di dimostrare la capacità di vincere, superando in primo luogo se stessi. Gareggiare, per loro, significava confrontarsi sul piano di una comune antica etica competitiva, secondo la quale un uomo doveva mettere alla prova la sua virtù, fatta di ricerca della vittoria, dovuta all’unione della forza fisica e della volontà. Vincere era un dovere morale. Chi non vinceva, scrive Pindaro, provava tale vergogna da tornare a casa “per obliqui sentieri nascosti”. Erano un momento così importante, le Olimpiadi, che per garantire il loro pacifico svolgimento, nei mesi che precedevano l’inizio delle gare (che si svolgevano tra fine luglio e inizio settembre e duravano sei giorni), gli araldi percorrevano tutto il territorio greco, annunciando la data delle gare, invitando a parteciparvi e proclamando una tregua (ekékeiria), durante la quale era vietata qualunque operazione militare e che doveva durare fino a quando gli atleti non fossero rientrati nelle loro città. In quel momento ogni rivalità era cancellata, i greci erano una nazione. Si può ben capire oggi cosa significhi per i greci vedere Olimpia accerchiata dalle fiamme.
Olimpia. Quel luogo sacro votato ai Giochi che metteva alla prova forza e virtù
Tratto da “Corriere della Sera”, 27 agosto 2007
Olimpia era una città speciale per i greci: sede di uno dei grandi santuari comuni, era il luogo ove, a partire dal 776 avanti Cristo, venivano celebrati a intervalli di quattro anni i giochi panellenici noti come Olimpiadi, sui quali i greci computavano gli anni (questo accadde - dicevano - nel secondo anno della ottantaquattresima Olimpiade...). Ma le Olimpiadi erano molto di più di quello che è oggi un evento sportivo: erano un momento fondamentale nella vita dei greci. Nella competizione, infatti, essi esprimevano uno dei caratteri comuni più forti, la voglia di raccogliere la sfida e di dimostrare la capacità di vincere, superando in primo luogo se stessi. Gareggiare, per loro, significava confrontarsi sul piano di una comune antica etica competitiva, secondo la quale un uomo doveva mettere alla prova la sua virtù, fatta di ricerca della vittoria, dovuta all’unione della forza fisica e della volontà. Vincere era un dovere morale. Chi non vinceva, scrive Pindaro, provava tale vergogna da tornare a casa “per obliqui sentieri nascosti”. Erano un momento così importante, le Olimpiadi, che per garantire il loro pacifico svolgimento, nei mesi che precedevano l’inizio delle gare (che si svolgevano tra fine luglio e inizio settembre e duravano sei giorni), gli araldi percorrevano tutto il territorio greco, annunciando la data delle gare, invitando a parteciparvi e proclamando una tregua (ekékeiria), durante la quale era vietata qualunque operazione militare e che doveva durare fino a quando gli atleti non fossero rientrati nelle loro città. In quel momento ogni rivalità era cancellata, i greci erano una nazione. Si può ben capire oggi cosa significhi per i greci vedere Olimpia accerchiata dalle fiamme.