dal "corriere della sera" 20 dicembre 2001
Lubicz, i templi da leggere con il cuore
Dodici anni di ricerche sul Nilo, per comprendere il linguaggio dei simboli In un' iscrizione della regina Hatscepsut il significato sacro dei misteriosi edifici
Medail Cesare
EGITTO Tradotta in italiano, dopo mezzo secolo, la colossale opera su Karnak del filosofo e alchimista alsaziano Lubicz, i templi da leggere con il cuore Dodici anni di ricerche sul Nilo, per comprendere il linguaggio dei simboli «O Egitto, Egitto, d ei tuoi culti non resteranno che favole e quelle stesse sembreranno incredibili ai tuoi posteri, e sole sopravviveranno le parole incise su pietra a narrare i tuoi atti di pietà». Così recita il Corpus Hermeticum, l' enigmatico testo attribuito nel R inascimento a Ermete Trismegisto, mitica fonte della conoscenza sacra degli antichi. La profezia si è avverata. Statue, dipinti, geroglifici generano spaesamento per l' assoluta alterità rispetto alla cultura di oggi; ma i più ne banalizzano il senso , fermandosi alle forme esteriori, alle traduzioni letterali, a ipotesi d' ingegneria. C' è stato chi, tuttavia, ha voluto misurarsi con quelle pietre, per cogliere il senso profondo delle «favole» che vi erano incise. René Schwaller de Lubicz (1887- 1961), pensatore alsaziano di ispirazione neoplatonica, profondo conoscitore di religioni e alchimia, trascorse dodici anni (1939-1951) a studiare i templi di Luxor e Karnak, coadiuvato dalla moglie Jeanne (nome mistico Isha, mentre quello di René er a Aor) e da un gruppo di archeologi. Il lavoro del filosofo - che si era formato nei circoli teosofici e alchemici francesi a cavallo della Grande Guerra - è facilmente attaccabile da una critica razionalista, come si rende conto chi ha letto Il Temp io dell' Uomo (Ed. Mediterranee, 2000), monumentale elaborazione delle sue ricerche. Usando criteri scientifici, calcoli matematici, rilievi geometrici nel sezionare sale, colonnati, ogni pietra dei templi, Lubicz ricavò teorie che di scientifico han no poco, ma aprirebbero le porte della percezione, le porte giuste perché fluisca in noi quel rutilante, incomprensibile universo, suscitando emozioni irreperibili in un trattato specialistico. Una citazione dalla seconda imponente opera di Lubicz (I templi di Karnak), che completa la prima ed esce ora dalle Mediterranee, racchiude alcune chiavi per comprendere Aor. È il racconto della costruzione dei suoi obelischi fatto incidere su di essi da Hatscepsut, l' unico faraone donna, vissuta nel Nuo vo Regno (1539- 1293): «Ho fatto questo con cuore innamorato per il padre Amon, essendo penetrata nel suo mistero per la prima volta... E' lui che mi ha dato il canone di proporzione. Io non mi sono sbagliata per ciò che mi aveva ordinato, perché il mio cuore era di fronte a mio padre... Ed ero penetrata dalle cose del suo cuore». Il racconto è privo di dettagli pratici: è la pura rappresentazione di un rapporto con il sacro, a conferma della tesi di Lubicz che i templi erano un compendio della conoscenza religiosa egizia. Erano progetti metafisici concepiti da architetti-sacerdoti e intesi a mettere l' uomo in connessione con l' invisibile, con Amon, unico dio creatore, e con il panteon dei Netér, gli dèi che ne sono le funzioni. La relazi one esplicita tra umano e divino risalta nel particolare del «tendere la corda» per definire l' orientamento dell' edificio. Recita un' iscrizione di Karnak: «Ho teso la corda sulla posizione dei muri: mentre la mia bocca recitava i grandi incantamen ti, Thot era là con i suoi libri»; un rito cerimoniale, dunque, prima che tecnico. Il reiterato riferimento al «cuore» da parte di Hatscepsut, inoltre, conduce al centro del pensiero di Lubicz: per evocare ciò che non si può definire (dal concetto di Assoluto al punto geometrico, fino al «momento presente tra passato e futuro, cerebralmente inafferrabile ma intuitivamente certo») ogni parola sarebbe ingannevole; soltanto i simboli possono tradurre il senso dell' inesprimibile e per coglierli occ orre l' intuizione, che Lubicz chiama «intelligenza del cuore», oggi perduta ma viva tra gli egizi. I due volumi su Karnak sono un monumento proprio all' «intelligenza del cuore». Se nel Tempio dell' Uomo, Aor espone le sue idee circa i monumenti rel igiosi come libri di pietra che esprimono l' indicibile tramite i simboli, in Karnak propone un pellegrinaggio fra statue, bassorilievi, pitture e geroglifici: nel secondo tomo, i templi rivivono in 450 fotografie, mentre il primo, dopo alcuni brevi saggi introduttivi, contiene le interpretazioni di ciascuna immagine. Come scrive nell' introduzione Paolo Lucarelli, appassionato curatore di questi libri, Lubicz si offre come «guida eccezionale nel tragitto templare da compiere in meditazione». In somma, se la prima era opera di conoscenza, la seconda è opera esperienziale. Lubicz lascia che i simboli parlino all' «intelligenza nel cuore» di ciascuno, dissepolta dalla forza evocatrice di pietre disposte in modo da mettere l' uomo a contatto de ll' invisibile. Cesare Medail Il libro: «I templi di Karnak», Edizioni Mediterranee, due volumi, pp. 240+460, lire 340.000, euro 175,60
Lubicz, i templi da leggere con il cuore
Dodici anni di ricerche sul Nilo, per comprendere il linguaggio dei simboli In un' iscrizione della regina Hatscepsut il significato sacro dei misteriosi edifici
Medail Cesare
EGITTO Tradotta in italiano, dopo mezzo secolo, la colossale opera su Karnak del filosofo e alchimista alsaziano Lubicz, i templi da leggere con il cuore Dodici anni di ricerche sul Nilo, per comprendere il linguaggio dei simboli «O Egitto, Egitto, d ei tuoi culti non resteranno che favole e quelle stesse sembreranno incredibili ai tuoi posteri, e sole sopravviveranno le parole incise su pietra a narrare i tuoi atti di pietà». Così recita il Corpus Hermeticum, l' enigmatico testo attribuito nel R inascimento a Ermete Trismegisto, mitica fonte della conoscenza sacra degli antichi. La profezia si è avverata. Statue, dipinti, geroglifici generano spaesamento per l' assoluta alterità rispetto alla cultura di oggi; ma i più ne banalizzano il senso , fermandosi alle forme esteriori, alle traduzioni letterali, a ipotesi d' ingegneria. C' è stato chi, tuttavia, ha voluto misurarsi con quelle pietre, per cogliere il senso profondo delle «favole» che vi erano incise. René Schwaller de Lubicz (1887- 1961), pensatore alsaziano di ispirazione neoplatonica, profondo conoscitore di religioni e alchimia, trascorse dodici anni (1939-1951) a studiare i templi di Luxor e Karnak, coadiuvato dalla moglie Jeanne (nome mistico Isha, mentre quello di René er a Aor) e da un gruppo di archeologi. Il lavoro del filosofo - che si era formato nei circoli teosofici e alchemici francesi a cavallo della Grande Guerra - è facilmente attaccabile da una critica razionalista, come si rende conto chi ha letto Il Temp io dell' Uomo (Ed. Mediterranee, 2000), monumentale elaborazione delle sue ricerche. Usando criteri scientifici, calcoli matematici, rilievi geometrici nel sezionare sale, colonnati, ogni pietra dei templi, Lubicz ricavò teorie che di scientifico han no poco, ma aprirebbero le porte della percezione, le porte giuste perché fluisca in noi quel rutilante, incomprensibile universo, suscitando emozioni irreperibili in un trattato specialistico. Una citazione dalla seconda imponente opera di Lubicz (I templi di Karnak), che completa la prima ed esce ora dalle Mediterranee, racchiude alcune chiavi per comprendere Aor. È il racconto della costruzione dei suoi obelischi fatto incidere su di essi da Hatscepsut, l' unico faraone donna, vissuta nel Nuo vo Regno (1539- 1293): «Ho fatto questo con cuore innamorato per il padre Amon, essendo penetrata nel suo mistero per la prima volta... E' lui che mi ha dato il canone di proporzione. Io non mi sono sbagliata per ciò che mi aveva ordinato, perché il mio cuore era di fronte a mio padre... Ed ero penetrata dalle cose del suo cuore». Il racconto è privo di dettagli pratici: è la pura rappresentazione di un rapporto con il sacro, a conferma della tesi di Lubicz che i templi erano un compendio della conoscenza religiosa egizia. Erano progetti metafisici concepiti da architetti-sacerdoti e intesi a mettere l' uomo in connessione con l' invisibile, con Amon, unico dio creatore, e con il panteon dei Netér, gli dèi che ne sono le funzioni. La relazi one esplicita tra umano e divino risalta nel particolare del «tendere la corda» per definire l' orientamento dell' edificio. Recita un' iscrizione di Karnak: «Ho teso la corda sulla posizione dei muri: mentre la mia bocca recitava i grandi incantamen ti, Thot era là con i suoi libri»; un rito cerimoniale, dunque, prima che tecnico. Il reiterato riferimento al «cuore» da parte di Hatscepsut, inoltre, conduce al centro del pensiero di Lubicz: per evocare ciò che non si può definire (dal concetto di Assoluto al punto geometrico, fino al «momento presente tra passato e futuro, cerebralmente inafferrabile ma intuitivamente certo») ogni parola sarebbe ingannevole; soltanto i simboli possono tradurre il senso dell' inesprimibile e per coglierli occ orre l' intuizione, che Lubicz chiama «intelligenza del cuore», oggi perduta ma viva tra gli egizi. I due volumi su Karnak sono un monumento proprio all' «intelligenza del cuore». Se nel Tempio dell' Uomo, Aor espone le sue idee circa i monumenti rel igiosi come libri di pietra che esprimono l' indicibile tramite i simboli, in Karnak propone un pellegrinaggio fra statue, bassorilievi, pitture e geroglifici: nel secondo tomo, i templi rivivono in 450 fotografie, mentre il primo, dopo alcuni brevi saggi introduttivi, contiene le interpretazioni di ciascuna immagine. Come scrive nell' introduzione Paolo Lucarelli, appassionato curatore di questi libri, Lubicz si offre come «guida eccezionale nel tragitto templare da compiere in meditazione». In somma, se la prima era opera di conoscenza, la seconda è opera esperienziale. Lubicz lascia che i simboli parlino all' «intelligenza nel cuore» di ciascuno, dissepolta dalla forza evocatrice di pietre disposte in modo da mettere l' uomo a contatto de ll' invisibile. Cesare Medail Il libro: «I templi di Karnak», Edizioni Mediterranee, due volumi, pp. 240+460, lire 340.000, euro 175,60